UN PADRE DEL PENSIERO MODERNO.
Abu’-Walid Muhammad ibn Rushd, Averroès per il mondo latino ed occidentale, nasce a Cordova, nell’Andalusia araba, nel 1126 e muore a Marrakech nel 1198, dopo aver conosciuto la disgrazia e l’esilio. Figlio e nipote di qa^di (giudice in materie civili e religiose) della Grande Moschea, restituita parzialmente nel 1974 al culto islamico, giurista e medico, è soprattutto filosofo. In particolare è noto come straordinario interprete e commentatore di Aristotele. Al pari di altri suoi grandi conterranei, come Ibn Maimun, il pensatore ebreo Ibn Maimun, il Maimondide dei latini, ibn Rushd passa alla posterità, esercitando un’influenza considerevole sulla storia della filosofia e della civiltà europea. ”Commentator” è il soprannome latino di tale gigante del pensiero arabo, mentre Aristotele è definito il filosofo per eccellenza. Berbero di origine, formatosi alla scuola dell’intuizione universale e razionalistica della cultura araba altomedioevale, ibn Rushd si pone come un maestro ineguagliabile di analisi delle categorie della concezione umana. Avversario della cosiddetta ”reazione teologica” dei ”letteralisti” e di al-Ghazali, esponente di primo piano, peraltro, della speculazione mistica sufi, ibn Rushd è il difensore della filosofia in un periodo in cui tale atteggiamento gli costa l’accusa di eresia. Dimostrando che la filosofia è conforme pienamente alla Rivelazione, interpreta il Corano non come depositario di un sapere definitivo, ma come veicolo di un ordine a conoscere, contenente il programma della scienza, a cui applicare i metodi della lettura razionale. Problema ancora oggi aperto in seno alla cultura islamica, con le drammatiche conseguenze, dovute ad un ostinato arroccamento su posizioni integraliste e fanatiche. L’eterna questione di destare la ragione dal suo sonno è al centro della visione di ibn Rushd, dunque. Il Cordovano distingue tra i sapienti che, istruiti dal metodo dimostrativo, propriamente filosofico, la massa, permeabile solo da argomenti oratori e retorici, che si accontenta del senso letterale, e i teologi, che ritiene una classe inutile, dispensatrice di interpretazioni pericolose e dannose, in grado solo di far precipitare la comunità nel settarismo e generare odio e discordia. Ibn Rushd, rappresentante principale, pertanto, della ”transaltio studiorum” (trasferimento dei poteri) al Medio Evo, è soprattutto un grande pensatore dell’unità fondamentale dell’intelletto umano. Sull’eredità di ibn Rushd si possono creare le premesse di un rinnovato dialogo tra due mondi, quello islamico e quello occidentale, nel segno di una ritrovata presa di coscienza di comuni radici ideali. Casalino Pierluigi
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