Casalino Pierluigi
giovedì 12 novembre 2020
Origini arabe della mistica tedesca
L’opera di Eckhart è stata a lungo rivendicata come l’espressione più autenticamente tedesca del cattolicesimo medioevale. La teologia protestante di Adolf Von Harnack non ha forse individuato in Eckhart un precursore di Martin Lutero? Il teorico nazista Alfred Rosenberg non ha fatto di Eckhart l’emblema della civiltà germanica? Lo studioso tedesco Kurt Flasch in un recente libro di agile lettura, ma altrettanto ricco di contenuti, dimostra, invece, come il pensiero del maestro del misticismo tedesco affondi le proprie radici in qualcosa di ben più ampio dell’ambiente culturale della sola Germania medioevale. Il cosmopolitismo dell’opera di Eckhart, sostiene Flasch in ”Da Averroè al Maestro Eckhart, le radici arabe della mistica tedesca”, smentisce ogni approccio nazionalistico dei suoi precedenti commentatori, spesso più interessati a strumentalizzarne la figura, che a studiarne il messaggio universale. L’autore, risale, nella sua riflessione, il percorso culturale complesso del teologo, pervenendo ai contributi fondamentali di Averroè (Ibn Rushd) e di Ibn Maimun (Maimonide) alla formazione di Eckhart. Gli intellettuali non sono, dunque, una realtà separata, una sorta di angelo che si immerge nell’umanità per effetto della grazia, senza collegamenti e contatti con altre e spesso opposte tradizioni. I commentatori arabi e ebrei di Aristotele sono parte integrante dell’itinerario della conoscenza di Eckhart, secondo lo studio di Flasch, che antiche convinzioni scientifiche in proposito. Lo spirito mistico del pensatore medioevale, pervaso di sentimenti oscuri e sublimi, ha fatto affermare a qualche esegeta maldestro che la lezione di Eckhart sia segnata da tratti fanatici. Ci troviamo di fronte, in verità, ad un progetto duttile ed originale, anzi, per certi versi, antitetico al tomismo. La descrizione delle qualità della facoltà dell’anima di entrare direttamente e spontaneamente in relazione con il divino, senza passare per gerarchie, come si coglie in questo pilastro della storia della filosofia e della teologia, ci rimanda a un Eckhart vicino a un cristianesimo più filosofico e spirituale, che univocamente trascendente. Un cristianesimo, pertanto, quello del grande tedesco, meno ossessionato dalla natura del peccato della creatura, e più fiducioso nelle capacità dell’uomo di seguire la verità e strettamente compatibile con ”le ragioni naturali dei filosofi”. C’è qui tutto il sufismo musulmano e soprattutto si manifesta la grande eredità di Averroè (Ibn Rushd) nell’indicare la duplicità dell’atteggiamento critico del saggio di fronte alle presunte certezze, pur non venendo meno l’assioma divino. In un certo senso nel pensatore tedesco si rivive a pieno lo slancio dell’illuminismo filosofico e teologico dell’intelligenza araba dei secoli d’oro, il cui patrimonio di apertura, di tolleranza e di saggezza si è andato isterilendo nel declino tenebroso della ragione di quell’angolo dell’umanità. A riprova di quanto il seme di quella dottrina dia ancora frutto nella generale coscienza intellettuale, Flasch riporta in auge i testi, quasi sconosciuti, di un altro grande spirito contemporaneo di Eckhart, Dietrich di Friburgo (1250-1310), il quale, forse in modo maggiore, recepisce gli insegnamenti della scuola filosofica araba e ebraica. Torna alla mente, in questo contesto, lo straordinario lascito di Sigieri di Brabante, così caro a San Tommaso d’Aquino, e il cui filo sottile lega anche le concezioni dantesche della visione integrale dell’averroismo. Interessante riandare al riguardo ad un vecchio testo di Ernest Bloch: ”Avicenna (Ibn Sina) e la sinistra aristotelica”. Le polemiche circa le possibili deviazioni eretiche non trovano più il fondamento che avevano in passato, anche alla luce dell’interpretazione autentica delle proposizioni di Eckhart. Nella nuova rappresentazione sinottica delle prospettive culturali si afferma l’invincibile sintesi delle idee, che sta alla base della civiltà.
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