giovedì 5 novembre 2020

Dante e i dialetti italiani nel contesto della questione della lingua.





Dopo un excursus sugli idiomi nazionali o transnazionali del suo tempo e del loro esame comparato,  oltre ad affrontare la questione della lingua italiana, nel De Vulgari Eloquentia (scritto in latino) Dante Alighieri analizzò le varie lingue ‘volgari’ parlate in Italia (quelle che oggi chiamiamo ‘dialetti’) e cercò di individuare quale tra queste fosse la più nobile. La scelta cadde sul dialetto toscano, per quanto il poeta tenesse in alta considerazione anche il siciliano e il bolognese. Il peggiore fra tutti invece, secondo Dante, era il volgare romano, definito ‘squallida parlata’. In questo passo dell’opera l’autore dà una prima illustrazione ‘geografica’ dei vari dialetti italiani. Nel leggerlo si scoprirà che nonostante siano passati ormai sette secoli dalla stesura dell’opera le differenze coi confini linguistici attuali non sono poi così marcate, anzi. Esistono tuttora sfumature ed intrecci che già si manifestavano al tempo del Sommo Poeta. E' vero, peraltro, che ci sono evidenti limiti nelle considerazioni dialettologiche di Dante, ma nessuno come e prima di lui, ma pure dopo di lui, ha posto la questione in termini così chiari.

“Riconducendo la nostra trattazione al volgare italiano, cerchiamo di dire quali variazioni ha avuto e di confrontare fra loro queste variazioni. Affermiamo dunque anzitutto che l’Italia è divisa in due parti: la destra e la sinistra. Se poi mi si chiede quale è la loro linea divisoria, rispondiamo in breve che essa è costituita dalla cresta dell’Appennino: questa cresta infatti, come il displuvio di un tetto da cui l’acqua gronda da una parte e dall’altra per cadere in due direzioni opposte, fa scorrere per lunghi embrici le acque, che defluiscono da entrambi i lati verso l’uno o l’altro litorale, come dice Lucano nel secondo libro. Il lato destro ha come bacino di raccolta il mar Tirreno, il sinistro invece cade nell’Adriatico. Le regioni del lato destro sono: l’Apulia [per Apulia Dante intende più o meno i territori delle odierne Abruzzo, Campania, Calabria, Basilicata, Molise, Puglia, nda] (ma non tutta intera), Roma, il Ducato [di Spoleto, nda], la Toscana, la Marca Genovese. Le regioni del lato sinistro sono invece: parte dell’Apulia, la Marca Anconitana, la Romagna, la Lombardia, la Marca Trevigiana con Venezia. Il Friuli e l’Istria devono necessariamente appartenere al lato sinistro d’Italia, mentre le isole del mar Tirreno, cioè la Sicilia e la Sardegna, non possono che appartenere al lato destro o esservi associate. I linguaggi degli uomini di entrambi i lati d’Italia (e delle regioni che ad essi si aggiungono) variano fra loro: per esempio, è diverso il linguaggio dei Siciliani e degli Apuli, quello degli Apuli e dei Romani, quello dei Romani e degli abitanti di Spoleto, quello di questi ultimi e dei Toscani, quello dei Toscani e dei Genovesi, quello dei Genovesi (gli altri dialetti liguri vengono comunque assimilati nel genovese) e dei Sardi; e ancora: quello dei Calabri e degli Anconitani, quello degli Anconitani e dei Romagnoli, quello dei Romagnoli e dei Lombardi, quello dei Lombardi e quello dei Veneziani e dei Trevigiani, quello di questi ultimi e quello della gente di Aquileia, quello degli abitanti di Aquileia e degli Istriani. Su questo pensiamo che nessun Italiano dissenta da noi”. Anche per queste ed altre considerazioni, non solo linguistiche, e dialettologiche, Dante va a giusta ragione considerato Padre della lingua italiana, ma anche padre e vate dello stesso Bel Paese.

Casalino Pierluigi 

Nessun commento:

Posta un commento