domenica 15 novembre 2020

Le fonti della Divina Commedia.






Dante cita assai raramente le proprie fonti e all’inizio del poema Io non Enea, io non San Paulo, Inferno III, 32) si limita ad associare alla propria esperienza soltanto due esempi: la discesa di Enea all’Averno ( ricavate dal VI libro dell’Eneide di Virgilio e da quella della Seconda Lettera di san Paolo ai Corinzi). Certamente, dal momento che la Commedia è la narrazione di un viaggio nell’Oltretomba, confluiscono in essa diverse tradizioni, che nel complesso costituiscono la base culturale della Divina Commedia stessa: la discesa agli Inferi (catabasi), tema già trattato nell’età classica; e il viaggio inteso come ricerca (que^te) interiore, come quella del Santo Graal, che nel ciclo brètone anima i cavalieri della Tavola Rotonda; le descrizioni dell’Oltretomba presenti nella letteratura religiosa e nelle arti figurative del Duecento, le profezie sul destino ultimo dell’umanità e sulla fine dei tempi, tipiche dei movimenti penitenziali e millenaristici (come quello di Gioacchino da Fiore). Tra gli antecedenti della Commedia vanno ricordati il Sommnium Scipionis di Cicerone, i viaggi nell’Averno narrati nelle Metamorfosi di Ovidio e, soprattutto, l’Apocalisse di San Giovanni. Una forte suggestione era data, senz’altro, anche dal mito di Orfeo (cantato da Virgilio nell’Eneide e in altre sue opere, da Ovidio nelle Metamorfosi, come detto, e da Orazio nell’Ars Poetica), il cantore che, con il suo linguaggio creativo e profetico, si pone come intermediario tra l’umano e il divino. A questo va aggiunta l’influenza religiosa, attraverso alcuni testi apocrifi (in particolare la Visione di San Paolo, anzi le due Apocalisse di San Paolo e di Enoc – di quest’ultimo sia quella ebraica che quella di ambiente cristiano) e le leggende come la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (Jacopo da Varazze) in cui è narrata, fra l’altro, la discesa di Cristo agli Inferi, tema molto popolare nel Medioevo. Assai diffusi, inoltre i racconti di origine irlandese, come la Navigazione di san Brandano e la Leggenda del Purgatorio di San Patrizio, oltre al filone di altre Visioni ultramondane, come quelle di Ansello, di Eynsham e di Tundalo. Tuttora aperto, ma vivo e sicuramente fondato su considerazioni attendibili (Maria Corti, Enzo Cerulli) è il dibattito sulla conoscenza, da parte di Dante, di opere appartenenti alla civiltà musulmana, quali il Liber Scalae (il Libro della Scala o Viaggio Notturno del Profeta Maometto), che racconta dell’ascesa al cielo di Maometto, tradotto dall’arabo in spagnolo e quindi volgarizzato in francese e appunto in latino.  Interessanti anche i riferimenti all’escatologia, alla mistica e alla costruzione ultraterrena ebraica. Più vicini a Dante sono i poemetti in volgare della seconda metà del XIII secolo. Tra questi spiccano il De Ierusalem Coelesti (la Gerusalemme Celeste) e il De Babilonia civitade infernali (la Babilonia infernale) di Giacomino da Verona, il Libro dei vizi e delle virtudi di Bono Giamboni e il Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva. Tutte queste composizioni rivelano somiglianze e analogie più o meno profonde con la Commedia dantesca, che se ne distacca, peraltro, sia per il valore artistico e creativo, che per la vastità dottrinale e per il rigoroso impianto strutturale. Sulle fonti non tradizionali della Divina Commedia, rinvio alle mie precedenti note dedicate alle fonti islamiche ed ebraiche della Commedia.
Casalino Pierluigi 

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