mercoledì 23 novembre 2022

martedì 7 giugno 2022

 


Il tema delle reciproche influenze tra la lirica romanza e quelle arabo andaluse ed ebraico andaluse é oggetto da lunga data di analisi e di studi comparati. Se la poesia popolare amorosa composta infatti nelle lingue romanze e destinate al canto e alla danza ci parlano molte fonti cristiane dell'Alto Medioevo, tuttavia, di poesie così antiche in volgare sembrava non se ne fossero conservate. E invece un manoscritto con le omelie di Origene della Biblioteca di Wurzburg ce ne ha restituito un verso in lingua italiana. Si tratta di un frammento di canzone di donna in volgare che, oltre a rivelarsi il primo componimento poetico sin qui scritto nella lingua italiana, ci fa conoscere in versi i primi turbamenti amorosi di una giovane donna. Ella confessa alla madre i propri sentimenti in un contesto che fa richiamo all'antica lirica popolare romanza (chanson de femme) e si mostra il canto intonato da una ragazza innamorata, come si osservò più tardi nel filone rigoglioso delle cantigas de amigo galegoportoghese dei secoli XIII e XIV. A tale ipotesi sembrò dar corpo la scoperta,nel 1948, delle cosiddette khargiat ( in arabo uscite),cioè piccoli versi in volgare romanzo andaluso, spesso mescolato da forme arabe ed ebraiche ispaniche che chiudono alcuni componimenti strofici dettati nella loro lingua da poeti arabi ed ebrei di al-Andalus, cioè la Spagna islamica, anzi islamizzata. Le khargiat romanze, i cui più antichi esempi e modelli risalgono alla prima metà del XI secolo e dunque precedono non di poco le prime liriche trobadoriche, sono forme poetiche di evidente tonalità popolare, contraddistinte da semplicità di sentimento e immediatezza di espressione, da un soggetto femminile. Ci sono qui gli echi indiretti della figura femminile descritta e cantata da Ibn Hazm ne Il collare della colomba, dove, peraltro, l'animo femminile attraversato dall'amore viene quasi proposto con delicato timore. Riferendosi alla situazione iberica Menendez Pidal riconosceva nei tre generi

Casalino Pierluigi 

lunedì 25 aprile 2022

I disastri della guerra

 

Quando vediamo che il metropolita russo ortodosso Kirillin benedice la sciagurata guerra d'Ucraina nel solco di un atteggiamento che spesso tutte le religioni hanno adottato, sacralizzando i conflitti e venendo meno in tal modo all'originario messaggio di pace che è contenuto nei principi religiosi di base comuni a tutte le fedi, non è certo cosa edificante. Esaltare la guerra è pronunciare una bestemmia al pari di coloro che nel nome di Dio compiono azioni terroristiche. Erasmo da Rotterdam, grande intellettuale rinascimentale e cattolico tutto di un pezzo, definiva la guerra quanto di più forsennato e sventurato possa esistere. Entrambe le parti in lotta riceveranno più danni che vantaggi, mentre i governanti credono invece di trarre prestigio ed onori che sarebbe meglio trasformare in opere di prosperità e benessere per i loro sudditi. Papa Gregorio Magno diceva, d'altronde, che la sua cetra non cantava che lutti e sofferenze di fronte al dilagare delle violenze e delle rapine del suo tempo. Nessuno tuttavia più del poeta latino Orazio colse  nelle guerre il fondo di tanta miseria, rinnovando la condanna dei conflitti che il commediografo greco Aristofane stigmatizzava nella sua celebre "Lisistrata", descrivendo lo sciopero del sesso delle donne contro la violenza omicida dei loro mariti o addirittura il ricorso alle più raffinate arti di seduzione per eccitare i mariti al fine di distrarli dai pensieri di guerra.
Casalino Pierluigi 

mercoledì 13 aprile 2022

Laigueglia"s scholar Casalino Pierluigi is also on the Web

La guerra e il suo doppio.

 Da circa 5 mila anni, da quando la scrittura iniziò a registrare i fatti, gli uomini intraprendono delle guerre. Non riescono a smettere come ci dimostrano ancora gli attuali conflitti,  soprattutto quello ucraino che si combatte di nuovo sul Vecchio Continente. Se facessino una raccolta di testi greci e latini in proposito  potremmo spiegarci cos'era la guerra nel mondo classico greco latino.  Da Licurgo ad Aristotele, da Cesare a Plutarco, da Tito Livio a Erodoto si ritrovano brani di opere che parlano degli orrori o dei conflitti intestini, del desiderio di pace o di lotte civili. Non mancano testimonianze sui riti e la sacralità delle guerre o sul fatto che in esse, come ci ricorda Polibio, tutti i colpi sono permessi. Del resto Tito Livio scrive : "La guerra nutre se stessa". Analoghe considerazioni fa Kautilya, l'antico teorico e politologo indù, nel suo Arthasastra, modello di spietato realismo politico. 

Casalino Pierluigi 

lunedì 21 marzo 2022

1922-2022. Lo spirito di Rapallo (Rapallo Geist)

La storia d'Europa tra le due guerre mondiali ruoto' intorno al problema tedesco, forse esaltandone esageratamente l'importanza. Un problema che andava dalla spinosa questione delle riparazioni di guerra, al divieto di riarmo e ad altre tematiche minori. A dire il vero le richieste dell'Ungheria fecero più chiasso di quelle tedesche, così come quelle dell'Italia, offesa per gli scarsi risultati ottenuti per la sua partecipazione al primo conflitto mondiale, ma che a erano più eco sui giornali che nella realtà. Per risolvere il problema tedesco, ma soprattutto per ridare al Vecchio Continente e al mondo intero la possibilità di una concreta ripresa economica, venne convocata la Conferenza di Genova nella tarda primavera del 1922. A tale vertice non parteciparono gli Stati Uniti, che ritenevano inutile l'incontro  mentre furono presenti russi e tedeschi, i due reietti della politica internazionale, dopo la sconfitta della Germania imperiale e l'uscita dalla guerra della Russia bolscevica. I rappresentanti di esse, Rathenau e Cicerin raggiunsero un accordo segreto a Rapallo che evitava l'isolamento della Russia sovietica che si impegnava ad ospitare centri di produzione e di riarmo tedeschi sul proprio territorio secondo uno schema reciprocamente vantaggioso. Se pur forse le intese non fossero sincere, ciò si rivelò un momento decisivo per sminuire il problema tedesco, ma anche quello russo. Infatti il pericolo bolscevico era stato fermato alle porte di Varsavia dai polacchi e fu meno insidioso di quello zarista per l'Europa e l'Occidente in genere, nonostante le mosse spionistiche del governo sovietico e propagandistico nel mondo. I due contraenti parteciparano alla conferenza genovese, pur sospettando di essere ingannati. La Germania pensava di essere associata allo sfruttamento economico della Russia e la Russia pensava di dover chiedere risarcimento alla Germania. In realtà il trattato di Rapallo evitò una nuova crociata contro i sovietici e la rinascita della Triplice Alleanza, con molte chiacchiere sulle riparazioni tedesche. Nessuno poi intendeva reinserire la Russia nel concerto delle potenze, essendo stata già dai tempi zaristi un problema per l'Occidente. D'altra parte se i russi potevano essere di contrappeso ai tedeschi, ora se mai appariva utile il contrario.
Casalino Pierluigi 

Le ragioni del realismo. Perché la sicurezza dell'Ucraina dovrebbe valere meno di quella della Russia?

Premesso che il ricorso alla guerra non risolve mai i problemi, anzi li aggrava. Solo il dialogo e la diplomazia possono, infatti, ricomporre le controversie, nel rispetto delle diverse ed opposte reciproche ragioni. Ciò posto, c'è qualcuno che in Occidente- la madre degli sciocchi è sempre in cinta- che punta il dito sulle pretese di indipendenza ucraine, salvando quelle della sicurezza russa. Perché dunque la sicurezza dell'Ucraina dovrebbe valere meno di quella russa ? Perché i popoli che già soetimentarono il tallone zarista o sovietico non intendono ripetere le esperienze ungheresi del 1956, quelle cecoslovacche del 1968 e quelle della legge marziale imposta in Polonia negli anni ottanta del secolo scorso? Ci sarà una ragione perché gli utili idioti che non condannano Putin? La loro mancanza di reale conoscenza di geopolitica, ma anche il coinvolgimento economico, se non la corruzione. Nella prima repubblica questa gente non avrebbe neanche attaccato i manifesti. Anche la guerra in Iraq e in Libia furono degli errori, ma ci si arrivò dopo un acceso e sofferto dibattito. In Russia la guerra è stata decisa in segreto, pena la galera di chi si oppone. Se è vero infatti  che il realismo può avere un fondamento, come è stato codificato e teorizzato  già da politologi antichi come, ad esempio, l'indu' Kautilya nel suo Arthasastra, è bensì vero che tutti hanno diritto di non subire quello altrui.
Casalino Pierluigi 

sabato 19 marzo 2022

La sindrome russa.

Il tentativo russo di voler recuperare terrori non suoi, solo perché in passato appartenuti all'impero zarista o sovietico non è  nuovo ed è profondamente inaccettabile. Le sanzioni sono quindi sacrosante per ricondurre alla ragione Putin e i suoi seguaci e preservare l'umanità da guai peggiori. Le manovre del Cremlino rappresentano gravi violazioni del diritto internazionale, in quanto attentano alla indipendenza e alla libertà di stati sovrani e di popoli che chiedono solo di vivere in pace e difesi nella loro esistenza civile di soggetti giuridicamente riconosciuti. Si tratta di stati che si sono affrancati dal dominio russo e si sono resi indipendenti dopo un lungo tempo di asservimento a potenza straniera, quali sono stati l'impero zarista e quello sovietico e non intendono ritornare nuovamente sotto il tallone del nazionalismo moscovita. La deflagrazione dell'ordine zarista (al pari di quello austroungarico) ha generato stati nuovi nel Vecchio Continente, mentre il crollo dell'Urss ha sanato le ferite della guerra fredda e della cortina di ferro su popoli che amano la loro libertà. Non è pertanto accettabile la pretesa del Cremlino di voler riscrivere a suo uso e consumo la Storia, basandosi su menzogne spudorate e su operazioni di disinformazione e destabilizzazione delle democrazie occidentali. L'invasione dell'Ucraina e le precedenti azioni contro la Georgia costituiscono gravi attentati alla giustizia tra i popoli. Analogamente le minacce alla Polonia e ai Paesi Baltici e ad altri paesi costituiscono scellerate prese di posizione da condannare duramente. La guerra russo polacca del 1920, e' da celebrare per la schiacciante vittoria polacca dell'Armata Rossa, che pretendeva con la scusa della propaganda bolscevica di occupa re uno stato ex zarista, ma è anche da ricordare per spingere la comunità internazionale a tutelare l'indipendenza ucraina. Oggi Putin parla di nazismo, ma Stalin si alleò con Hitler per spartirsi la Polonia nel 1939, sempre a vantaggio dell'allargamento dei confini della Russia sovietica. La divisione dell'Europa del 1945 non può più tornare, ma neanche la linea della libertà del Vecchio Continente può essere valicata dall'irresponsabile despota del Cremlino.
Casalino Pierluigi 

Le minacce del demone russo.

La Russia dovrebbe pagare i danni all'unanimità per averla costretta a spendere somme ingenti per la propria difesa dalle inaccettabili minacce che nel tempo ha rappresentato per la sicurezza di molti Paesi nel mondo.
Casalino Pierluigi 

giovedì 17 marzo 2022

Samuel Pallache, ebreo marocchino, spia dei tre mondi.


La cultura ebraica fa parte integrante di quella marocchina. Per storia e tradizione si tratta due realtà inscindibili e non solo da quando tante famiglie di ebrei furono costrette ad abbandonare la Spagna nel 1492, alla caduta dell'ultima dinastia musulmana di Granada. La presenza ebraica in Marocco, terra universale e dalle molte anime, risale, infatti, già all'epoca preislamica e ne caratterizza, a sua volta, aspetti di assoluta originalità. Una folta comunità ebraica esisteva ed operava in quell'area, segnando in modo significativo la successiva  civiltà andalusa, di qua e di là del Mediterraneo. La fecondità e la profondità del patrimonio intellettuale dell'Islam iberico e nordafricano trae dall'elemento ebraico una ricchezza che oggi viene riconosciuta anche dal Museo della storia e della tradizione ebraica di Casablanca. Nel fare riferimento al rapporto intimo tra il Marocco e la sua anima ebraica, va accolta con interesse la traduzione italiana, in questi giorni in libreria, del fortunato libro di Mercedes Garcia-Arenal, Gerard Wiegers, "L'UOMO DEI TRE MONDI. STORIA DI SAMUEL PALLACHE, EBREO MAROCCHINO NELL'EUROPA DEL SEICENTO". L'esperienza di Pallache, che costituisce un ponte tra l'Europa e l'intero Maghreb, rivive nel ricordo della gente Fez, accanto alla memoria votiva interreligiosa dell'antico santuario ebraico della città marocchina. Samuel Pallache, nativo appunto di Fez (XVI secolo), rampollo di una famiglia rabbinica di provenienza ispanoandalusa, fu protetto dal Sultano Ahmad al-Mansur, il cui regno si estendeva da Marrakech a Timbuctu e ruotava nell'orbita politica e diplomatica inglese, francese e soprattutto olandese. Rifugiatosi nell'atavica Spagna (1603), dopo la caduta della dinastia sa'diana del suo protettore e lasciatosi alle spalle un Marocco dilaniato da guerre civili e da una terribile carestia, Pallache attraversò l'Europa, raggiungendo nell'ordine la Francia, l'Inghilterra e infine l'Olanda, dove si confuse con la locale comunità ebraica sefardita (di origini spagnole). Fu agente diplomatico, spia e mediatore di transazioni commerciali, sfruttando in Europa le sue conoscenze dell'ambiente marocchino e iberico. La sua azione spaziava da Istanbul a Londra, da Amsterdam a Fez, da Madrid a Tetuàn, a Lisbona, a Parigi. La sua stessa identità ebraica fu sfuggente e si collocò tra l'Islam e la Cristianità, tra contrabbandieri e pirati, tra mercanti e regnanti. Sensibile e costante restò il suo legame con l'originario Marocco, dove era appunto nato e verso il quale guardava sempre con immutata nostalgia. Si coglie in lui un'indiscutibile ansia di modernità, così come avveniva in quel manipolo di ebrei senza patria che erano soliti comportarsi come tali a Tangeri e a Lisbona o ad Amsterdam. Samuel fu maestro dell'arte della dissimulazione che teorizzò (al pari di altri suoi conterranei come Leone l'ebreo e Leone l'arabo) come la principale virtù politica. "Dio si trova in ogni cosa e in ogni luogo" scriveva al re di Spagna. Quando morì ad Amsterdam nel 1616, ormai abbandonato da tutti, Pallache lasciò ricordi diversi e controversi. Il suo ruolo di collegamento tra Marocco ed Europa, soprattutto con l'Olanda, venne però riconosciuto da molti, tra cui quel Maurizio di Nassau, che ne accompagnò l'ultimo viaggio verso il cimitero ebraico della città olandese. La riscoperta di Samuel Pallache costituisce un utile contributo alla conoscenza della storia del Marocco ed offre altresì la spunti di riflessione sull'importanza del lascito di insostituibile mediazione tra Oriente ed Occidente che continua a rappresentare il mondo ebraico.
Casalino Pierluigi.

domenica 13 marzo 2022

L'attacco russo all'Ucraina richiede anche una difesa europea, oltre al riaffermare la necessità della Nato.


L'attacco russo all'Ucraina ci ha rivelato la vera natura di chi l'ha lanciato, anche se non mancano ancora coloro che non vogliono capire. Sono quegli utili idioti che, per dirla con Lenin, esaltavano la rivoluzione bolscevica, senza capirla realmente. Lenin non c'è più, ma gli utili idioti esistono ancora e nella circostanza dovrebbero riflettere sui danni compiuti negli anni ad accreditare un personaggio come Putin. Tuttavia, lo stesso Putin dovrebbe ricordare che la storia russa ci ha insegnato che ogni guerra esterna del Paese che guida con la solita gestione autocritica di sempre in Russia porta inevitabilmente ad un cambio di regime. D'altra parte l'aggressione russa all'Ucraina è il risultato non solo del sistema di potere creato da Putin, ma obbedisce alla teologia della Russia come nazione-impero che risale al periodo pre-bolscevico. Un sistema che impone vicino ad esso degli stati fantoccio come la Bielorussia. E' stato scritto che l'invasione dell'Ucraina non equivale solo ad un gesto crudele uscito da una tragedia shakespeariana, ma si ispira alla ricerca di quello spazio vitale della nazione russa che si estende a tutti i Paesi che ruotano intorno a tale visione. Un po' come pensava Hitler con il pangermanesimo nazista finché qualcuno si ricredesse sul primo positivo giudizio che il dittatore tedesco fosse un gentleman. E andò come andò. In tale quadro, oltre a confermare il ruolo necessario della Nato, senza staccarsi dagli USA, come il Cremlino spera, occorre pure il salto di qualità di una comune difesa dell'Europa che, volere o no, dovrà prima o poi confrontarsi militarmente con uno stato canaglia com'è la Russia di Putin.
Casalino Pierluigi 

venerdì 11 marzo 2022

Thomas Hobbes



NEOFUTURISMO
NEOFUTURISMO SCIENZA E FUTURO TRANSFUTURISMO

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ottobre 13, 2016
"HOBBES'S LIFE AND THE FOUNDATION OF THE ENGLISH POLITICAL SYSTEM"



  by Casalino Pierluigi
 


Thomas Hobbes lived as quietly as he could contrive to do in a
troubled age, and might never turned his mind to politics had
political events not forced themselves upon his notice. He was born in
April 1588, the son of the Vicar of Wesport  near Malmesbury, in which
town he went to school until an uncle sent him, when he was fourteen
years old, to Magdalen Hall at Oxford. He stayed there five years till
he took his degree, and in 1608 left Oxford to become tutor to the son
of William Cavendish, Earl of Devonshire. With his pupil he visited
France and Italy, and on his return devoted himself to classical
scholarship. In the Cavendish circle he came to know Francis Bacon,
who confirmed him in his dislike for the scholastic and Aristotelian
philosophy taught at the two universities. In 1628 Hobbes pubblished
his translation of Thucydides, whom he described as most political of
historians and the most averse to democracy. That same year a
Parliament hostile to the king was elected, and the Petition of Rights
was passed. Thomas Hobbes paid his second visit to the Continent in
1629, as companion to the son of Sir Gervase Clinton, and it was then
that he dscovered  and "fell in love" with geometry, and came to
believe that true knowledge in every sphere is to be gained by the
method of geometry. In 1634, again with a young Cavendish, he went
abroad for his third time and did not return to England till 1637. It
was on this  visit that he was converted to "materialism", the
doctrine that all operations of the mind can be explained in terms of
bodily motions, and became to close friend of Gassendi, the most
prominent of French exponents of his doctrine. Hobbes, on this visit
abroad and the one before it, acquired his general philosophy, his
conceptions of knowledge and of nature. Sometimes before 1637 he
completed his first work of philosophy, the "Little Treatise", in
which he tried to explain sense-experience in terms of bodily motion.
His first political treatise, the Element of Law, was not completed
til 1640; it circulated in manuscript form and was not pubblished
until ten years later in two separate parts. But Hobbes believed that
Parliament, which had just met, might take offence at his treatise,
and so fled to France and remained there till the end of 1651. It was
while he was in France that his two most famous works, "De Cive" and
"Leviathan", apperead. In 1646 Hobbes had been appointed tutor in
mathematics to the future Charles II, but Leviathan, whch was
published in England, was badly received at the English court in
exile. For that reason, and for other, Hobbes decided to return home
after a stay abroad of more than ten years. From the time he went down
from Oxford in 1608 until his flight to France, Hobbes lived,as tutor
and fiend, mostly with the Cavendish family, but when he returned to
Englad in 1651 he settled in London. There he made friends with
Harvey, discoverer of the circulation of the blood, with the poet
Cowley, and with Selden, the jurist. He was by now famous, and
Harrington, the author of Oceana, though he disliked his political
philosophy, acknowledged him as the greatest thinker of his age. In
1655 Hobbes published De Corpore, a treatise on body or matter which
he had been working on for years, in 1656 his Questions Concerning
Liberty, Necessity and Chance, in which he defended his determinism
against Bishop Bramhall, and in 1657 his De Homine, dealing with
optics and human nature. During this period Hobbes was more concerned
with the physical sciences and with psychology than with society and
government. At the Restoration he feared the resentment of the
Royalists, but the generous and tolerant Charles II, of all English
kings the most at home with men of intellect, dealt kindly with him.
He received a pension of 100 pounds a year and was well received at
Court. If he was never elected to the Royal Society, which he aspired
to join, it was not owing to any reluctance on the part of its Royal
Patron; it was because he had incurred the hostility of various
professors by his attacks on the universities and his failure to
respect competence greater than his own. He was a very clever man who
thought he understood more than he in fact did, a fault which Oxford
seldom overlooks except in men who have grown old in Oxford. In 1666
Hobbes produced a Dialogue between a Philosopher and a Student of the
Common Laws of England, and in 1668 completed Behemoth, an account of
events in England from 1640 to 1660; but these two works were not
published until after his death, the first in 1681 and the second the
year after. The first is an attack on those who refused to look upon
the lawas, as Hobbes did, as mere commands of the sovereign, and the
second is recent history served up to drive home the lessons expounded
in De Cive and Leviathan. Though both works are interesting to the
student of Hobbes' political philosophy, neither adds anything much to
what he had said before. At the age of eighty-four Hobbes wrote his
autobiography in Latin verse, and two years later produced
translations of the Iliad and the Odyssey. He was indefatigable, and
was in better health and spirits in middle age and old age than he had
been in his youth. In 1675 he left London for the country, to live
once more with the Cavendishes. He died on 4th December 1679, in his
ninety-second year.
Casalino Pierluigi.
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mercoledì 9 marzo 2022

Francia, Italia e il pensiero di Von Clausewitz nel contesto del sistema Metternich.


ASINO ROSSO

La Francia e gli equilibri in Europa, nella prima metà del XIX secolo, secondo il pensiero di Von Clausewitz
in data dicembre 05, 2015

All'indomani del Congresso di Vienna il problema della Francia e delle
conseguenze delle guerre napoleoniche era la questione delle
questioni. Una situazione che sarà capovolta, paradossalmente, dopo la
Conferenza di Versailles, poco più di un secolo dopo, al termine della
prima guerra mondiale, quando il problema sarà quello della Germania.
Il timore dell'espansione della Francia verso est sarà per quasi tutto
il XIX secolo uno dei temi all'ordine del giorno delle cancellerie
delle grandi potenze. Anche durante la crisi austro-piemontese del
1859-1860, con lo schierarsi della Francia a fianco di Torino per
appoggiare il processo risorgimentale italiano il possibile
avanzamento dei confini francesi verso oriente divenne il rompicapo di
inglesi e prussiani. Soprattutto questi ultimi alzarono il livello
d'attenzione nei confronti della politica francese di Napoleone III
che pareva rinnovare le gesta francesi di sempre, dal XVII secolo in
avanti. Se anche la Gran Bretagna, ed in un certo senso anche la
Russia, si allarmarono per la cessione di Nizza e Savoia alla Francia
da parte della dinastia sabauda, fu soprattutto la Prussia a fare le
barricate contro ogni eventuale manovra espansionistica di Parigi
verso il Reno. E ciò per l'opinione che i vertici di quei due paesi
manifestavano nei confronti della Francia di quegli anni. La logica
del Congresso di Vienna era quella, infatti, di assicurare un processo
di stabilità degli equilibri nel Vecchio Continente, in vista di una
politica della sicurezza collettiva, oltre che per neutralizzare i
moti di nazionalità che l'epoca napoleonica aveva suscitato.
Sull'argomento e in particolare sul pensiero di Von Clausewitz sulle
questioni nazionali in Europa e sulla necessità di arginare le
nascosta pretese francesi sul piano internazionale si è avuto modo di
intervenire con precedenti note dedicate alla visione clausewitziana.
E' qui il momento di analizzare, con richiamo all'atmosfera del tempo,
le preoccupazioni dell'autore prussiano, celebre per la sua teoria
sulla guerra. Sullo sfondo della sua vicenda personale, giova tornare
al pensiero di Von Clausewitz e sul suo interpretare la crisi europea
del 1830-1831: crisi alla cui origine Clausewitz vedeva la Francia,
una Francia che univocamente, secondo lo studioso tedesco,
rappresentava una seria minaccia per l'equilibrio europeo. Ne emerge
una serie di considerazioni di natura strategica che, in contemporanea
alla rivolta polacca di quegli anni, che pur raccoglieva simpatia nei
circoli liberali germanici, offrono l'esempio di un ragionamento
politico chiaramente fondato sul principio dell'equilibrio di potenza
europeo. Clausewitz incentra le sue riflessioni sul concetto della
assoluta pericolosità della Francia per gli assetti del Vecchio
Continente: Clausewitz accusa, infatti, Parigi di essere l'unico
fattore di disturbo europeo. La Polonia, infatti, sarebbe rimasta, ad
avviso dell'autore, una nullità se la Francia non ne volesse fare un
punto d'appoggio delle proprie ambizioni espansionistiche. Non solo:
Clausewitz riteneva il turbamento europeo più conseguenza di tali
ambizioni di potenza della Francia che della spartizione polacca. La
Germania, dunque, era la prima ad essere strettamente minacciata da
questa politica, mentre al tempo di Luigi XIV, quando era iniziata la
pressione egemonica francese, la Germania era meno esposta. Allora a
fare da contrappeso c'erano l'Inghilterra, l'Olanda, la Spagna,
l'Italia e la Polonia, naturale alleato della Francia, non costituiva
un pericolo per la Germania: pericolo che ora diventava incombente,
secondo Clausewitz, a seguito della restaurazione statuale polacca,
pericolo che, trascorso neanche un ventennio dal Congresso di Vienna
(1815), si andava ad aggiungere al rischio di una rinnovata condotta
espansionistica francese. Il senso di queste preoccupazioni non fu
colto dalla maggioranza dei tedeschi, che consideravano augurabile una
restaurazione dello stato polacco (diverso sarà l'atteggiamento
dell'opinione pubblica tedesca nel 1939, quando Germania nazista e
Russia sovietica si spartirono la Polonia). Clausewitz pensava che
della ricostituzione di uno stato polacco avrebbero fatto le spese
l'Austria (che poi avrebbe perso anche i suoi sudditi italiani) e la
Prussia, che avrebbe rischiato di perdere anche Danzica. Clausewitz a
questo punto polemizza con gli inglesi che simpatizzavano per la causa
polacca e avvertiva loro che il loro vero avversario Europa, anzi
naturale antagonista, era la Francia. Qui lo studioso prussiano
sottolineava che non era il caso di contrapporre dispotismo e
liberalismo, ma la questione polacca esulava dal tema ideologico, per
rientrare in quello della sicurezza degli stati. I vincitori della
Francia nel 1814-1815 si erano limitati a riprendersi ciò che era
stato loro tolto dai francesi, ma non avevano sufficientemente
riflettuto sul rinascere della grandezza della Francia. , una Francia
che per quattordici anni aveva piegato la nuca sotto il tallone dei
suoi nemici e che adesso aspirava a rialzare la testa. La Francia ha
delle qualità e delle ambizioni nazionali che altri (in primis la
Prussia che non poteva contare su su istituzioni forti ed omogeneità
di popolo) non hanno e come tale sarà pronta, scriveva Clausewitz, a
giocare nuovamente un ruolo di primo piano. Del resto le stesse
potenze vincitrici avevano riconosciuto nell'atto di pace che "Il faut
que la France soit forte". Clausewitz non sospettava che la nuova
intesa franco-britannica corrispondeva agli interessi di quelle due
società borghesi. Clausewitz vedeva solo il contrasto Francia-Prussia
e sulla necessità di ricostituire un'alleanza antifrancese. Per quanto
riguarda poi le aspirazioni nazionali di belgi, italiani e polacchi,
tali sentimenti non potevano essere un moto sufficiente per puntare
all'indipendenza, se dietro questi atteggiamenti non ci fosse la
Francia. In ispecie, l'Italia, considerata un ante-murale della
Germania, non sarebbe mai stata in grado di raggiungere
l'indipendenza, senza il contributo francese. Inoltre Clausewitz
giudicava impossibile un pericolo russo, dal momento che la Russia era
metà europea e metà asiatica e quindi lontana da costituire una grave
minaccia immediata per la Germania, mentre la vera minaccia veniva
dalla Francia, dove aleggiava ancora un forte spirito bonapartista. Lo
studioso temeva una rottura tra Vienna e Berlino, cosa si verificherà
trent'anni dopo, a favore della Prussia, grazie al suo discepolo Von
Moltke. Clausewitz preparò un piano per una futura guerra contro la
Francia per tarpargli le ali: conflitto che avrebbe dovuto riunire
Austria, Bund tedesco, Inghilterra, Paesi Bassi, Russia, restando
neutrali Spagna, Regno di Napoli e Regno di Sardegna, perché reduci da
rivoluzioni che hanno coinvolto anche le loro forze armate. Una
Francia completamente unita non avrebbe, però, potuto essere
completamente abbattuta e comunque sarebbe stato difficile recuperare
le stesse strategie del 1814-1815. Fin qui il pensiero del teorico
della guerra sulle esigenze di una sicurezza collettiva in Europa in
quel tempo, ma, pur in presenza di alcuni errori di valutazione, il
patrimonio clausewitziano resta fondamentale per lo studio degli
equilibri europei del XIX secoli e non solo.
Casalino Pierluigi, 6.12.2015

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Come e perché Nizza divenne francese

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Von Clausewitz, Metternich e l'ordine europeo 1,2. Due analisi



NEOFUTURISMO
NEOFUTURISMO SCIENZA E FUTURO TRANSFUTURISMO

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novembre 30, 2014
LA QUESTIONE ITALIANA NEL PENSIERO DI VON CLAUSEWITZ.
La creazione di uno stato belga autonomo, all'indomani del Congresso di Vienna del 1815, sotto l'influenza diretta o indiretta della Francia, pone alla Prussia e alla Germania nel suo complesso il problema della sicurezza dei loro confini occidentali. Analoghe considerazioni vengono formulate circa la possibile indipendenza dell'Italia nel contesto del sistema difensivo tedesco. In particolare von Clausewitz, di fronte all'ondata di rivendicazioni nazionali e delle successive agitazioni che rischiano di mettere in risi l'ordine europeo scaturito dalla caduta di Napoleone, l'Autore de LA GUERRA afferma la sua convinzione che l'Italia debba restare un elemento fondamentale nel quadro degli interessi strategici tedeschi. Che l'Italia possa conseguire l'unità e l'indipendenza è un interrogativo da lasciarsi al futuro, secondo lo studioso prussiano. "Un punto, però, ci sta a cuore: che l'emancipazione dell'Italia non sia cercata a costo della nostra indipendenza:noi chiediamo ai "cosmopoliti" tedeschi se preferiscano un'Italia divisa, in particolare sottoposta a potenze straniere e una Germania indipendente, oppure viceversa una Germania soggiogata, cacciata dal rango dei popoli autonomi e un'Italia indipendente. Questo è il quesito da porsi necessariamente, se non si ha paura di guardare in faccia la realtà". Clausewitz non crede che "la massa del popolo italiano" abbia la capacità di raggiungere l'indipendenza da solo, ma dietro ad esso c'è sempre la Francia. Gli torna alla mente la campagna napoleonica del 1796-1797 conclusa con la pace di Campoformio. Sulla base di tale esperienza "anche l'Italia è da considerare un antemurale della Germania e non possiamo essere indifferenti se i frivoli e disuniti italiani attraverso una momentanea confusione politica offrono ai francesi il mezzo di combattere con maggiori vantaggi quella potenza in cui riposa il baricentro della resistenza europea (alla Francia), cioè la potenza tedesca". E quando si parla in Clausevitz di potenza tedesca si noti che l'Autore si riferisce indifferentemente a Germania e ad , senza preoccuparsi di precisare che è Vienna ad avere il proprio primario interesse in Italia. I problemi della balance of power trattati da Clausevitz e le contemporanee questioni nazionali torneranno frequenti successivamente e saranno al centro dei conflitti della fine del XIX secolo e più ancora del XX secolo. Echi di tale contenzioso, peraltro e a ben riflettere, non sembrano del tutto spenti al tempo dell'Europa comunitaria dei nostri giorni.
Casalino Pierluigi, 30.11.2014
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a cura di Roby Guerra- Futurismo Space (scrittore e blogger), a/da Ferrara Italy "Abbiate fiducia nel Progresso. Ha sempre Ragione anche quando ha torto. MARINETTI


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novembre 30, 2014
LA QUESTIONE ITALIANA NEL PENSIERO DI VON CLAUSEWITZ.
La creazione di uno stato belga autonomo, all'indomani del Congresso di Vienna del 1815, sotto l'influenza diretta o indiretta della Francia, pone alla Prussia e alla Germania nel suo complesso il problema della sicurezza dei loro confini occidentali. Analoghe considerazioni vengono formulate circa la possibile indipendenza dell'Italia nel contesto del sistema difensivo tedesco. In particolare von Clausewitz, di fronte all'ondata di rivendicazioni nazionali e delle successive agitazioni che rischiano di mettere in risi l'ordine europeo scaturito dalla caduta di Napoleone, l'Autore de LA GUERRA afferma la sua convinzione che l'Italia debba restare un elemento fondamentale nel quadro degli interessi strategici tedeschi. Che l'Italia possa conseguire l'unità e l'indipendenza è un interrogativo da lasciarsi al futuro, secondo lo studioso prussiano. "Un punto, però, ci sta a cuore: che l'emancipazione dell'Italia non sia cercata a costo della nostra indipendenza:noi chiediamo ai "cosmopoliti" tedeschi se preferiscano un'Italia divisa, in particolare sottoposta a potenze straniere e una Germania indipendente, oppure viceversa una Germania soggiogata, cacciata dal rango dei popoli autonomi e un'Italia indipendente. Questo è il quesito da porsi necessariamente, se non si ha paura di guardare in faccia la realtà". Clausewitz non crede che "la massa del popolo italiano" abbia la capacità di raggiungere l'indipendenza da solo, ma dietro ad esso c'è sempre la Francia. Gli torna alla mente la campagna napoleonica del 1796-1797 conclusa con la pace di Campoformio. Sulla base di tale esperienza "anche l'Italia è da considerare un antemurale della Germania e non possiamo essere indifferenti se i frivoli e disuniti italiani attraverso una momentanea confusione politica offrono ai francesi il mezzo di combattere con maggiori vantaggi quella potenza in cui riposa il baricentro della resistenza europea (alla Francia), cioè la potenza tedesca". E quando si parla in Clausevitz di potenza tedesca si noti che l'Autore si riferisce indifferentemente a Germania e ad , senza preoccuparsi di precisare che è Vienna ad avere il proprio primario interesse in Italia. I problemi della balance of power trattati da Clausevitz e le contemporanee questioni nazionali torneranno frequenti successivamente e saranno al centro dei conflitti della fine del XIX secolo e più ancora del XX secolo. Echi di tale contenzioso, peraltro e a ben riflettere, non sembrano del tutto spenti al tempo dell'Europa comunitaria dei nostri giorni.
Casalino Pierluigi, 30.11.2014
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a cura di Roby Guerra- Futurismo Space (scrittore e blogger), a/da Ferrara Italy "Abbiate fiducia nel Progresso. Ha sempre Ragione anche quando ha torto. MARINETTI

Gli ordini e i confini sono degli effimeri limiti, provissorie soste e brevi intervalli legati ai movimenti dei popoli e dei loro regimi. Interessi economici e disegni militari vengono in urto nell'illusione che un ordine sia definitivo, mentre invece uno segue inevitabilmente l'altro in un eterno modificarsi. Il campione della ricerca dell'ordine definitivo fu Metternch,ma l'assertore del primato della geopolitica fu Von Clausewitz, che, nelle coordinate del suo tempo, coevo di Metternich, rappresentò l'interprete più autorevole, se pur fondata,sulla teoria della guerra. Il decisore clausewitziano della politica è riconducibile all'affermazione sovrana, cioè è il sovrano stesso che racchiude in sé, essendone depositario, l'intera legittimità politica, una legittimità che costituisce un altro tipo di ordine, un ordine che è determinante per spostare i confini. Le condizioni della razionalità politica della guerra traducono nel nostro linguaggio e nel nostro sistema gli assiomi base clausewitziani e cioè la guerra è soltanto una parte del rapporto politico dunque non è nulla di autonomo e pertanto la guerra per essere efficace deve avere il sostegno del popolo. La possibilità credibile poi dello scontro armato, vale a dire la sua accurata preparazione materiale e morale è l'equivalente funzionale della insostituibilita dell'uso militare nella regolamentazione dei conflitti. Questo enunciato ci sembra particolarmente adatto per le democrazie che si sentono corresponsabili dell'ambiente geopolitico che le circonda. Quando esso, infatti, cade vittima di crisi autodistruttive che  minano in maniera palese e intollerabile i criteri minimi di libertà, equità, tolleranza e benessere, una democrazia matura può ricorrere alla misura estrema dell'intervento armato o alla sua minaccia credibile con atti e misure che precedono una consapevole e mirata disposizione culturale all'intervento militare. Cultura militare, competenza strategica e coscienza democratica non sono per noi termini compatibili, ovviamente, come lo erano per il prussiano Clausewitz.
Casalino Pierluigi 

domenica 6 marzo 2022

Tucidide e il pensiero politico

Pierluigi Casalino blog 2020

TUCIDIDE E IL PENSIERO POLITICO
Scritto ilGENNAIO 7, 2017

La guerra tra Atene e Sparta fece costantemente da sfondo a molta parte del pensiero politico greco della fine del V politico. Questa guerra ci è nota principalmente attraverso la STORIA scritta da Tucidide; e mentre sarebbe superfluo descrivere qui la guerra o quello che lo stesso Tucidide ce ne dice, è invece essenziale fermarci su alcuni aspetti dell’opera e sull’importanza nella storia del pensiero politico. A parte certe digressioni, inserite per vari motivi, le parti narrative della STORIA di Tucidide vertono specialmente su operazioni navali e militari; poco vi troviamo, fatta eccezione per il libro VIII, sulla storia interna di Atene, donde egli fu esule per vent’anni (424-404 a.C.), o su questioni costituzionali; Tucidide non scriveva una storia politica in senso proprio, e le rare volte che esprime approvazione o disapprovazione, si riferisce più al modo di condurre la guerra che non a principi politici. Pure, era proprio l’azione politica, se non i principi, ciò che più lo interessava: il modo di agire degli uomini e degli Stati e degli uomini negli Stati. E appunto perché capiva gli uomini in questo contesto, poté scrivere una storia perspicua del loro modo di comportarsi, storia che, essendo la prima del genere, occupa un posto nella letteratura politica non meno che nella storiografia. Erodoto sapeva molto della natura umana per altri aspetti; ma la generazione che separava Erodoto da Tucidide aveva visto compiersi grandi progressi nello studio dell’uomo, nonché grandi mutamenti sociali e politici. Tucidide affrontò lo studio della storia contemporanea, come Euripide faceva per i problemi sociali e religiosi, con la scorta di un’educazione nuova, una più larga e profonda conoscenza e uno spirito 8più critico. Se tuttavia, però, la sua è opera prima di tutto storica e non un diretto contributo allo studio della politica, ci sono buone ragioni perché, in una storia del pensiero politico, essa sia oggetto di un esame speciale e distinto, quale non si dedica all’opera di Aristofane o degli oratori greci, per quanto ricca di politica possa essere. La prima e fondamentale ragione di ciò sta nel fatto che Tucidide incluse nella sua storia discorsi e discussioni. Anche altri lo avevano fatto, ma Tucidide vuole che i lettori comprendano il valore storico dei discorsi e non li scambino con le produzioni semi-drammatiche dei suoi predecessori. E tutto dimostra quanto Tucidide fosse pervaso da quel pensiero filosofico che aveva soppiantato il mito nelle idee dei suoi contemporanei. Capitale in questa logica ci sarà anche il concetto di Fortuna, che Tucidide legherà non solo alla buona sorte, ma in special modo alla capacità di governo attraverso l’intelligenza. Argomento questo che sarà oggetto di ulteriori mie future analisi su questo blog.

 

Casalino Pierluigi

 

PUBBLICATO INGeopolitica
1924-1929 Les incertitudes de la détente en Europe.
Scritto ilNOVEMBRE 27, 2016

 
Les facteurs de cette détente sont divers. Outre l’apaisement du litige des réparations, le climat politique compte: la victoire du Cartel de gauches en France en mai 1924 facilite l’abandon de la politique de stricte “éxecution”. De part e d’autre du Rhin, deux personnalités exercent des influences convergentes, me^me si leurs objectifs finaux diffèrent. Chef du Quai d’Orsay de 1925 à 1932, Briand souhaite la réinsertion de l’Allemagne dans le concert international, et Stresemann, en Allemagne, désire restaurer la puissance économique de Berlin, avec l’aide financière des Anglosaxons. En jouant le jeu de la détente il fourni des gages à ceux-ci. Redevenue puissante, l’Allemagne pourra alors obtenir une révision du traité de Versailles. Les signes de détente se multiplient à partir de 1925. Par les accords de Loarno (octobre 1925) l’Allemagne reconnai^t sa frontière occidentale avec la France et la Belgique; l’Italie et le Royaume-Uni garantissent l’accord. L’armée française évacue la Ruhr en décembre 1925 et en septembre 1926, sous le parrainage de la France, l’Allemagne entre à la SDN. En aou^t 1929, la France accepte l’évacuation anticipée de ses troupes de Rhénanie. Pendant quelques années, la vie internationale est dominée par l’esprit de Genève. Apo^tre de la paix, Briand obtient la collaborasion des E’tats-Unis pour mettre la guerre “hors la loi”: signé le 27 aou^ 1928 par quinze pays, le pacte Briand-Kellog de renonciation à la guerre sera finalement approuvé par cinquante-sept  E’tats, dont la Russie soviétique. En réalité ce pacte, totalement illusoire ne comprende aucun engagement concret. Briand désire aller plus loin et faire les E’tats-Unis d’Europe par une sorte de lien fédéral. Ce projet de Fédération européenne, à la la fois économique et politique est prématuré. Aucune grande puissance ne le soutien, et la crise le fait rapidement sonbrer dans l’oubli. Il constitue pourtant la prmière initiative d’envergure pour construire l’Europe unie. Le manien des nationalismes et une prospérité fragile et un rapatriement brutal de ces dollars remettrait en cause de fond en comble l’équilibre européenn.

Casalino Pierluigi, 27.11.2016

PUBBLICATO INGeopolitica , Senza categoria
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Memorie della Cina italiana.

Crise économique et relations internationales (1929-1939)

L'année marque le point de retournement de la conjoncture économique du monde capitaliste industrialisé, qui plonge dans la plus grave dépression de son histoire. Dix ans plus tard se déclenche la seconde guerre mondiale. La chute de la croissance enregistrée partout dès la seconde moitié de 1929 s'aggrave à partir de 1931.La crise s'approfondit en Europe en raison du retrait massif des capitaux américains. L'Europe germanique, dépendante de ces capitaux, est la première touchée. L'annonce d'un projet d'union douanière Allemagne-Autriche (mars 1931) déclenche dans les milieux financiers la crainte d'un Anschluss économique: l'Autriche plonge après la faillite de la Banque Kreditanslat, puis l'Allemagne après le crach de la Danat Bank. A l'été 1931, le Royaume-Uni subit à son tour une hémorragie de capitaux. La France, moins insérée dans les échanges et dotée d'une monnaie forte, est dans l'immédiat moins touchée.
Casalino Pierluigi.

domenica 27 febbraio 2022

La marche à la guerre (1930-1939)

La crise économique mondiale des années 1930 bouleverse les relations internationales. Dès 1931, le Japon se lance dans la conquête extérieure. L'effondrement économique de l'Allemagne permet l'accession au pouvoir de Hitler en 1933. Dès alors, les initiatives de dictatures scandent le rythme de la politique étrangère, menant inexorablement et inévitablement à la guerre. En Europe, la relative accalmie du climat international (1937) conforte les Britanniques dans leur intention de pratiquer l'' apaisement" à l'égard de l'Allemagne. Cette politique est avant tout incarnée par le Premier ministre, Chamberlain. Ce dernier, moyennant la satisfaction des revendications allemandes en Europe centrale, espère parvenir avec Hitler à un partage de l'Europe en zones d'influence: erreur profonde sur la nature du nazisme. De son côté, Hitler préfère poursuivre le réarmement à outrance, pour ne pas se lancer dans de nouvelles initiatives sans avoir derrière une force suffisante. L'accession de la Chine par le Japon en juillet 1937 est le signe avant-coureur de la guerre mondiale. Pour Hitler l'Anschluss de l'Autriche (mars 1938), son pays natal, n'a aucun droit légitime à l'indépendance: elle constitue une terre allemande, mais figure parmi les priorités du Fuhrer, d'autant que Mussolini a abdiqué ses ambitions en Europe danubienne. Face à ce coup de force, les réactions des démocraties ont été inexistantes. Le démembrement de la Tchécoslovaquie, après les accords de Munich (30 septembre 1938) est un nouveau pas vers la guerre. Ouvrant les yeux, Chamberlain se rend compte que Hitler "n'est pas un gentleman" et que la guerre sera préférable à toute nouvelles capitulations. Daladier pense de même. Encouragé par les succès hitlériens, Mussolini fait envahir l'Albanie en avril 1939 e l'annexe aussitôt. Le 22 mai, une alliance offensive dénommée "Pacte d'Acier" unit l'Italie a l'Allemagne. A partir d'avril 1939, Hitler s'en prend à la Pologne et il réclame l'annexion de la ville libre de Danzig, peuplée d'Allemands, et l'exterritorialite' pour le corridor que relie Dantzig à l'Allemagne. Français et Anglais, désormais résolus, ont accordé leur garantie à la Pologne et cherchent à gagner l'alliance de la Russie soviétique pour encercler l'Allemagne. De son côté, l'Allemagne, décidée à éliminer la Pologne, veut à tout prix éviter de combattre sur deux fronts. C'est la raison pour laquelle le ministre Ribbentrop tombe finalement d'accord avec les Soviétiques et le 23 août 1939 est signé un pacte germano- soviétique de non-agression: un protocole secret partage la Pologne en deux et céde les Pays Baltes à l'URSS. Hitler a désormais les mains libres à l'Est et le 1er septembre 1939, la Wehrmacht pénètre en Pologne sans déclaration de guerre. Contrairement à ce que espérait Hitler, l'Angleterre et la France déclarent la guerre à l'Allemagne, le 3 septembre.
Casalino Pierluigi 

Russia (Cina e ovviamente Corea del Nord), senza risposta le richieste di più democrazia.


Niente doveva fermare la grande democratizzazione avviata pochi anni prima da Deng Xiaoping. Chiedersi quante vite sarebbero costate fermare le manifestazioni di piazza Tienanmen, nel 1989, non era un'opzione. Ora i giovani di Hong Kong sanno quanto Pechino sia ancor più determinata ad eliminare qualsiasi ostacolo alle sue ambizioni di grande potenza indiscussa, economica e geopolitica, basandosi su un nazionalismo senza limiti, per coprire le ombre di un presente non troppo sicuro. Ma quei giovani non mollano. I manifestanti di Mosca e in tutta la Russia(ma anche in Bielorussia) contro la guerra in Ucraina sanno che cosa sia per Putin il sistema liberal democratico, da lui definito obsoleto, tanto per lavorare per distruggerlo. L'ideale di libertà, tuttavia, anche nei Paesi sovrani del dispotismo, non tramonta. È vero, certo, che e' una cosa manifestare a Trafalgar Square, un'altra nelle fauci dell'orso o della tigre. Eppure, perché non credere che la missione di alzare la bandiera della libertà anche da quelle parti sia impresa impossibile? I semi di libertà fra lacrimogeni e manganellate possono produrre sempre buon frutto. Se poi anche l'Occidente democratico saprà correggere i propri errori e dimostrare che il nazionalismo e il populismo non saranno sicuramente il naturale modello del futuro, mentre chi si oppone alla repressione in Cina e in Russia sarà arrestato e finirà in galera, forse il modello putiniano avrà i giorni contati. Se in Russia la democrazia è qualcosa di estraneo storicamente (mezzo millennio di autocrazia zarista, Lenin, Stalin e ora Putin) e l'effimero periodo di libertà garantito, se pur in modo anomalo, da Eltsin, è stato un disastro che ha arricchito pochi, impoverendo l'intero Paese, umiliandolo, continuano ad esserci russi che rivendicano un futuro libero, democratico e migliore del presente nazionalista e militarista imposto da Vladimir Putin. Un'analoga speranza che coltivano anche i giovani cinesi e nord coreani.
Casalino Pierluigi 

sabato 19 febbraio 2022

I rischi della democrazia tra appannamento dei valori, disaffezione e propaganda negativa da parte dei regimi autoritari

La salute della democrazia appare oggi piuttosto precaria, priva com'è di quello slancio ideale originario che ne ha fatto la fortuna presso i popoli occidentali ed evoluti. Le sottili insidie portate ad essa dai regimi dispotici non sono che il momento finale di un'involuzione assai pericolosa, tendenza che va arrestata e capovolta se si vuole sopravvivere alla barbarie del dispotismo. Una barbarie confermata dal ritorno del panslavismo di Putin, che vuole restaurate l'impero del kgb in Europa. Come il pangermanesimo hitleriano portò alla guerra, così il nazionalismo russo in versione neo zarista alla Putin apre scenari inquietanti per la sicurezza del Vecchio Continente e delle sue libere istituzioni. La stessa indolenza dei regimi democratici  spesso attratti più dagli incasti connubi con i nuovi tiranni comporta l'arrendevolezza di fronte all'arroganza degli uomini forti e dei loro regimi. L'opinione pubblica occidentale stordita da correnti non propriamente democratiche fa tornare indietro l'orologio della Storia. Il tragico passato può ripetersi in termini ancor più disastrosi oggi, mentre l'amore smodato per la democrazia ha condotto le società ad una insidiosa demagogia che trova linfa attraverso le azioni destabilizzanti dei padroni degli Stati, dove il consenso è solo un simulacro.
Casalino Pierluigi 


domenica 13 febbraio 2022

Cent'anni dopo la morte di Walter Rathenau


Il nome e la figura di Walter Rathenau, statista tedesco della Repubblica di Weimar è legato soprattutto a quel Rapallo Geist che a margine della Confenza di Genova del 1922 vide l'intesa tra  la Germania e la Russia dei Soviet su molte questioni, non ultima quella di una segreta cooperazione militare tra i due stati usciti ridimensionati dal primo conflitto mondiale. Tuttavia nella storia,del pensiero economico le idee di Walter Rathenau furono parimenti importanti. Nel suo "Meccanica dello Spirito (1913)  Rathenau, caduto il 24 giugno 1922 per mano di terroristi di estrema destra, esprime il simbolo della coscienza più profonda e inquieta del capitalismo, di un'ansia di vedere oltre la razionalità organizzatrice della moderna impresa. Rathenau, rappresentante e teorico della nuova economia e di una diversa forma di Stato, ci rinvia a quell'angoscia tecnocratica che si rivive all'interno di una grande impresa. "L'intelletto, scriverà Rathenau, ha risposto sulle cose ultime che conferiscono significato all'intero nostro mondo. Questo bisogno di regno dell'anima o supplemento d'anima accompagna il corso del moderno capitalismo. Talora appare di sfuggita come la tragicità di un'assenza, di una assoluta ed incolmabile incompletezza. Rathenau esprime dunque questo profondo tormento, questa ansia irreprimibile tra la razionalità organizzativa e le leggi della moderna economia, tra il regno dei fini che impongono al tecnocrate una rinascita interiore e la gabbia della meccanizzazione. Pur sfiorando l'evasione estetica e le visionarie finezze dell'animo, una simile riflessione nasce dal tecnocrate. Un centenario,  quello della morte di Rathenau, che svolge una funzione feconda e costruttiva e che ci ricorda quanto del Novecento sia ancora dentro di noi.
Casalino Pierluigi 

domenica 16 gennaio 2022

Il destino di Mentone e Roccabruna dal Principato di Monaco alla Francia


Dopo aver proclamato, il 2 marzo 1848, la costituzione di Mentone e Roccabruna di Città Libere e la loro separazione dal Principato di Monaco, i Mentonaschi, il 30 giugno dello stesso anno affermarono con un plebiscito la loro volontà di far parte del Regno dell'Alta Italia in via di formazione. In seguito alle proteste e alle pressioni del Principe di Monaco, il governo di Parigi si oppose al progetto di annessione, intervenendo presso le autorità piemontesi a favore del Principe monegasco. Rappresentanti delle due città si recarono subito a Torino per perorare la causa dei concittadini. L'esito fortunato della missione tuttavia fu reso vano dalla sconfitta di Novara. In tale contesto la Francia mantenne più o meno apertamente la propria ostilità al progetto. Altre iniziative volte a far parte della nuova Italia da parte delle Città Libere furono promosse in successive occasioni (e in particolare nel 1854), al fine di contrastare ogni tentativo di restaurazione compiuto dai Principi di Monaco. Il tutto va spiegato con la sottile ed abile politica francese che, dietro le quinte di una apparente neutralità, seppe trascinare la questione, così sentita dalla gente locale, per anni, con il risultato che la Rivoluzione di Mentone e Roccabruna sfociasse anziché nell'annesione al Regno di Sardegna e poi d'Italia, nel voto artefatto del 1860, che determinò l'annessione di italianissimo suolo italiano alla Francia. 
Casalino Pierluigi