Platone scrive nella Repubblica che "uno stato nasce perché ciascuno di noi non basta a se stesso, ma ha molti bisogni....così per in certo bisogno ci si vale dell'aiuto di uno, per un altro quello di un altro: il gran numero di questi bisogni fa riunire in un'unica sede molte persone che si associano per darsi aiuto, e a questa coabitazione abbiamo dato il nome di stato." E' poi, naturalmente, principio aristotelico che l'uomo sia per natura "animale politico". In proposito il filosofo arabo al-Fa^ra^bi ripete che "non è possibile (all'uomo) pervenire alla (perfezione), isolandosi (infira^d) e trascurando la cooperazione (mu'a^winah) con i suoi numerosissimi simili" e aggiunge, traducendo Aristotele, che "l'animale umano si chiama anche animale sociale (yusamma^ al-hayawa^n al-insa^ni^ wa al-hayawa^n al madani^). E' qui stimolante considerare la posizione dantesca, relativa al rapporto società-felicita', letta in un'ottica aristotelica-araba. Dante mostra di avere molto a cuore il benessere sociale e, aristotelicamente, lo finalizza alla felicità. E' una posizione che lo avvicina agli arabi, che ne fa l'erede- soprattutto, è vero, attraverso Averroe'-, di problematiche che al-Fa^ra^bi per primo contribuì ad elaborare. Il fine dell'uomo è la felicità, filosofica e spirituale; il compimento dell'umanità consiste nella realizzazione della potenzialità intellettiva, cioè nella piena attuazione dell'intelletto possibile. Ciò si realizza solo grazie alla partecipazione dei singoli alla società. Potremmo intessere una tela di citazioni, ma sono soprattutto la Monarchia e il Convivio a darci la chiave dell'interpretazione dantesca. Dante è chiaramente vicino all'averroismo, sostenendo che "è evidente che il termine ultimo della potenza dell'intera umanità è la potenza o virtù intellettiva" (Dante 1989,I,3:9). Tuttavia, "il genere umano è assolutamente simile a Dio quando è assolutamente uno (...).E allora il genere umano è assolutamente uno, quando è tutto unito in uno: e questo non può essere se non quando soggiace interamente sotto un unico principe. Ciò giustifica, naturalmente, la necessità della vita sociale e il suo ordinamento specifico sotto la monarchia; e il saggio ordinamento terreno, sempre secondo Dante, è lo specchio di quello superno, poiché "l'ordinamento di questo mondo segue quello insito nelle sfere celesti". Del resto, nel compiuto esplicarsi della propria attività umana, l'uomo si fa simile agli angeli. Si tratta, dunque, di una tipica concezione "greco-araba", e ,in particolare, al farabiana, una concezione che non può non cogliere nel rapporto tra il sopra e il sotto il disegno di un'unica armonia. Anche nel Convivio, Dante si rivela profondamente imbevuto di prospettive arabe, pur spesso celando le sue fonti, come quando riecheggiano sia al-Fa^ra^bi che Ibn Rushd (l'Averroe' dei Latini), sostiene che "l'umana natura non per una beatitudine abbia, ma due, sì come quella de la vita civile, e quella contemplativa" (Dante 1993, II, 4:98). Il sapere è causa della della perfezione, e il sapere "è l'unica perfezione nostra, sì come dice lo Filosofo nel sesto dell'Etica, quando dice che 'l vero è lo bene de lo intelletto". Così come tutte le virtù formative provengono dalla virtù celestiale, la felicità provienevdall'influsso della struttura intellettuale: " S'elli avviene che, per la puritade dell'anima ricevente, la intellettuale virtude sia bene astratta e assoluta da ogni ombra corporea, la divina boutade in lei multiplica, sì come in cosa sufficiente a ricevere quella, e quindi si multiplica, ne l'anima di questa intelligenza secondo che ricevere puote, E' questo è quel seme di felicitade del quale al presente si parla". Di fatto, "l'anima umana....con la nobilitate de la potenza ultima, cioè ragione, participa de la divina natura a guisa di sempiterna intelligenzia". E' "l'amoroso uso di sapienza, il quale massimamente è in Dio", ma che può divenire strumento di quell'infinito desiderio della scienza che, a sua volta, è veicolo della perfezione umana" (misurata)in questa vita a quella scienza che qui avere si può". Le considerazioni dantesche su un unico principe non vanno, peraltro, troppo disgiunte da quelle di al-Fa^ra^bi, se pur nella diversa sfera culturale e religiosa. Il termine che al-Fa^ra^bi usa per stato è ummah, il che indica la difficoltà per un musulmano di concepire un'entità statale in senso astratto, indipendentemente dall'appartenenza ad un gruppo umano, il cui vincolo associativo è primariamente dato dalla religione e dalla cultura. Per indicare, più rigorosamente, la religione, al-Fa^ra^bi usa il vocabolo millah, ma ummah possiede un significato più onnicomprensivo e pregnante.In effetti nell'Islam le entità statali riconosciute come universalmente valide, quali il califfato, sono sempre state sovranazionali e nel pensiero politico islamico non esiste l'idea moderna (occidentale) della nazione coincidente con uno stato territoriale. Al-Fa^ra^bi sostiene che la città (madi^nah) è la forma minima di società perfetta? Non sembra. L'assunto di al-Fa^ra^bi è che gli uomini hanno bisogno di vivere associati insieme al fine di attingere il loro stato migliore, ossia che la massima perfezione o felicità sia possibile solo in una città o in una nazione eccellente. Piuttosto, la città eccellente è presentata come unica, poiché è l'unica forma di associazione politica che si pone la vera felicità come proprio specifico fine immediato. Se è vero che in Dante la sfera temporale differisce da quella religiosa, è pur vero che l'universalismo politico di Dante deve molto al pensiero arabo.
Casalino Pierluigi
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