domenica 27 settembre 2020

Dante Alighieri e altro da Blog 2020

L’EREDITA’ DI      L’EREDITA’ DI DANTE ALIGHIERI

Nel corso delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità dell’Italia, non mancano i richiami all’eredità culturale e morale di Dante Alighieri, che di questo Paese è considerato a giusta ragione il nume tutelare. L’idea di Italia di Dante non è certo assimilabile a quella risorgimentale, ma l’amore che egli nutriva per le nostre genti e il loro comune destino, e di cui si sentiva parte, pervade profondamente le sue opere. Non a caso per Dante l’Italia era la provincia prediletta dell’Impero. La finale esaltazione da parte del Sommo Poeta, del suo compito nella storia segnava, in ogni caso, il culmine di una vita intera d’esplorazione, oltre che di intensa passione, individualistica e consapevole, dell’arte e del pensiero. Che importanza generale ha la sua opera? Possiamo attribuirle due valori di diverso genere: da un lato l’originalità delle sue creazioni; dall’altro, la capacità di dare espressione alla mentalità e allo spirito del suo tempo. Come teorico, la costruzione più originale di Dante fu il concetto politico della Monarchia, una possente e nuova difesa della validità indipendente dello Stato secolare. A lungo andare, ebbe relativamente poca influenza, perché il potere imperiale diventò insignificante in Italia, una generazione dopo la morte del poeta. per diversi altri motivi, le altre sue opere restarono capolavori inimitabili, e la Commedia poi, era troppo personale, troppo schiacciante di vastità e di successo, per essere il principio di un nuovo genere letterario. In un certo senso Dante fu un genio isolato dalla sua stessa originalità: non fu il fondatore di una scuola, se non come maestro di composizione poetica – troppo poco, però, per il suo valore. D’altronde, dante è una figura essenziale della civiltà a causa della particolare genialità e intuizione con cui espresse certe tendenze fondamentali della mentalità europea. La visione di un universo gerarchico, contenente materia e spirito, che in una forma o nell’altra, Dante maturò (e che gli uomini del Medioevo condividevano), non fu mai espressa in termini più suggestivi e attraverso la personale versione neoplatonica del Paradiso dantesco, secondo la prevalente ispirazione derivante dalla filosofia di Avicenna (Ibn Sina^). Al contrario, la Monarchia, sebbene condannata per la sua connessione con l’Impero, rappresentò la prima enunciazione teorica dell’autosufficienza della società laica. Dato poi il loro sfondo autobiografico e locale, le opere di dante sono anche fortemente improntate a caratteristiche tratte dal mondo del comune italiano, così diverso dall’ambiente che aveva formato la filosofia Scolastica, e dante, in realtà, scrisse con un vivo senso dell’individualità realistica d’ogni personaggio, e per un pubblico italiano e laico, ispirandosi all’intenso sentimento religioso di gruppi locali, e nella mitologia dell’antichità. Egli fu il massimo esponente letterario della concezione teologica Scolastica, e, al tempo steso, il primo grande scrittore dell’Italia rinascimentale. A dispetto della sua eccentricità e del suo estro soggettivistico, egli presenta quindi con la sua immaginazione un quadro di incomparabile ampiezza dello spirito europeo in formazione.

Casalino Pierluigi

Il Misticismo nell’Islam. Una breve considerazione.

Casalino Pierluigi, autore e studioso ligure di Imperia nato a Laigueglia il 

Asin Palacios ovvero il dibattito su Dante e l’Islam cent’anni dopo

Casalino Pierluigi autore e studioso ligure di Imperia nato a Laigueglia il 

Dante e l’Islam

“Dante e l’Islam, a cent’anni da Asin Palacios e dopo gli studi di Maria Corti e di Luciano Gargan” negli articoli, i commenti e i libri ed ebook sul web di Pierluigi Casalino, autore e studioso ligure di Imperia, nato a Laigueglia il 29 giugno 1949

Dante e la Liguria. Verso i confini geografici e storici dell'Occidente d'Italia


Se il nome Liguria non viene mai espressamente citato da Dante,  i liguri, la loro lingua (nel de Volgari eloquentia" il genovese viene associato alle lingue -o ai dialetti- della stessa famiglia parlate oltre Genova) , i loro luoghi e i loro costumi trovano uno spazio di rilievo nelle opere del Sommo Poeta. "Intra Siestri e Chieveri s'adima una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima".Il riferimento alla Liguria più discusso tra tutti quelli presenti nella Divina Commedia è sicuramente questo presente al XIX canto del Purgatorio, dove papa Adriano V ricorda la sua appartenenza al casato Fieschi di Lavagna. Il torrente Lavagna, da cui i Fieschi presero il loro titolo, è infatti la "fiumana bella" cantata da Dante. Il "Ponte di Dante" prende il nome proprio da questa circostanza letteraria e, nonostante oggi sia nascosto e assidiato dalle sterpaglie, è ancora in piedi, sotto al più moderno ponte in cemento ma comunque visibile, con l'arco in pietra e mattoni e la suggestiva intercapedine tra le roccie dalla quale il fiume sgorga formando un placido laghetto prima di proseguire il percorso. Gli altri cenni di Dante alla Liguria e ai liguri non sono di questo livello, ma contengono parimenti aspetti tutt'altro che trascurabili e sono identificati in altre zone della regione, soprattutto in quel Ponente che in Dante diventa fondamentale per il suo determinare i confini fisici e storici non solo liguri, ma anche del Bel Paese nel suo complesso. Dante, infatti, si esprime con tratti brevi, ma estremamente significativi a proposito dei limiti occidentali della Liguria, limiti che oggi si ritrovano in Francia per infelici, se pur sofferte, scelte politiche assunte in un passato tuttora oggetto di controverse considerazioni storiche. Su tali aspetti mi sono soffermato in precedenti occasioni che ricordano anche i riferimenti danteschi alla Turbia e ad altre aree del Ponente ligure sia nell'ambito della Commedia che in altre opere. Di particolare suggestione furono, nel corso delle celebrazioni della nascita e della morte di Dante, durante il secolo scorso, le ricerche e i dibattiti dedicati a "Dante e la Liguria": argomenti assai interessanti quali "Dante e il dialetto ligure", "Dante e Genova" e "Dante e i luoghi liguri". Studiosi celebri come Parodi, Ferretto, Treves ed altri furono appassionati autori di interventi memorabili che furono pubblicati dal Giornale storico della letteratura italiana: tutti dedicati a Dante e la Liguria. Nei mesi scorsi tuttavia, nel pieno imperversare della prova del Covid 19, la stupenda descrizione del Bel Paese, attraverso gli itinerari danteschi, è stata ripresa attraverso il fortunato libro di Giulio Ferroni dal titolo "L'Italia di Dante", che ripropone anche il racconto vivo di Dante della terra ligure e delle sue meraviglie. Un Dante che merita davvero l'appellativo di "inventore dell'Italia". Non soltanto dunque Genova e il Levante, parlando di Liguria, ma, pur, con rinnovato splendore, Ferroni fa scorrere davanti a noi pure questo nostro focolare ligure (oltre al resto d'Italia) con le sue perle che nel tempo hanno affascinato spiriti di ogni genere, dai più umili ai più titolati: tutti attratti dalle sirene di un'angolo di mondo unico nel suo genere. Si tratta di argomenti molto noti, ovviamente. La novità sta tutta, peraltro, nel rivivere questi scenari liguri, rivisitandone le radici più profonde nel segno di Dante. Dante non aveva, è  vero, un buon carattere e celebre è l'invettiva lanciata contro i Genovesi, ma apprezza con evidente manifestazione del suo stupore le bellezze liguri. E ciò nonostante alcune criticità della nostra terra che lo disturbano come spesso si ricorda da parte dei dantisti: dal Malpasso di Noli con la sua pericolosa scogliera  alla avventurosa strada che raggiunge e supera la Turbia ( dove iniziano quelle parti d'Italia che con il fiume Var  ne segnano i confini geografici e storici ) in direzione Francia, Dante sperimenta il non facile percorso terrestre in Riviera: il tutto come immagine della ritrovata dimensione spirituale dopo la smarrita condizione della "selva oscura". E la Liguria, in qualche modo, recupera e rappresenta quell'tinetario così caro agli intellettuali medievali (non solo a Dante) che è noto come "la felicità mentale". Un concetto ereditato nell'Europa latina dal pensiero arabo. E come altre regioni italiane la Liguria ha interpretato un ruolo di scambio culturale tra le due rive del Mediterraneo. Il ligure, in particolare, forse in misura più estesa dello stesso italiano, fu a lungo lingua franca di quello che i Romani chiamavano il Mare Nostrum. Le fortune liguri sul mare hanno scritto, infatti, alcune tra le pagine migliori della storia del Nostro Paese. Il nome di Ventimiglia, di Sanremo, di Laigueglia, di Alassio, di Noli, non solo quindi di Genova, erano di casa, fin dal Medio Evo, dall'Atlantico al Nord Africa, a Cipro, al Medio Oriente, al Mar Nero, e addirittura al Sud Africa e alle Americhe ad ondate diverse. Auguriamoci che le celebrazioni di un grande italiano come Dante rinnovi gli studi danteschi e le relative manifestazioni pubbliche in Liguria. Un segno, dunque, non marginale della volontà di ripresa nell'attuale persistente atmosfera dolente della pandemia.
Casalino Pierluigi 


Dante e la Liguria


Se il nome Liguria non viene mai espressamente citato da Dante,  i liguri, la loro lingua (nel de Volgari eloquentia" il genovese viene associato alle lingue -o ai dialetti- della stessa famiglia parlate oltre Genova) , i loro luoghi e i loro costumi trovano uno spazio di rilievo nelle opere del Sommo Poeta. "Intra Siestri e Chieveri s'adima una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima".Il riferimento alla Liguria più discusso tra tutti quelli presenti nella Divina Commedia è sicuramente questo presente al XIX canto del Purgatorio, dove papa Adriano V ricorda la sua appartenenza al casato Fieschi di Lavagna. Il torrente Lavagna, da cui i Fieschi presero il loro titolo, è infatti la "fiumana bella" cantata da Dante. Il "Ponte di Dante" prende il nome proprio da questa circostanza letteraria e, nonostante oggi sia nascosto e assidiato dalle sterpaglie, è ancora in piedi, sotto al più moderno ponte in cemento ma comunque visibile, con l'arco in pietra e mattoni e la suggestiva intercapedine tra le roccie dalla quale il fiume sgorga formando un placido laghetto prima di proseguire il percorso. Gli altri cenni di Dante alla Liguria e ai liguri non sono di questo livello, ma contengono parimenti aspetti tutt'altro che trascurabili e sono identificati in altre zone della regione, soprattutto in quel Ponente che in Dante diventa fondamentale per il suo determinare i confini fisici e storici non solo liguri, ma anche del Bel Paese nel suo complesso. Dante, infatti, si esprime con tratti brevi, ma estremamente significativi a proposito dei limiti occidentali della Liguria, limiti che oggi si ritrovano in Francia per infelici, se pur sofferte, scelte politiche assunte in un passato tuttora oggetto di controverse considerazioni storiche. Su tali aspetti mi sono soffermato in precedenti occasioni che ricordano anche i riferimenti danteschi alla Turbia e ad altre aree del Ponente ligure sia nell'ambito della Commedia che in altre opere. Di particolare suggestione furono, nel corso delle celebrazioni della nascita e della morte di Dante, durante il secolo scorso, le ricerche e i dibattiti dedicati a "Dante e la Liguria": argomenti assai interessanti quali "Dante e il dialetto ligure", "Dante e Genova" e "Dante e i luoghi liguri". Studiosi celebri come Parodi, Ferretto, Treves ed altri furono appassionati autori di interventi memorabili che furono pubblicati dal Giornale storico della letteratura italiana: tutti dedicati a Dante e la Liguria. Nei mesi scorsi tuttavia, nel pieno imperversare della prova del Covid 19, la stupenda descrizione del Bel Paese, attraverso gli itinerari danteschi, è stata ripresa attraverso il fortunato libro di Giulio Ferroni dal titolo "L'Italia di Dante", che ripropone anche il racconto vivo di Dante della terra ligure e delle sue meraviglie. Un Dante che merita davvero l'appellativo di "inventore dell'Italia". Non soltanto dunque Genova e il Levante, parlando di Liguria, ma, pur, con rinnovato splendore, Ferroni fa scorrere davanti a noi pure questo nostro focolare ligure (oltre al resto d'Italia) con le sue perle che nel tempo hanno affascinato spiriti di ogni genere, dai più umili ai più titolati: tutti attratti dalle sirene di un'angolo di mondo unico nel suo genere. Si tratta di argomenti molto noti, ovviamente. La novità sta tutta, peraltro, nel rivivere questi scenari liguri, rivisitandone le radici più profonde nel segno di Dante. Dante non aveva, è  vero, un buon carattere e celebre è l'invettiva lanciata contro i Genovesi, ma apprezza con evidente manifestazione del suo stupore le bellezze liguri. E ciò nonostante alcune criticità della nostra terra che lo disturbano come spesso si ricorda da parte dei dantisti: dal Malpasso di Noli con la sua pericolosa scogliera  alla avventurosa strada che raggiunge e supera la Turbia in direzione Francia, Dante sperimenta il non facile percorso terrestre in Riviera: il tutto come immagine della ritrovata dimensione spirituale dopo la smarrita condizione della "selva oscura". E la Liguria, in qualche modo, recupera e rappresenta quell'tinetario così caro agli intellettuali medievali (non solo a Dante) che è noto come "la felicità mentale". Un concetto ereditato nell'Europa latina dal pensiero arabo. E come altre regioni italiane la Liguria ha interpretato un ruolo di scambio culturale tra le due rive del Mediterraneo. Il ligure, in particolare, forse in misura più estesa dello stesso italiano, fu a lungo lingua franca di quello che i Romani chiamavano il Mare Nostrum. Le fortune liguri sul mare hanno scritto, infatti, alcune tra le pagine migliori della storia del Nostro Paese. Il nome di Ventimiglia, di Sanremo, di Laigueglia, di Alassio, di Noli, non solo quindi di Genova, erano di casa, fin dal Medio Evo, dall'Atlantico al Nord Africa, a Cipro, al Medio Oriente, al Mar Nero, e addirittura al Sud Africa e alle Americhe ad ondate diverse. Auguriamoci che le celebrazioni di un grande italiano come Dante rinnovi gli studi danteschi e le relative manifestazioni pubbliche in Liguria. Un segno, dunque, non marginale della volontà di ripresa nell'attuale persistente atmosfera dolente della pandemia.
Casalino Pierluigi 

venerdì 18 settembre 2020

Dante in viaggio verso Parigi, partendo dalla Liguria.


In occasione delle celebrazioni in vista dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri trova spazio anche il dibattito su un suo presunto viaggio in Francia, partendo  dalla Liguria. Quando l'Alighieri, nell'estate del 1302, si recò a Parigi, passò sicuramente per Ventimiglia e per Nizza. Non abbiamo, tuttavia, documenti certi che provino la circostanza (come ho avuto modo di ricordare in  altra occasione), ma la pur breve descrizione della strada romana Iulia Augusta, contenuta nella  Divina Commedia (Purgatorio III, 49-51) e anche dello stesso monumento della Turbia, ne puo' indicare l'elevata probabilità, data la precisa descrizione dei luoghi da parte del Sommo Poeta. Se avesse compiuto il viaggio per   mare, non avrebbe potuto scrivere: «Tra Lerici e Turbia, la più diserta, la più romita via è una scala, verso di quella agevole ed aperta». Deve aver certamente percorso la via di terra, se la definisce "deserta e romita", dal momento che la dominazione genovese sulla Liguria non era interessata a dotare la costa ligure di strade ben percorribili, allo scopo di evitare così la  facile comunicazione tra le genti del luogo, che non potevano permettersi il viaggio per mare. Per Genova era, infatti, prioritaria la via del mare e il controllo delle rotte marittime, oltre che la divisione dei suoi sudditi. Le comunicazioni genovesi erano tutte svolte dalla sua potente flotta, che padroneggiava tutti i porti attivi, rendendo non operativi quelli delle città ribelli o addirittura ostili. Così, nel 1300, il tracciato dell’antica strada romana era interrotto in moltissimi tratti, tanto da meritarsi il titolo di "romita". Inoltre, dove l'antica strada esisteva, si presentava deserta, poiché. Chi conosceva l’ambiente,  preferiva percio' strade alternative meno frequentate dai numerosi briganti liguri. Si dovrà arrivare a Napoleone e dopo di lui ai Savoia per rendersi pienamente consapevoli della grande importanza della questione dei liberi ed efficienti collegamenti in Liguria, soprattutto a Ponente. MIl potere genovese non riusciva (o non era del tutto determinato a farlo) ad eliminare il brigantaggio allora assai attivo, perché la Superba era più preoccupata delle sorti del suo commercio in Medio Oriente, nel Mar Nero o in Nord Africa che non a emancipare le condizioni logistiche della Riviera. La Superba, d'altra parte, riteneva che il brigantaggio fosse, in qualche modo, un buon rimedio alla stagnante economia locale. Quando, invece, il Sommo Poeta fa cenno alla simbologia della scala agevole ed aperta verso la Provenza, egli si riferisce chiaramente al tratto che portava  al colle di Turbia, il tronco di via romana, cioe', allora meglio conservato e reso suggestivo dal paesaggio che lo comprendeva. Una zona,  quella da Ventimiglia all'oltre Nizza, che per storia, scienza geografica e costumi (risalenti ai resoconti degli antichi autori greci e latini) apparteneva alla regione italiana (e ancora e comunque in essa oggi rientra, pur nelle diverse ed innaturali  situazioni politiche succedutesi nel tempo). Lo stesso Dante fissa autorevolmente da queste parti i confini del Bel Paese (ed ovviamente della Liguria storica).  Potremmo  fare solo delle ipotesi sulle tappe del viaggio dantesco, nell’estremo Ponente ligure, e dei numerosi esuli Guelfi e Bianchi che si stavano unendo a Dante alla volta di  Parigi. Se non avesse viaggiato in compagnia,  l'Autore della Divina Commedia non avrebbe potuto, del resto,  difendersi di briganti. Dopo una prima sosta a Genova, sembra che Dante abbia trascorso  la notte a Savona, poi a Loano o ad Albenga, per trasferirsi nell'estremo Ponente, giungendo al borgo di San Romolo. Muovendo di buon mattino da San Romolo, il Sommo Poeta sarebbe quindi arrivato a Monaco, via Ventimiglia(dove sembra si sia fermato per la notte), ma probabilmente fece in modo di evitare il Principato e raggiungere direttamente la "ligure" Nizza( autoproclamatasi tale da secoli-e così anche al tempo di Dante-, per sfuggire alle mire di Francia e di Provenza, prima di chiedere, alla fine del XIV secolo la protezione sabauda). In quell’anno, infatti, la Rocca monegasca non era in mano del guelfo Grimaldi, ma del ghibellino Ughetto Spinola, che l’aveva ricevuta da Carlo d’Angiò, e la terrà fino al 1318. A Parigi il Poeta rimase fino al 1304, accostandosi a quella celebre Università. Anche Dante, dunque, avrebbe sperimentato le difficoltà del transito nella nostra terra. Analoga esperienza vissero più  tardi Caterina de' Medici, andata in sposa alla corte parigina, e Nicolò Machiavelli, l'autore de Il Principe, che fu ospite alla Mortola presso la villa dei Lanteri,  divenuta poi nel tempo la celebre Villa Hambury che oggi ammiriamo . Qui Machiavelli pernotto' durante il suo altrettanto travagliato tragitto in terra ligure verso la Francia. Una problematica, quella della sicurezza e agilità delle comunicazioni nella Liguria occidentale,dunque, a tutt'oggi lungi dall'essere risolta, come la cronaca di questi ultimi giorni ci conferma.

Casalino Pierluigi.

mercoledì 9 settembre 2020

Ancora sull' Elogio del silenzio

In più occasioni sul web ho trattato questo argomento che costituisce una autentica medicina dell'anima, un modo speciale di conoscere noi stessi, di ascoltarci e dal profondo di noi cogliete la voce dell'assoluto e dell'eterno, consentendoci anche di ascoltare e conoscere la voce degli altri e del mondo. Il silenzio ci eleva ad una dimensione speciale e riposante che fa da barriera all'assordante rumore che ci circonda e ci schiaccia. Il silenzio ci fa crescere, ci sgancia dagli obblighi o dai vincoli non di rado imposti da una invadente quotidianità e che finiscono per snaturare il nostro io e di distrarci da percorso della nostra coscienza. Non si tratta, dunque, di pigrizia, di ignavia o mera inazione, ma di un costruttivo atteggiamento che ci libera dal chiasso di fondo, che talora noi stessi contribuiamo a creare con la nostra mancanza di sensibilità e di spiritualità, con la nostra mancanza di senso critico, che ci trascinano nella corrente massificatrice del conformismo becero. Di recente anche da noi è arrivato dall'Olanda un concetto di dolce far niente che si chiama Niksen, che non ha uno specifico corrispondente corrispettivo in italiano, ma che,  praticato, dona il silenzio atteaverso l'esercizio della riflessione personale In un certo senso abbiamo sperimentato tutto ciò durante il lockdown. Se da un lato ricorda l'otium latino, come sopra  detto, dall'altro ci propone il riposo della mente e dell'ani
Casalino Pierluigi 

domenica 6 settembre 2020

Dante e le sue fonti a Settecento anni dalla morte.


1321. Dante, tra la fine di luglio e la fine di agosto, partecipa ad una ambasciata inviata da Guido Novello da Polenta alla Serenissima Repubblica di Venezia. Nel corso di questa missione diplomatica, forse passando per le paludi di Comacchio, il Poeta contrae un'infezione malarica, che lo obbliga a rientrare a Ravenna. E qui muore, probabilmente nella notte fra il 13 e il 14 settembre. Si conclude così l'esistenza del massimo poeta del Medioevo e di tutti i tempi. Per comprendere quello che è stato definito il "miracolo dantesco" non basta la lettura delle sue opere, ma va ripercorso compiutamente l'itinerario biografico ed intellettuale che ne segna l'esperienza di vita e di idee. E' solo così che si coglie la profondità di un intellettuale che si distingue per la sua straordinaria capacità di parlare alla coscienza e alla sensibilità del lettore moderno come nessun altro poeta e scrittore antico. E ciò, malgrado la tematica da lui assunta soprattutto nella poesia sia tipicamente medievale e legata ad un atteggiamento culturale ed ad un modo di sentire, quali non si saprebbe immaginare più lontani da quelli nostri di oggi. Occorre dunque indagare e ricostruire il cammino compiuto da Dante, dalle prime prove poetiche giovanili alle più impegnative elaborazioni dell'età matura, fino alla sublime realizzazione della Divina Commedia. Su questa, più ancora che sulle altre opere, ci si sofferma spesso per la grandiosità del disegno artistico e spirituale. In particolare è andata sviluppandosi negli ultimi decenni una disciplina complessa e feconda che contempla certo le ragioni profonde del capolavoro di Dante, ma non di meno l'esplorazione indiziaria delle letture e degli interessi del Sommo Poeta e degli antecedenti letterari, oltre che delle corrispondenze e/o riferimenti: in altri termini delle cosiddette fonti del Poema. Ciò ci consente di meglio definire la base culturale dell'ideologia dantesca e da cui nasce il progetto della Commedia (ma che investe anche le restanti opere). Tra le dette fonti viene particolarmente affrontata la questione dell'oltretomba e delle altre visioni ultraterrene, circostanza quest'ultima che attiene al tipico gusto medievale. Pur muovendo dal contesto classico e giudaico cristiano delle premesse ideali di Dante, un rilievo nuovo ha preso corpo prepotentemente il patrimonio culturale arabo islamico. Inizialmente non fu riconosciuto un punto di riferimento utile da parte dei dantisti. Il dibattito si è però acceso dopo la pubblicazione, nel 1919, di un importante libro dell'illustre arabista spagnolo Asin Palacios, La escatologia musulmana en la Divina Comedia, in cui attraverso una vasta esplorazione nella letteratura mistica ed escatologica araba del Medioevo, filtrata in Occidente tramite traduzioni latine eseguite in Spagna, si indicavano numerose somiglianze possibili tra questi testi e la Commedia. Negli ultimi anni, dopo gli studi del Cerulli, di Maria Corti ed infine di Luciano Gargan, per citare solo i dantisti italiani, l'atteggiamento polemico verso le fonti islamiche della Commedia è andato scemando. Non vengono poste certo in dubbio le basilari e tradizionali fonti dantesche, ma vengono sempre di più evidenziati i probabili legami interculturali tra Oriente e Occidente nel Medioevo, con non trascurabili influenze anche su Dante.
Casalino Pierluigi 

Dante politico.


Dante arriva all'idea di una monarchia universale dopo un percorso che coincide con le diverse tappe ed esperienze della sua vita, oltre che segnato dagli eventi di cui fu testimone. Questa visione politica nasce, in particolare, di fronte all'umanità smarrita e discorde del suo tempo che può trovare conforto e ordine solo con l'instaurarsi di una autorità forte e sovranazionale ( l'Impero) che regga le sorti degli avvenimenti, indirizzandoli verso mete sagge e sicure che siano a tutela della armoniosa e pacifica convivenza dei popoli. Si tratta di un sogno di straordinario livello morale e civile al tempo stesso. Non condividendo la tesi agostiniana che contrappone la Civitas terrena alla Civitas celestis, la Città di Dio e la città del diavolo (Sant'Agostino aveva severamente condannato l'Impero romano, prodotto, come tutti gli imperi, della superbia umana e della sete di dominio), Dante afferma dunque, e invece, un fine di felicità terrena dell'uomo, al limite, o oltre il limite, della stessa ortodossia. In una duplice prospettiva: da un lato perché la beatitudo huius vite appare inammissibile, secondo la lezione dei Padri della Chiesa, come fine autonomo della vita, se pur ordinata alla beatitudo vite esterne (III 15, 7, Monarchia); dall'altro perché, assegnando alla società umana il fine di realizzare collettivamente l'intelletto possibile, facilmente si può cadere nell'errore in cui cadde Averroe' (Ibn Rushd), pensatore ben più "saggio" di Dante (e comunque stimato suo Maestro), che aveva identificato quest'ultimo con l'intelligenza universale, separata dall'anima individuale, perciò privata del requisito dell'immortalità. Di qui la chiosa che Dante stesso ha sentito, forse, la necessità di portare proprio a questo punto della Monarchia, nel canto del Purgatorio in cui Stazio spiega la generazione dell'uomo e l'infusione dell'anima nel corpo (Purgatorio, XXV, 62-65). Specificazione che, se si ammette a chiarimento del possibile equivoco su questo concetto fondamentale della Monarchia, sarebbe da assumere come prova della anteriorità di questa almeno al canto XV del Purgatorio. Legata ad una problematica tipicamente medievale e da tempo ormai anacronistica, la Monarchia può sembrare a prima vista l'opera di Dante più lontana dalla nostra sensibilità moderna: se non poco attraente, soprattutto interessante come documento della riflessione del Poeta e delle ragioni profonde del suo impegno e della sua passione politica. E ciò non di meno spunti di modernità, a dire il vero, si riscontrano anche nella Monarchia: basti pensare alla soluzione data nel XIX secolo al problema dei rapporti Stato Chiesa, fondata dall'intuizione dantesca non solo circa la separazione delle due sfere di potere, ma anche, e in maggior misura, circa l'esigenza di una autorità superiore ai singoli Stati, che garantisca pace e giustizia fra i popoli. Lampi impensabili di modernità, che coinvolgono la coscienza dell'uomo di oggi. Una visione certamente ottimistica della Storia e del destino umano. 
Casalino Pierluigi