Quali sono i veri confini dell’Italia? Un elenco dei confini "naturali" del Belpase: Nizza, Venezia Giulia, Dalmazia, Svizzera, Malta e Corsica.
NIZZARDO
Lo spartiacque alpino a nord del monte Pelat (che si trova in Francia, a sud ovest del Colle della Maddalena) è determinato dai geografi in maniera univoca. Invece, a sud di esso, taluni dividono la Regione geografica italiana da quella francese per una linea che lascia alla Francia il bacino del fiume Varo e all’Italia quella del Roja, ponendo i limiti della costa ligure al paesino della Turbia, vicino Monaco; i più invece fanno ricomprendere nell’Italia anche tutto il bacino del Varo, includendo nell’Italia geografica anche la città di Nizza. Il confine geografico quindi sarebbe molto prossimo a quello storico della Contea di Nizza, territorio appartenuto agli stati italiani dal Medioevo fino al 24 marzo 1860, quando fu ceduto da Camillo Benso conte Cavour alla Francia di Napoleone III in seguito al Trattato di Torino.
Fino ad allora, Nizza (denominata “Nizza Marittima” per la vicinanza alle Alpi Marittime, oppure “Nizza di Provenza” per la parlata franco-provenzale della città) era una provincia del Regno di Sardegna come Torino, Alessandria, Cuneo, ecc., sotto la sovranità dei Savoia. Il territorio della Contea includeva anche l’odierna provincia di Imperia (allora Porto Maurizio) e aveva tre distretti: Nizza Marittima, Sanremo e Porto Maurizio. In essa vi era il piccolo stato di Monaco, governato da secoli dalla nobile famiglia ligure Grimaldi, il quale fino al 1848 comprendeva anche le cittadine di Mentone e Roccabruna.
Nella cartina del tempi si può vedere la differenza tra il confine occidentale della Contea di Nizza con lo spartiacque geografico; alcuni paesi geograficamente italiani ma già politicamente francesi, come ad esempio Mas, erano già stati savoiardi fino al 1713, anno in cui i confini tra i due stati furono leggermente ritoccati.
Stilare una descrizione etnico-linguistica della zona non è semplice; fino al 1860 non vi sono mai stati censimenti che distinguessero tra francesi ed italiani, anche perché la lingua francofona di questa zona non era il francese ma il franco-provenzale. Ad ogni modo, da testimonianze e documenti dell’epoca si evince che nei paesi ad est della Turbia (compresa Monaco) il dialetto era ligure; nelle vallate interne la parlata locale, andando da est ad ovest, digradava dal ligure al franco-provenzale; Tenda e Briga Marittima, nella val Roja, avevano un dialetto particolarissimo che ancor oggi sopravvive, vicino al ligure, ma non di tipo francese; la parlata della città di Nizza era franco-provenzale con influssi liguri. In ogni caso, l’italiano non era certo considerato una lingua “straniera”, dal momento che i documenti ufficiali erano scritti, tranne qualche breve parentesi come quella napoleonica, in italiano. Nizza Marittima ha dato i natali a tanti italiani famosi, primo fra tutti Giuseppe Garibaldi.
Il limite costiero della Contea di Nizza era il fiume Varo; il Ponte San Lorenzo sulla via Aurelia, tra Nizza Marittima e Antibo (o Antibes in francese) univa il Regno di Sardegna alla Francia. Il mar Ligure stesso veniva chiamato tale fino a Nizza; a torto oggi i geografi considerano “mar Ligure” solo le acque ad est della costa di Ventimiglia: sono cambiati i confini politici, ma non certo quelli geografici. Anche la denominazione “Costa azzurra” è molto politica e poco geografica, in quanto la si fa partire dalla dogana dei Balzi Rossi (tra Ventimiglia e Mentone) fino a Provenza inoltrata.
Nel 1860 la Contea fu ceduta alla Francia per assicurarsi la neutralità di quest’ultima nelle operazioni di conquista del Sud. E’ ipotizzabile che il governo francese non avesse nessun interesse a mantenere le caratteristiche italiane in una regione appena acquisita da uno stato in via di formazione il quale, con gli anni, avrebbe potuto rivendicare il territorio appena ceduto. Certa è l’intensa opera di francesizzazione che venne effettuata negli anni successivi, e che ebbe effetto soprattutto nella città di Nizza Marittima, da allora divenuta ufficialmente “Nice”, e solo “Nizza” per gli italiani, ritraducendo la nuova toponomastica francese. Fu favorita una progressiva diffusione della lingua francese a danno di quella italiana: ad esempio vennero chiuse tutte le pubblicazioni dei giornali italiani (come "La voce di Nizza"); furono cambiati persino molti cognomi degli autoctoni ("Bianchi" => "Leblanc"; "Del Ponte" => "Dupont" ecc.). L’italianità di Nizza è andata scomparendo a mano a mano: negli anni trenta nel centro storico si parlava – accanto al dialetto – ancora italiano, ora invece il francese predomina nella città e nella regione; l’italiano comunque resta la seconda lingua del capoluogo. Cultura autoctona è rimasta maggiormente nei paesi dell’interno oltre che a Mentone e nello stato di Monaco, dove l’inflessione dialettale è tuttora di tipo ligure. Interessante inoltre è vedere che una buona fetta di cognomi dei residenti nel nizzardo è italiano: ad esempio si trova "Giorgi" e "Delrivo" a Poggetto Tenieri, "Baldacci" e "Paolini" a Guglielmi, "Rosso", "Andreoli" e "Ceccarini" alla Turbia ecc.
Nel 1947, in seguito al Trattato di Parigi, furono ceduti alla Francia il comune di Tenda e parte dei comuni di Briga Marittima, Valdieri e Olivetta San Michele; anche queste zone furono immantinente soggette a francesizzazione. Una certa fetta della popolazione, per aver scelto di non diventare di cittadinanza francese, prese la via dell’esodo.
Altri territori, di estensione limitata ma di grande importanza strategica, furono annessi alla Francia a guerra finita: il passo del Monginevro, la Valle Stretta del monte Tabor (ad ovest di Bardonecchia), il passo del Moncenisio ed una parte del territorio del Piccolo San Bernardo col celebre ospizio (vedi cartine 3 e 4). In queste zone non vi sono paesi, ma tutt’al più gruppi di case; la francesizzazione è avvenuta per lo più nella toponomastica.
Un’altra piccola zona, geograficamente italiana, è politicamente straniera (in questo caso svizzera): quella comprendente i paesi di Sempione e Gondo. In ambedue le località la parlata è tedesca.
Di contro, il Regno di Sardegna ha ceduto in tempi diversi vari territori transalpini piuttosto estesi alla Francia: la valle dell’Ubaja con Barcelonnetta nel 1713 (trattato di Utrecht) e tutta la Savoia nel 1860. Ambedue le regioni sono a parlata franco-provenzale. La valle dell’Ubaia, interamente montuosa, è costituita attualmente da tredici comuni, i più importanti dei quali sono Barcelonnetta e Jausiers. La Savoia invece è la regione di provenienza dei Re d’Italia, i quali a malincuore la cedettero a Napoleone III; fino allora aveva come capoluogo Ciamberì (italianizzazione del franco-provenzale Chambery) ed era costituita dai seguenti circondari (tra parentesi i rispettivi capoluoghi): Savoia propria (Ciamberì), Alta Savoia, Sciablese (Thonon), Fossignì (Bonneville), Genevese (Annecì), Moriana (San Giovanni di Moriana), Tarantasia (Moutier). Dopo il 1860 fu divisa negli attuali dipartimenti di Savoia e Alta Savoia. Nonostante che sia sempre stata a parlata francese, l’italiano era comunque abbastanza conosciuto se tuttora, in qualche paesino interno, vi è qualche anziano che lo parla.
Per completezza è necessario citare la questione del confine politico in prossimità della vetta principale del Monte Bianco la quale, contrariamente a quanto taluni sostengono, non appartiene alla Francia ma è equamente divisa tra i due stati confinanti. Infatti i confini postunitari definiti tra Italia e Francia stabilivano che la linea confinale passasse per la cima del Monte Bianco; da allora non sono mai stati ritoccati da alcun trattato.
SVIZZERA ITALIANA
La Svizzera Italiana comprende tutto il Canton Ticino e la valle Mesolcina del Cantone dei Grigioni; vanno incluse in essa anche le valli Bregaglia e di Poschiavo, fisicamente staccate dalla restante parte. In tali zone si parla quasi esclusivamente l’italiano ed il dialetto è di tipo lombardo. Si ricorda che il Canton Ticino fu ceduto dal Ducato di Milano alla Svizzera nella prima metà del Cinquecento; esso fino alla seconda metà dell’Ottocento faceva parte delle diocesi di Milano e Como. Le comunicazioni a tutt’oggi sono più intense con l’alta Italia che con la restante Svizzera.
Rientrano nei confini geografici d’Italia anche la Val Monastero (Cantone dei Grigioni) ed il passo del Sempione (Cantone Vallese); gli abitanti di questi due lembi di terra sono di parlata rispettivamente ladina e tedesca. Di contro vi sono alcuni piccoli territori appartenenti all’Italia politica ma geograficamente transalpini: la Val di Lei e Livigno.
VENEZIA GIULIA
Altra regione geografica della Penisola Italiana è la Venezia Giulia, che ne determina i limiti orientali. Il confine politico in questa zona si discosta notevolmente da quello naturale: è italiano il piccolo territorio transalpino di Tarvisio, una volta di parlata tedesca (Tarvis); la Repubblica, di contro, non comprende che una piccola porzione della Venezia Giulia. Il confine infatti, anziché seguire lo spartiacque principale delle Alpi, traccia un percorso molto irregolare tagliando in due la città di Gorizia ed escludendo dall’Italia: l’alta valle dell’Isonzo e dei suoi affluenti, il Carso, l’Istria, le valli della Piuca e di Circonio (l’appartenenza di queste valli al territorio della Penisola è controverso), il Quarnaro (con le isole Cherso, Lussino e Veglia) e la costa liburnica con Fiume. Il confine orientale italiano tra le due guerre mondiali includeva invece la quasi totalità della Venezia Giulia e seguiva in massima parte lo spartiacque naturale; rimanevano escluse dal Regno d’Italia: la conca di Circonio, la valle dell’Eneo, la Liburnia da Fiume a Buccari e l’isola di Veglia ed erano ricomprese piccole porzioni transalpine nei pressi di Idria e del monte Nevoso.
Amministrativamente la regione Venezia Giulia era allora suddivisa in quattro province: Trieste, Gorizia, Pola e Fiume. Gli sloveni e i croati costituivano insieme la metà circa della popolazione totale ed erano concentrati per lo più nelle campagne e: nell’alta valle dell’Isonzo, dell’Idria e del Vipacco (Tolmino, Caporetto, Idria, ecc.), nella zona di Postumia Grotte, di Villa del Nevoso e di San Pietro nel Carso, nella Liburnia e nell’Istria interna, zone queste estese ma con bassa densità di popolazione. La dussivisione tra sloveni e croati ricalca press’a poco l’attuale confine di stato tra Slovenia e Croazia. Gli italiani erano soprattutto nelle città e nei paesi maggiori (Trieste, Gorizia, Fiume, Pola, Parenzo, Rovigno d’Istria, Capodistria, Albona ecc.) e nell’Istria occidentale e meridionale. La suddivisione tra italiani e slavi ricalcava fino a Trieste l’odierno confine tra Italia e Slovenia, mentre in Istria la situazione era molto più complessa, tanto che era impossibile definire una linea di demarcazione italiani – slavi. D’altra parte vi erano pochissime zone della Venezia Giulia dove italiani o slavi erano totalmente assenti. Le percentuali degli italiani a Pola e Fiume erano dell’ 80 % circa. Il carattere culturale predominante di buona parte de regione è sempre stato italiano e molti slavi – al contrario degli italiani – erano bilingui. La pulizia etnica operata a partire dal 1943 da Tito e pagata col sangue di 20 mila italiani morti tra foibe e campi di concentramento e la conseguente emigrazione dei 350 mila italiani ha quasi completamente slavizzato la Venezia Giulia, segnando così la morte di una cultura che per secoli aveva caratterizzato la zona. Oggi in Venezia Giulia si contano circa 30 mila italiani, che sperano in future leggi che li proteggano adeguatamente.
DALMAZIA
La Dalmazia è quel territorio della costa adriatica orientale che va dalla baia di Buccari fino alla foce del fiume Boiana ai confini con l’Albania. La Dalmazia non appartiene geograficamente alla Regione italiana, ma costituisce un territorio a sé, geograficamente staccato dalla Jugoslavia interna per mezzo delle Alpi Dinariche e totalmente differente da essa sia per ragioni climatiche che etniche, in quanto gli slavi dalmati hanno usi e costumi molto differenti da quelli dell’interno. La Dalmazia per tutto l’Ottocento e fino agli anni venti del Novecento era composta da una affatto trascurabile minoranza di italiani, che amministravano quasi la metà dei comuni del territorio. Gli italiani erano concentrati soprattutto sulle isole (Arbe, Lissa, Cùrzola, Lèsina, Brazza ed altre) e nelle città costiere in primis Zara (circa il 70 % di italiani negli anni Venti), ma anche Spalato, Traù, Ragusa di Dalmazia, Càttaro ed altre minori. Inoltre, italiana era la cultura dominante di tutta la Dalmazia, in quanto residuo della plurisecolare dominazione della Repubblica di Venezia. I moti irredentisti in Dalmazia furono molto vivi nella seconda metà dell’Ottocento, ma furono spesso soffocati dall’Impero austro-ungarico che temeva la nascente potenza italiana. Il Patto di Londra del 1915 prometteva all’Italia il dominio di parte della Dalmazia, ma tale promessa fu negata al trattato di Versailles per la ferrea opposizione del presidente americano Wilson. Furono annesse all’Italia solo Zara, Làgosta e l’arcipelago di Pelagosa.Tale "vittoria mutilata" ebbe come conseguenza l’esodo della quasi totalità degli italiani dalmati.
La città di Zara fu l’ultima roccaforte dell’italianità della Dalmazia e resistette fino al 1944 quando in seguito a quasi 60 massicci bombardamenti americani i partigiani di Tito entrarono nella città mettendola a ferro e fuoco e uccidendo centinaia di italiani. Ora la Dalmazia è composta nella totalità della popolazione da slavi (croati ed in piccola parte montenegrini e bosniaci). La presenza italiana è ridotta a poco più di trecento unità, dislocate a Zara e a Spalato. Un dialetto di tipo veneto viene parlato da qualche anziano sia a Zara che in alcune isole (Cùrzola, Lèsina).
MALTA
I confini marittimi meridionali d’Italia sono ben definiti considerando come italiane le isole che si ergono dalla zolla della penisola e tunisine quelle facenti parte della piattaforma africana. Pertanto sono italiane:
*Malta e il suo arcipelago
*Linosa
*Pantelleria
*Lampedusa con l’isolotto di Lampione
*le isole Kerkenna
*l’isola posta al largo della Tunisia verso la Sardegna denominata La Galita.
CORSICA
La Corsica ha anch’essa cultura, usi e storia italiani. In epoca medievale fu contesa da Pisa e Genova che, dopo la battaglia della Meloria (1284), ne rimase padrona. L’occupazione genovese è mal ricordata dai corsi, contrariamente a quella di Pisa che ne plasmò il dialetto. Il 1768 è l’anno della perdita della Corsica: la Repubblica di Genova vendette l’isola alla Francia, che da anni ambiva al possesso dell’isola per un maggior controllo del Mediterraneo. Le truppe francesi (giunte a Bastia già dal 1764) sbarcarono nella restante Corsica nel 1769 e piegarono facilmente le resistenza dei corsi guidati da Pasquale Paoli. Insieme alla Corsica divenne francese la toscana isola di Capraia, che però sarà ceduta alla Toscana con la pace di Vienna del 1815. Nell’Ottocento cominciò lentamente il processo di francesizzazione della Corsica, che divenne sempre più inesorabile, tanto che agli inizi del Novecento l’italiano era quasi scomparso. Solo nelle chiese l’uso dell’italiano tardò a sparire: addirittura nel 1969 nelle montagne di Aiaccio un prete predicava ancora in italiano. Una ripresa dell’italianità della Corsica si manifestò tra le due guerre mondiali ad opera di alcuni intellettuali quali Bertino Poli, Petru Giovacchini, ecc.. Nel 1942 la Corsica fu occupata – ma non annessa – dall’Italia, ma dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 tornò nelle mani della Francia. A tutt’oggi nell’isola permangono caratteri italiani: il dialetto della sua parte meridionale è affine al gallurese mentre il corso del nord è una parlata di tipo toscano. Tracce di genovese si riscontrano a Bonifacio, un tempo luogo di prigione di galeotti genovesi. Una curiosità (che forse non tutti sanno): Napoleone nacque ad Aiaccio solamente un anno dopo la cessione della Corsica alla Francia.