venerdì 2 aprile 2021

La felicita mentale oovvero l'amoroso uso di sapienza. Nuove considerazioni.

Sull'argomento ho avuto modo in precedenti occasioni di soffermarmi sul web. Desidero ritornare brevemente sulla questione, approfittando del 700 anniversario della morte di Dante. E ciò non solo per ricordare, nella circostanza, il Sommo Poeta e il suo geniale lascito di arte e di cultura, ma anche per rinnovare la corretta lettura del Medioevo, epoca radicata più di quanto di pensi sui fondamenti della conoscenza basata sulla ragione. Se la felicita mentale richiama al nuovo e ben meditato approccio al divenire dell'intrepido meditare dei due massimi poeti del nostro Duecento, Cavalcanti e Dante, proiettati sullo scenario della grande cultura latina di quel secolo e al tempo stesso pervasi dalle intuizioni di origine araba e greca. Ed è proprio sulla base di tali concetti e dei relativi commenti che si rimisero in discussione i postulati della passata cultura. Da quella straordinaria ed affascinante civiltà tornano a noi non di rado inedite e problematiche questioni sull'essenza delle cose, dei sentimenti e soprattutto della felicità intellettuale e morale. Dante e Cavalcanti interpretano con il loro genio poetico quella indimenticabile avventura filosofica, lasciando il primo in termini ortodossi, il secondo in termini eterodossi, il segno vivente della felicità mentale. Di lì muove quel mondo della ragione che fu il percorso obbligato di un'epoca in cui il recupero del messaggio aristotelico, tramite la mediazione araba, segnò un patrimonio di idee e di conoscenza che sono alla radice del nostro modo di vedere l'universo.
Casalino Pierluigi 

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