lunedì 5 aprile 2021

Dante e l'Islam.La questione delle fonti orientali della Divina Commedia. 2

Parlare di Dante,  se pur in questo suo speciale momento celebrativo, appare sempre cosa ardua. D'altra parte è lo stesso Dante che ci dice:
" O insensate cure dei mortali, 
quanto son difettivi  sillogismi 
quei che vi fanno in basso volger l'ali".
Ma tra questi sillogismi il più difettivo forse di tutti è quello di chi per eccesso di amore, per eccesso di venerazione verso l'Altissimo Poeta di Firenze, genio tutelare d'Italia, arriva a considerare quasi un torto verso la sua arte le ricerche che tendono a definire quale sia stata la situazione di Dante nella civiltà di quel suo Medioevo, di cui egli diede la massima espressione in poesia. Ora, in verità, nessuno è mai fuori della storia del suo tempo; e direi,  in particolare, che nessun grande artista è stato meno lontano dalla storia del suo tempo quanto proprio Dante, che quel suo tempo ha eternato, vivendolo e sentendolo profondamente nella sofferenza della sua carne e del suo spirito. Del resto, nessun grande artista può essere ritenuto insensibile all'influenza delle  correnti culturali della sua epoca, se non si voglia, per ciò stesso, diminuire l'umanità della sua arte. Sarebbe in tal caso una personalità del tutto astratta, completamente diversa da quel genio che egli fu non solo nella sua cifra creativa, ma anche nella sua vita. Solo Dante sarebbe rimasto estraneo dunque a quell'immenso movimento culturale della sua epoca che coinvolse Oriente e Occidente in uno strettissimo e fecondo legame di cultura, di scienza, e di altri scambi ancora di ingegno e di umanità, di virtù e di collaborazione civile, intellettuale e mercantile e non soltanto, quindi, di confronto e di scontro. Veicoli che consolidano l'unità mediterranea, nonostante le diverse ottiche ideologiche. Ecco quindi la concreta questione dei rapporti di Dante, ed in modo particolare della Divina Commedia, e l'Islam: discorso che si allaccia al vasto e dibattuto problema delle fonti orientali del Divino Poema, reso ancor più eclatante dopo la rivoluzionaria tesi formulata nel 1919 da Asin Palacios sull'influenza della escatologia musulmana nella Divina Commedia. D'altra parte nell'Islam e segnatamente nella letteratura araba esiste una fila di opere di vario valore, di varia origine e di vari scopi, che, prendendo a motivo di partenza un passo del Corano, descrivono il viaggio del profeta Maometto al Paradiso e la sua visione dell'Inferno. Questa visione dell'oltretomba del profeta Maometto narrata nelle letterature islamiche, anche aldilà della sola letteratura araba, ha avuto vari caratteri. Alcune di queste opere hanno carattere narrativo popolare e sono semplici scritti di devozione religiosa e simili destinati alla diffusione comune. Vi sono, invece, altri scritti, questa volta nella grande letteratura, molto aldilà della narrativa popolare, che dalla Visione oltremondana del profeta traggono conseguenze sia per le dottrine teologiche che per l'esame filosofico; ed ancora differenti opere, anch'esse nella letteratura d'arte, che danno a questa Visione del Profeta, in senso più intimo, un valore mistico. Il problema sarebbe quindi da porre in questi termini: che relazione potrebbe esserci tra questa letteratura araba oppure, genericamente, tra le letterature islamiche sul Viaggio nell'oltretomba di Maometto e la visione dantesca. La questione tentò molti studiosi già prima di Asin Palacios, ma spetta soprattutto a quest'ultimo di aver posto il problema su solide basi come relazione tra la Divina Commedia e il mondo musulmano, accertato che Dante da parte sua già viene influenzato dalla filosofia araba nel suo complesso. Se nella prima metà del XX secolo tali affermazioni potevano suscitare scandalo, mentre al contrario qualcuno, riferendosi all'ambasciata di Brunetto Latini presso la Corte di re Alfonso di Castiglia, sosteneva essere assai probabile che il Latini conoscesse questa letteratura araba e specialmente il Liber Scalae. E ciò considerato che il sovrano abbia fatto tradurre l'opera in castigliano, in francese e in latini. Si intende che non si possono tacere le differenze tra il Liber Scalae e l'Apocalisse, laddove si citano i Quattro Animali e il loro ruolo e collocazione, nel contesto delle diverse credenze cristiane e musulmane e persino giudaiche. E ciò anche nel quadro del più ampio dissertare sulle fonti orientali di Dante, che comprendono pure le fonti iraniche e indiane. L'argomento viene affrontato dallo stesso Alfonso X nella sua opera El settenari, dove si ritiene che il Liber Scalae non sia un testo meramente esoterico, ma un vero libro sacro dell'Islam. I Toscani alla sua Corte, prima di essere eletto Imperatore del Sacro Romano Impero e assumere il titolo di Rex Romanorum, sono stati sicuramente un tramite del Liber Scalae in Europa. Costoro, trovandosi in Spagna, attendevano l'appoggio del nuovo Imperatore, sia come messi della allora Guelfa Firenze, che delle allora Ghibelline Siena e Pisa. Molti di essi restarono alla Corte spagnola anche dopo la promozione di Alfonso. Bonaventura da Siena e un certo Enrico il Toscano prima, oltre al Latini, Filippo Bonaventura da Siena, figlio, e altri poi posero in condizione di far sapere che il Liber Scalae esisteva. Fazio degli Uberti, toscano del Trecento, nel suo Dittamondo cita il Liber Scalae come testo sacro dell'Islam. Diventerebbe tedioso dilungarci su tali relazioni.  Non è qui, infatti, il caso di insistere sul fatto che la credenza medievale che il Liber Scalae fosse realmente un libro sacro dell'Islam e che il volume venisse discusso nella polemica dei Cristiani d'Occidente. Ma va detto in sintesi che anche altre opere spirituali musulmane che descrivono il destino dell'anima di diversa origine erano note nell'Occidente latino. Un ponte con Dante?
Non lo si può escludere per nulla. E non lo escluse il Cerulli, a suo tempo, e più recentemente la Corti, richiamandosi entrambi ad alcune possibili esempi di  comparazione tra la città di Dite dell'Inferno dantesco e la città dei dannati del Liber Scalae musulmano. D'altronde perché negare l'evidenza dell'arte arabospagnola nell'architettura del Duomo di Pisa? E perché negare ancora le molte coincidenze tra l'arabismo spagnolo e la Commedia? O perché negare le influenze della teoria della luce di Ibn Sina (Avicenna) nella stessa Commedia? Come negare altresì l'influenza del Viaggio dell'Anima, opera mistica islamica ispirata alla filosofia dello stesso Avicenna? Senza dimenticare,infine, la potenza del magistero di Averroe' in senso lato sul pensiero dantesco? Improbabile dunque che Dante sia rimasto fuori dalle correnti culturali della sua epoca.  E ciò sarebbe veramente un torto al genio di Dante.
Casalino Pierluigi 

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