mercoledì 9 marzo 2022

Francia, Italia e il pensiero di Von Clausewitz nel contesto del sistema Metternich.


ASINO ROSSO

La Francia e gli equilibri in Europa, nella prima metà del XIX secolo, secondo il pensiero di Von Clausewitz
in data dicembre 05, 2015

All'indomani del Congresso di Vienna il problema della Francia e delle
conseguenze delle guerre napoleoniche era la questione delle
questioni. Una situazione che sarà capovolta, paradossalmente, dopo la
Conferenza di Versailles, poco più di un secolo dopo, al termine della
prima guerra mondiale, quando il problema sarà quello della Germania.
Il timore dell'espansione della Francia verso est sarà per quasi tutto
il XIX secolo uno dei temi all'ordine del giorno delle cancellerie
delle grandi potenze. Anche durante la crisi austro-piemontese del
1859-1860, con lo schierarsi della Francia a fianco di Torino per
appoggiare il processo risorgimentale italiano il possibile
avanzamento dei confini francesi verso oriente divenne il rompicapo di
inglesi e prussiani. Soprattutto questi ultimi alzarono il livello
d'attenzione nei confronti della politica francese di Napoleone III
che pareva rinnovare le gesta francesi di sempre, dal XVII secolo in
avanti. Se anche la Gran Bretagna, ed in un certo senso anche la
Russia, si allarmarono per la cessione di Nizza e Savoia alla Francia
da parte della dinastia sabauda, fu soprattutto la Prussia a fare le
barricate contro ogni eventuale manovra espansionistica di Parigi
verso il Reno. E ciò per l'opinione che i vertici di quei due paesi
manifestavano nei confronti della Francia di quegli anni. La logica
del Congresso di Vienna era quella, infatti, di assicurare un processo
di stabilità degli equilibri nel Vecchio Continente, in vista di una
politica della sicurezza collettiva, oltre che per neutralizzare i
moti di nazionalità che l'epoca napoleonica aveva suscitato.
Sull'argomento e in particolare sul pensiero di Von Clausewitz sulle
questioni nazionali in Europa e sulla necessità di arginare le
nascosta pretese francesi sul piano internazionale si è avuto modo di
intervenire con precedenti note dedicate alla visione clausewitziana.
E' qui il momento di analizzare, con richiamo all'atmosfera del tempo,
le preoccupazioni dell'autore prussiano, celebre per la sua teoria
sulla guerra. Sullo sfondo della sua vicenda personale, giova tornare
al pensiero di Von Clausewitz e sul suo interpretare la crisi europea
del 1830-1831: crisi alla cui origine Clausewitz vedeva la Francia,
una Francia che univocamente, secondo lo studioso tedesco,
rappresentava una seria minaccia per l'equilibrio europeo. Ne emerge
una serie di considerazioni di natura strategica che, in contemporanea
alla rivolta polacca di quegli anni, che pur raccoglieva simpatia nei
circoli liberali germanici, offrono l'esempio di un ragionamento
politico chiaramente fondato sul principio dell'equilibrio di potenza
europeo. Clausewitz incentra le sue riflessioni sul concetto della
assoluta pericolosità della Francia per gli assetti del Vecchio
Continente: Clausewitz accusa, infatti, Parigi di essere l'unico
fattore di disturbo europeo. La Polonia, infatti, sarebbe rimasta, ad
avviso dell'autore, una nullità se la Francia non ne volesse fare un
punto d'appoggio delle proprie ambizioni espansionistiche. Non solo:
Clausewitz riteneva il turbamento europeo più conseguenza di tali
ambizioni di potenza della Francia che della spartizione polacca. La
Germania, dunque, era la prima ad essere strettamente minacciata da
questa politica, mentre al tempo di Luigi XIV, quando era iniziata la
pressione egemonica francese, la Germania era meno esposta. Allora a
fare da contrappeso c'erano l'Inghilterra, l'Olanda, la Spagna,
l'Italia e la Polonia, naturale alleato della Francia, non costituiva
un pericolo per la Germania: pericolo che ora diventava incombente,
secondo Clausewitz, a seguito della restaurazione statuale polacca,
pericolo che, trascorso neanche un ventennio dal Congresso di Vienna
(1815), si andava ad aggiungere al rischio di una rinnovata condotta
espansionistica francese. Il senso di queste preoccupazioni non fu
colto dalla maggioranza dei tedeschi, che consideravano augurabile una
restaurazione dello stato polacco (diverso sarà l'atteggiamento
dell'opinione pubblica tedesca nel 1939, quando Germania nazista e
Russia sovietica si spartirono la Polonia). Clausewitz pensava che
della ricostituzione di uno stato polacco avrebbero fatto le spese
l'Austria (che poi avrebbe perso anche i suoi sudditi italiani) e la
Prussia, che avrebbe rischiato di perdere anche Danzica. Clausewitz a
questo punto polemizza con gli inglesi che simpatizzavano per la causa
polacca e avvertiva loro che il loro vero avversario Europa, anzi
naturale antagonista, era la Francia. Qui lo studioso prussiano
sottolineava che non era il caso di contrapporre dispotismo e
liberalismo, ma la questione polacca esulava dal tema ideologico, per
rientrare in quello della sicurezza degli stati. I vincitori della
Francia nel 1814-1815 si erano limitati a riprendersi ciò che era
stato loro tolto dai francesi, ma non avevano sufficientemente
riflettuto sul rinascere della grandezza della Francia. , una Francia
che per quattordici anni aveva piegato la nuca sotto il tallone dei
suoi nemici e che adesso aspirava a rialzare la testa. La Francia ha
delle qualità e delle ambizioni nazionali che altri (in primis la
Prussia che non poteva contare su su istituzioni forti ed omogeneità
di popolo) non hanno e come tale sarà pronta, scriveva Clausewitz, a
giocare nuovamente un ruolo di primo piano. Del resto le stesse
potenze vincitrici avevano riconosciuto nell'atto di pace che "Il faut
que la France soit forte". Clausewitz non sospettava che la nuova
intesa franco-britannica corrispondeva agli interessi di quelle due
società borghesi. Clausewitz vedeva solo il contrasto Francia-Prussia
e sulla necessità di ricostituire un'alleanza antifrancese. Per quanto
riguarda poi le aspirazioni nazionali di belgi, italiani e polacchi,
tali sentimenti non potevano essere un moto sufficiente per puntare
all'indipendenza, se dietro questi atteggiamenti non ci fosse la
Francia. In ispecie, l'Italia, considerata un ante-murale della
Germania, non sarebbe mai stata in grado di raggiungere
l'indipendenza, senza il contributo francese. Inoltre Clausewitz
giudicava impossibile un pericolo russo, dal momento che la Russia era
metà europea e metà asiatica e quindi lontana da costituire una grave
minaccia immediata per la Germania, mentre la vera minaccia veniva
dalla Francia, dove aleggiava ancora un forte spirito bonapartista. Lo
studioso temeva una rottura tra Vienna e Berlino, cosa si verificherà
trent'anni dopo, a favore della Prussia, grazie al suo discepolo Von
Moltke. Clausewitz preparò un piano per una futura guerra contro la
Francia per tarpargli le ali: conflitto che avrebbe dovuto riunire
Austria, Bund tedesco, Inghilterra, Paesi Bassi, Russia, restando
neutrali Spagna, Regno di Napoli e Regno di Sardegna, perché reduci da
rivoluzioni che hanno coinvolto anche le loro forze armate. Una
Francia completamente unita non avrebbe, però, potuto essere
completamente abbattuta e comunque sarebbe stato difficile recuperare
le stesse strategie del 1814-1815. Fin qui il pensiero del teorico
della guerra sulle esigenze di una sicurezza collettiva in Europa in
quel tempo, ma, pur in presenza di alcuni errori di valutazione, il
patrimonio clausewitziano resta fondamentale per lo studio degli
equilibri europei del XIX secoli e non solo.
Casalino Pierluigi, 6.12.2015

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