Niente doveva fermare la grande democratizzazione avviata pochi anni prima da Deng Xiaoping. Chiedersi quante vite sarebbero costate fermare le manifestazioni di piazza Tienanmen, nel 1989, non era un'opzione. Ora i giovani di Hong Kong sanno quanto Pechino sia ancor più determinata ad eliminare qualsiasi ostacolo alle sue ambizioni di grande potenza indiscussa, economica e geopolitica, basandosi su un nazionalismo senza limiti, per coprire le ombre di un presente non troppo sicuro. Ma quei giovani non mollano. I manifestanti di Mosca e in tutta la Russia(ma anche in Bielorussia) contro la guerra in Ucraina sanno che cosa sia per Putin il sistema liberal democratico, da lui definito obsoleto, tanto per lavorare per distruggerlo. L'ideale di libertà, tuttavia, anche nei Paesi sovrani del dispotismo, non tramonta. È vero, certo, che e' una cosa manifestare a Trafalgar Square, un'altra nelle fauci dell'orso o della tigre. Eppure, perché non credere che la missione di alzare la bandiera della libertà anche da quelle parti sia impresa impossibile? I semi di libertà fra lacrimogeni e manganellate possono produrre sempre buon frutto. Se poi anche l'Occidente democratico saprà correggere i propri errori e dimostrare che il nazionalismo e il populismo non saranno sicuramente il naturale modello del futuro, mentre chi si oppone alla repressione in Cina e in Russia sarà arrestato e finirà in galera, forse il modello putiniano avrà i giorni contati. Se in Russia la democrazia è qualcosa di estraneo storicamente (mezzo millennio di autocrazia zarista, Lenin, Stalin e ora Putin) e l'effimero periodo di libertà garantito, se pur in modo anomalo, da Eltsin, è stato un disastro che ha arricchito pochi, impoverendo l'intero Paese, umiliandolo, continuano ad esserci russi che rivendicano un futuro libero, democratico e migliore del presente nazionalista e militarista imposto da Vladimir Putin. Un'analoga speranza che coltivano anche i giovani cinesi e nord coreani.
Casalino Pierluigi
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