La cultura ebraica fa parte integrante di quella marocchina. Per storia e tradizione si tratta due realtà inscindibili e non solo da quando tante famiglie di ebrei furono costrette ad abbandonare la Spagna nel 1492, alla caduta dell'ultima dinastia musulmana di Granada. La presenza ebraica in Marocco, terra universale e dalle molte anime, risale, infatti, già all'epoca preislamica e ne caratterizza, a sua volta, aspetti di assoluta originalità. Una folta comunità ebraica esisteva ed operava in quell'area, segnando in modo significativo la successiva civiltà andalusa, di qua e di là del Mediterraneo. La fecondità e la profondità del patrimonio intellettuale dell'Islam iberico e nordafricano trae dall'elemento ebraico una ricchezza che oggi viene riconosciuta anche dal Museo della storia e della tradizione ebraica di Casablanca. Nel fare riferimento al rapporto intimo tra il Marocco e la sua anima ebraica, va accolta con interesse la traduzione italiana, in questi giorni in libreria, del fortunato libro di Mercedes Garcia-Arenal, Gerard Wiegers, "L'UOMO DEI TRE MONDI. STORIA DI SAMUEL PALLACHE, EBREO MAROCCHINO NELL'EUROPA DEL SEICENTO". L'esperienza di Pallache, che costituisce un ponte tra l'Europa e l'intero Maghreb, rivive nel ricordo della gente Fez, accanto alla memoria votiva interreligiosa dell'antico santuario ebraico della città marocchina. Samuel Pallache, nativo appunto di Fez (XVI secolo), rampollo di una famiglia rabbinica di provenienza ispanoandalusa, fu protetto dal Sultano Ahmad al-Mansur, il cui regno si estendeva da Marrakech a Timbuctu e ruotava nell'orbita politica e diplomatica inglese, francese e soprattutto olandese. Rifugiatosi nell'atavica Spagna (1603), dopo la caduta della dinastia sa'diana del suo protettore e lasciatosi alle spalle un Marocco dilaniato da guerre civili e da una terribile carestia, Pallache attraversò l'Europa, raggiungendo nell'ordine la Francia, l'Inghilterra e infine l'Olanda, dove si confuse con la locale comunità ebraica sefardita (di origini spagnole). Fu agente diplomatico, spia e mediatore di transazioni commerciali, sfruttando in Europa le sue conoscenze dell'ambiente marocchino e iberico. La sua azione spaziava da Istanbul a Londra, da Amsterdam a Fez, da Madrid a Tetuàn, a Lisbona, a Parigi. La sua stessa identità ebraica fu sfuggente e si collocò tra l'Islam e la Cristianità, tra contrabbandieri e pirati, tra mercanti e regnanti. Sensibile e costante restò il suo legame con l'originario Marocco, dove era appunto nato e verso il quale guardava sempre con immutata nostalgia. Si coglie in lui un'indiscutibile ansia di modernità, così come avveniva in quel manipolo di ebrei senza patria che erano soliti comportarsi come tali a Tangeri e a Lisbona o ad Amsterdam. Samuel fu maestro dell'arte della dissimulazione che teorizzò (al pari di altri suoi conterranei come Leone l'ebreo e Leone l'arabo) come la principale virtù politica. "Dio si trova in ogni cosa e in ogni luogo" scriveva al re di Spagna. Quando morì ad Amsterdam nel 1616, ormai abbandonato da tutti, Pallache lasciò ricordi diversi e controversi. Il suo ruolo di collegamento tra Marocco ed Europa, soprattutto con l'Olanda, venne però riconosciuto da molti, tra cui quel Maurizio di Nassau, che ne accompagnò l'ultimo viaggio verso il cimitero ebraico della città olandese. La riscoperta di Samuel Pallache costituisce un utile contributo alla conoscenza della storia del Marocco ed offre altresì la spunti di riflessione sull'importanza del lascito di insostituibile mediazione tra Oriente ed Occidente che continua a rappresentare il mondo ebraico.
Casalino Pierluigi.
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