venerdì 30 ottobre 2020

Dante e il potere dei numeri.





La Divina Commedia è chiaramente basata anche sulla “mistica” dei numeri. La Divina Commedia, è infatti, suddivisa in tre parti dette “cantiche” ed ogni cantica è composta da 33 “canti” (l’Inferno ne ha uno in più, ma la prima cantica viene considerata il proemio all’opera). Ogni canto contiene un numero di versi endecasillabi da un minimo di 115 a un massimo di 160. Dante usa come struttura la terzina incatenata costituita da tre versi di cui il primo e il terzo rimano tra loro, mentre il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva. Ogni canto termina con un ulteriore verso, che chiude la rima con il secondo verso della terzina che lo precede. Perché questa attenzione maniacale, quasi patologica, all’armonia dei numeri? Sicuramente ai tempi di Dante la Matematica viveva un momento particolare. Si stava passando dal sistema di numerazione romano a quello arabo (o indiano come era indicato nel Medioevo). E’ vero che il sistema indiano era già noto da secoli. Già nel 980, Gerberto di Aurillac, che divenne successivamente Papa Silvestro, aveva iniziato a diffondere l’uso della numerazione araba. Del resto va ricordato che pare che lo stesso pontefice fosse proprio di origini arabe: da piccolo sarebbe stato posto in salvo sui gradini di un convento in Francia durante una sanguinosa guerra dinastica nella Spagna musulmana. Ma è solo con Fibonacci nel 1202 che di fatto i numeri arabi iniziarono realmente ad essere conosciuti.  Il nuovo sistema stentò parecchio ad essere accettato, tanto che, nel 1280, la città di Firenze proibì l’uso delle cifre arabe da parte dei banchieri. Nella Divina Commedia non vi è cenno di questo nuovo sistema di numerazione, ma è impossibile che uno spirito curioso come Dante non ne fosse a conoscenza. Sicuramente i numeri erano visti nell’antichità in modo molto diverso da adesso. Sicuramente il paradosso di Zenone di Achille e la Tartaruga era conosciuto da Dante e toccava argomenti che sarebbero stati capiti e studiati solo nei secoli futuri: ossia cosa significhi fare una somma infinita di numeri e se sia lecito considerare lo spazio-tempo come infinitamente divisibile, ossia lo spazio e il tempo hanno una struttura continua o granulare? La proiezione stereografica, introdotta da Ipparco di Nicea, usato dai cartografi ai tempi di Dante, era sicuramente uno strumento che generava suggestioni in quanto metteva in corrispondenza un insieme finito (la superficie di una sfera unitaria) con un insieme infinito (il piano). La questione se il V postulato di Euclide potesse essere dedotto dai primi quattro era una questione che aveva interessato i matematici greco-romani e avrebbe continuato ad interessare i matematici (compresi quelli medioevali) fino all’introduzione della geometria non euclidea nel 1826. Il significato esoterico dei numeri si sviluppò anche presso la comunità ebraica con il nascere della kabbalah. Questa tradizione esoterica e magica dei numeri si ritrova nel ritornello numerico della strega nel Faust di Goethe e, ancora oggi, nella tradizione popolare della smorfia. Ma forse la questione che più era interessante per un uomo del medioevo era l’irrazionalità dei numeri. Platone scriveva che la creazione del mondo da parte del Demiurgo era avvenuta in base ad una legge di armonia universale, alla quale si assimilavano in consonanza le leggi che stabiliscono l’armonia tra i numeri. Questo ci fa intuire lo stupore di Pitagora quando scoprì che il rapporto fra diagonale e lato di un quadrato non era razionale (ossia esprimibile come rapporto fra due numeri interi). Ma più che la irrazionalità di radice di due aveva certamente il suo fascino il pi greco. Lo si conosceva già nell’antichità (Pappo di Alessandria) ma la sua irrazionalità fu provata solo nel 1770 da Lambert. L’impossibilità di quadrare il cerchio fu provata solo nel 1882 da Lindemann, anche se Rousseau la credeva possibile in politica. Ma allora cosa voleva dire Dante (Paradiso XXXIII, 133-136) con:



«Qual è il geometra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova.»?

A mio avviso Dante non aveva anticipato teoremi di Matematica, che sarebbero stati dimostrati solo secoli dopo, ma esprimeva l’idea che è vero che si possa approssimare la lunghezza della circonferenza con il perimetro di poligoni regolari iscritti con un numero di lati sempre più crescente. Ma, essendo questo un procedimento che richiede un numero infinito di passi, come Achille non raggiungeva la tartaruga così il matematico non riusciva a quadrare il cerchio. Questa idea che pi greco potesse essere definito in una serie infinita di passi entusiasmò Leibnitz quando nel 1676 scoprì che pi greco su quattro era pari alla serie infinita 1 -1/3 + 1/5 -1/7 + 1/9 etc etc. Questa scoperta spinse Leibnitz a smettere di esercitare la professione di avvocato e a diventare il filosofo e lo scienziato che tutti noi conosciamo.Quindi il razionale e l’irrazionale sono uniti da procedure “infinite”. Ma cosa è l’infinito? Come si fa a misurarlo? E’ facile contare un insieme finito di elementi, ma un insieme infinito? Si può dire che due insiemi infiniti sono “uguali” se esiste una applicazione che li fa coincidere. Supponiamo di avere un albergo con infinite stanze e supponiamo che sia al completo. Arriva un nuovo cliente. Come facciamo a sistemarlo? Semplice: mando il cliente che sta nella stanza 1 nella stanza 2, quello della stanza 2 nella stanza 3, etc, così metto il nuovo cliente nella stanza uno e non sfratto nessun altro cliente. Abbiamo così dimostrato che infinito è uguale a infinito più uno. Con lo stesso ragionamento si può dimostrare che infinito è uguale a due per infinito. Infatti mandando il cliente che sta nella stanza “n” nella stanza “2n” libero tutte le stanze dispari che sono infinite. Si può infine dimostrare che infinito per infinito è uguale ad infinito. Ma allora tutti gli infiniti sono uguali? No i numeri naturali (che sono discreti) sono un infinito molto più piccolo di quello dei numeri reali che stanno nell’intervallo (0,1) (infinito del continuo). Infatti assumiamo per assurdo che esistesse una applicazione che mandi i numeri naturali su tutti i numeri reali che stanno nell’intervallo (0,1) e costruiamo un numero reale x che non venga raggiunto da questa applicazione. Prendiamo un numero naturale (ad esempio 127). L’applicazione mi assocerà 127 a un numero reale y. Vediamo la 127-esima cifra decimale di y. Se non è 7, il nostro numero x avrà come 127-esima cifra decimale proprio 7 mentre in caso contrario (cioè 7 è la 127-esima cifra decimale di y) avrà come cifra decimale il numero 7+1=8 (in generale noi seguremo la regola 9+1=0). E’ facile provare che il numero x così costruito non può essere raggiunto dalla applicazione presa in esame.Notiamo due cose: la prima è che i numeri irrazionali sono stati introdotti per tappare i buchi che ci sono tra le mattonelle dei razionali. Inoltre nella fisica moderna l’Universo ha una struttura granulare (piccoli granelli spazio-temporali che non possono essere ridotti sotto le dimensioni della costante di Planck). Ma allora l’Universo ha una struttura granulare e discreta e quindi ha lo stesso ordine di un infinito . Quindi, in un certo senso, l’intervallo (0,1) (costruito nella nostra mente) è più grande che tutto l’Universo…Incredibile.Ai tempi di Dante, si accettava, con granitica certezza il messaggio religioso e si lasciava ai numeri un’aurea mistica ed esoterica. Nei tempi moderni, abbiamo assunto come dogma “religioso” che la Matematica è lo strumento con cui è stato scritto il libro dell’Universo, per cui abbiamo fede granita nella Scienza e nella Matematica e lasciamo alla religione il misticismo, l’esoterismo e i dubbi. Ma è proprio così? O abbiamo semplicemente sostituito ai dogmi della fede dei nostri padri dei dogmi scientifici altrettanto non dimostrabili e forse arbitrari. Siamo coscienti di ciò? Non è forse questo il segno della nostra ennesima perversa prova di orgoglio, oltre che di uno sconfinato delirio di onnipotenza? Il Covid 19 si manifesta oggi come un limite a tale atteggiamento irrazionale e faustiano di fede nel futuro, senza valutare i rischi di un progresso squilibrato. Il futuro è aurorale ed oracolare, non ha un prima e non ha un dopo, il credere in esso fa parte della natura dell'uomo e del suo guardare avanti. Si tratta di una dimensione di grande respiro che ci sfugge, se pur la inseguiamo.Tuttavia il futuro deve rappresentare sempre un sogno fondato sull'intelligenza e sulla misura della prudenza.
Casalino Pierluigi 

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