Se ce ne fosse ancora bisogno, continuano a giungere conferme del rapporto fecondo che si instaurò tra Dante e la cultura dell'Islam. Non si può certo dire che l'originalità straordinaria del Sommo Poeta ne venga meno, anzi è proprio il suo genio ad uscirne esaltato al massimo grado. In un inventario del 1286, scoperto da Armando Antonelli nel 2008, legato a "un singolare processo in cui si trovò coinvolto il medico Tommaso d'Arezzo", per la prima volta una traccia sicura della circolazione bolognese delle opere di Sigieri di Brabante,il capofila dell'averroismo latino - al quale Dante inclinò - e di Boezio di Dacia, che la stessa dantista Maria Corti, scomparsa, nel suo bellissimo DANTE E UN NUOVO CROCEVIA, 1981, propose fossero analizzati e studiati direttamente da Dante, e poi allegoricamente cifrati nella Divina Commedia in un "rapporto simbolico fra la vicenda di Ulisse e il pensiero degli aristotelici radicali" (fra i quali i annovera Guido Cavalcanti, compagno di studi di Dante a Bologna; in proposito si legga di Casalino Pierluigi gli articoli sulla felicità mentale in Dante). Trentanni fa ci una violenta polemica da parte di quanti negavano a spada tratta che Dante avesse letto quei testi. L'inventario del 2008 getta quindi nuova luce, grazie alla rivisitazione di Luciano Gargan, alla questione Dante-Islam (vedi Dante Islam? by Casalino Pierluigi, Asino Rosso). Un modo per celebrare degnamente, tra cinque anni, la monumentale intuizione del sacerdote cattolico spagnolo Asìn Palacios, che pubblicò appunto nel 1919 il suo rivoluzionario libro "L'escatologia islamica ne la Divina Comedia", nel quale segnalò le analogie impressionanti e le affinità tra l'impianto concettuale e figurale dell'architettura dell'aldilà dantesco e quello dell'Islam.
Casalino Pierluigi, 30.06.2014
Casalino Pierluigi, 30.06.2014
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