In un certo senso si, per dirla con Tacito, anche se va tenuto presente che se è vero che spesso la Storia sarebbe al servizio delle ideologie e che non ci sarebbe nulla da dire contro una Storia che sia propaganda cosciente, si potrebbe tuttavia obbiettare che questo o quel problema non interessa. Se si torna però a discutere, bisogna tornare alla Storia vera, quella dei fatti. Nel XVIII secolo (ma già prima) la vecchia distinzione tra antiquari e storici era già stata superata e anche così veniva meno e non solo in Occidente, ma anche presso altre cultura come quella islamica la storiografia mitica a vantaggio della storia rigorosa delle cause degli eventi (vedi Ibn Khaldùn), ritornando in qualche modo alla lezione degli antichi storici greci, che non mancarono di dettare delle linee interpretative della Storia, che furono poi definitivamente assunte dalla moderna critica storica, tutta presa alla ricerca delle ragioni profonde degli avvenimenti e di conseguenza di una loro imparziale descrizione. La crescente internazionalizzazione della vita intellettuale rende omogenei gli sforzi di lettura del mondo. Il prevalere poi di concezioni come quelle vichiane nella valutazione del succedersi delle epoche storiche, con la sconfitta di visioni dialettiche che non facevano altro che guardare avanti, senza tenere conto del possibile regresso attraverso il fenomeno del decadimento o ripiegamento di questa o di quella fase storica. D'altra parte lo storico non può inventarsi i fatti, ma li deve riportare fedelmente e freddamente (si ammetta pure qualche forma di tifo, come è stato con Ammiano Marcellino), fornendo con essi la chiave di interpretazione del perché di essi.
Casalino Pierluigi, 17.07.2013
Casalino Pierluigi, 17.07.2013
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