Tra il 264/265 gli ALAMANNI distrussero molte città della Liguria, tra cui “Ventimiglia Romana“, come risulta attestato anche dall’archeologia viste le tracce di incendi e crolli, con susseguenti restauri, individuati in parecchi importanti centri liguri anche costieri> L’intervento degli Alamanni dovette incidere notevolmente sull’economia ligure ed in particolare a parere di F.Pallarés (Alcune considerazioni sulle anfore del Battistero di Albenga in “Rivista di Studi Liguri”, 1987, pp.280-281) il grave saccheggio avrebbe determinato, a giudizio non del tutto condiviso dell’autrice, l’arresto della COLTIVAZIONE DELL’OLIVO in Liguria con l’incentivazione dell’importazione (l’analisi delle anfore e di altri reperti, oltre che più generali considerazioni di storia economica, sembrerebbe avallare l’idea che fino a metà III secolo l’Italia avesse importato olio d’oliva dalla Spagna -dalla Boetica in particolare- e che invece dalla metà di quello stesso secolo in Italia ed in Liguria si prendesse ad importare il più economico e concorrenziale olio africano, specie quello delle grandi aziende della Tripolitania gestite da famiglie di rango senatorio).
L’indagine sul sito di Ventimiglia romana offre qualche dato: l’analisi dei reperti e la presenza in loco di rozzi restauri – son evidenti quelli bizantini e Longobardi in una Parodos del teatro – suggeriscono l’ idea di un degrado, dell’alternarsi di saccheggi e dominazioni con un calo demografico e l’interruzione (per il timore di predoni e la distruzione di numerosi ponti) della via Julia Augusta. Si sta altresì sviluppando l’ipotesi che, difronte ai pericoli delle invasioni barbariche, la popolazione costiera sia andata concentrandosi in siti riparati, come il Cavo di Ventimiglia (già sede di complessi romani imperiali, ove si rinvennero 8 tombe romane a cappuccina, altri tumuli medievali e resti murari di un edificio che han fatto pensare allo sviluppo di una villa rustica d’epoca imperiale se non di un sobborgo tardoromano: U.MARTINI, Nuovi ritrovamenti sul “Cavo” di Ventimiglia Alta in “R.S.L.”, XI, 1945, nn. 1-3, pp. 31-36).
Peraltro nel sito di Ventimiglia alta, nel 1857, “Nel taglio della trincea che s’apriva sotto l’oratorio di S.Giovanni Battista per le costruzioni della nuova traversa… (G. ROSSI, Notizie degli Scavi, 1887, p. 289) si rinvenne un sigillo romano imperiale di ottima fattura, uno strumento (del II sec.d.C., di forma ellittica -cm.2×4- con impugnatura ad anello) utilizzato per vidimare sulla ceralacca, col nome del personaggio loro propietario, documenti pubblici o privati. Nel sigillo, su tre linee, si legge M(arci)/ Aemili(i)/ Bassi quasi unanimente identificato con uno dei più importanti cittadini romani di Ventimiglia Romana, appunto Marco Emilio Basso.
Oratorio di San Giovanni Battista a Ventimglia (IM)
V’è peraltro da dire che l’oratorio di S. Giovanni Battista, un tempo intitolato a S. Chiara, sorgeva in un sito particolare della città alta, cioè prossimo al porto del Roia ed alla via imperiale sin a far pensare che vi potesse sorgere un qualche edificio pubblico, con funzioni doganali, amministrative o comunque di valenza sociale: tutte queste considerazioni hanno bisogno di ulteriori, non facili, verifiche archeologiche ma sembra ormai abbastanza certo che, a prescindere dalle ipotetiche dimensione urbane del sito, i residenti intemeli che, ai tempi delle lotte fra barbari e bizantini, presero a sistemarsi nel luogo riparato di Ventimiglia Alta, si spostassero non tanto su aree relativamente deserte ma su un sistema suburbano romano imperiale non privo di strutture e di complessi d’utilità pubblica e sociale evolutisi da tempo [la popolazione dei fondi dell’ entroterra prese intanto a concentrarsi dal V sec. in nuclei di fondovalle sì da abbandonare quelle Villae, di singoli ceppi di famiglia, che sorgessero lontane, in luoghi anche ottimali, favorevoli e assolati su mezzacosta, ma isolati in rapporto alle nuove strategie.
Secondo il Formentini (Genova nel Basso Impero e nell’ Alto Medioevo in Storia di Genova dalle origini al tempo nostro, Milano, 1941, I , p. 68) il re ALARICO I nel 400, a capo dei VISIGOTI o GOTI VALOROSI, distrutta Aquileia e cercato invano di occupare Milano, avrebbe devastata l’Italia fino alla terra dei Tusci. Poi, minacciato dal condottiero imperiale Stilicone, si sarebbe mosso verso le Gallie, passando per la Liguria di cui sarebbero state distrutte vie e città, sin alla sconfitta patita a Pollenzo per opera dello stesso Stilicone nel 402.
A parere del Barocelli, ALARICO avrebbe invece posto a sacco le città liguri e del Basso Piemonte, poi durante la II invasione, del 408-410 (quella che portò alla presa ed al sacco di Roma da parte dello stesso Alarico), una seconda armata di VISIGOTI, guidati da ATAULFO, alla ricerca di un’uscita verso le Gallie, avrebbe devastato il municipio di Albintimilium (il poeta latino Claudiano, nel De sexto cons. Honor. Aug. pp. 440-4, scrisse che Alarico aveva mosso le armate profittando dell’inverno contro le trepidanti città liguri).
Tale esercito visigotico dovette seguire la via imperiale di costa, sul cui percorso esistevano nuclei insediativi senza difese, ove era semplice far saccheggi e rifornire l’armata: il caso più celebre fu quello di Albenga, ormai divenuta centro paleocristiano, che pei gravi danni subiti venne riedificata fra 414 e 417 dall’imperatore Costanzo III.
Uno scorcio della Val Roia
Lo spostamento dei Visigoti si sviluppò tuttavia su un fronte assai ampio, fra costa ligure e Piemonte cispadano, perché, seguendo con probabilità i tragitti e le diramazioni delle vie Postumia e Julia Augusta, vennero investiti molti centri del Piemonte centro-meridionale ed in particolare le città di Libarna, Industria, Pollenzo (anche Alba Pompeja ed Hasta) senza escludere il nodo viario di Acqui (Aquae Statiellae) da cui la Giulia Augusta scendeva al mar ligure per fondersi, presso Vado (Vada Sabatia) con l’Aurelia, che proveniva da Luni e Genova, e sostituirla quale strada di commercio verso la Provenza (E.COLLA, Gli Statuti Comunali Acquesi, Cavallermaggiore, 1987, Appendice di ritrovamenti archeologici).
Si potrebbe ritenere, sulla base di riscontri di onomastica gotica, che il grosso delle forze di Ataulfo fosse avanzato su 2 direttrici, di cui quella costiera conduceva ai siti portuali di Albenga, Capo Don di Taggia e Ventimiglia mentre la “piemontese” arrivava a Pedo. Al centro di questa “tenaglia barbarica” fu gravemente colpita la città di COEBA (oggi Ceva), già insediamento degli Ingauni e quindi colonia romana e forse anche municipio: secondo l’interpretazione di alcuni storici, oltre che dalle invasioni barbariche, la città, di cui si sa purtroppo poco, sarebbe stata cancellata -prima di risorgere nel Medioevo ed essere eretta in Marchesato da Bonifacio del Vasto in favore del figlio Anselmo- dai predoni saraceni.
Ai Visigoti successero per poco (476) gli ERULI (antico popolo germanico) che, appoggiando Odoacre, gli consentì di incorporare la Liguria nel suo regno barbarico (i VANDALI, per quanto citati dalla storia, procedettero più a saccheggi della Liguria con la loro flotta, nel V sec. operando dalla base di Cartagine specie all’epoca del vigoroso re Genserico). Sempre nel V sec. giunsero poi gli OSTROGOTI di Teodorico che, distrutti i nemici, impose un ordinamento germanico alle contrade italiche e, essendo di fede ariana, in contrapposizione alla Chiesa di Roma, che in molte pubbliche funzioni aveva ormai surrogato lo Stato, procedette ad una distribuzione di terre, anche ecclesiastiche, ai suoi militi congedati od Arimanni, sistemandoli in zone strategiche come la Val Nervia e contrapponendo le chiese ariane a quelle cattolico-romane attorno a cui gli italici andavano recuperando una guida unitaria ( ENNOD., Vita Epiph., 130,138,132: L. CRACCO RUGGINI, Esperienze economiche e sociali nel mondo romano in Nuove questioni di storia antica, Milano, 1969, p. 787).
Una diramazione della Val Nervia
Al pari dei Visigoti, e come avrebbero fatto molti invasori compreso i Saraceni, anche gli OSTROGOTI erano scesi al mare intemelio dal territorio di Borgo S. Dalmazzo e come i predecessori si erano trovati nella necessità di seguire il percorso mare-monti del periodo classico, quello che portava a Tenda e quindi a Briga, Saorgio (in Val Roia), Passo Muratone al tragitto imperiale di Val Nervia (Marcora, Veonegi, ” Portu”) giungendo a Dolceacqua e Camporosso (area di S.Andrea – S.Pietro).
La toponomastica prova che i GOTI raggiunsero un buon controllo del territorio e dei suoi nodi viari. Discreta importanza fu riconosciuta al quadrivio di Marcora. Dal sito i germani sarebbero penetrati nel vecchio fondo romano di Oggia o sistemarsi come coloni nel pignasco, nei piccoli insediamenti tardo-romani di Argeleu e del Marburgu (sul vallone che limita a Sud la spianata della chiesa di San Tommaso), del vicino Marbuscu o bosco cattivo e della supposta area sacrale di Lago Pigo.
Grazie ai rami viari i Barbari non avrebbero trovato ostacoli a raggiungere l’ area di Apricale (tragitto Val Nervia – Isolabona – Apricale – Summus Vicus \ Semoigo); da lì sarebbero potuti arrivare in VALLE ARGENTINA (direttrice di Apricale-Baiardo-S.Romolo).
L’importanza di questa II^ valle, crocevia di scambi sin al tardo Impero, anche per l’approdo portuale di Costa Beleni \ Balena in Riva Ligure-Arma di Taggia, induce però a credere che i Goti vi siano piuttosto giunti in modo autonomo rispetto alla val Nervia.
Procedendo da Pedona sin a Briga era una trasversale, da “Madonna delle Fontane” al Colle Ardente fino a Triora, donde era facile raggiungere i latifondi tra Sanremo e Valle Argentina.
Uno scorcio di Valle Argentina
Il castello di Campomarzio/S.Giorgio, ove son riconoscibili costruzioni bizantine su resti di un avamposto romano a sua volta eretto sul cuspidale di un castelliere ligure, restò per secoli a guardia del percorso vallivo dell’Argentina.
La zona di Costa Beleni
Dai primi del 1800 una serie di scavi archeologici ha fatto individuare come la stazione stradale romana di Costa Beleni, si sia evoluta in un nucleo urbano e portuale del medio Impero e poi in un insediamento paleocristiano, ove si son individuate 2 basiliche primigenie ed una necropoli.
Documenti di varia antichità si son reperiti per questo territorio né mancano tracce di distruzioni e restauri, con qualche scoperta riguardante sia il periodo gotico del V sec. che della riconquista bizantina del VI (N.CALVINI-A.SARCHI, Il Principato di Villaregia, Sanremo, 1977, Introduzione storica di Aldo Sarchi).
da Cultura-Barocca
8 SETTEMBRE 2015
L’estremo Ponente Ligure agli inizi del Medio Evo
Il Teatro Romano a Ventimiglia (IM), Frazione Nervia - antica Albintimilium -, dove in una parte delimitata venne eretta una chiesa paleocristiana, ormai scomparsa.
Il Teatro Romano a Ventimiglia (IM), Frazione Nervia – antica Albintimilium -, dove in una parte delimitata venne eretta una chiesa paleocristiana, ormai scomparsa.
Non è possibile affermare se dal IV sec., come in altre aree del Nord Italia in crisi socio-economica e poi anche demografica, si siano costituiti dei latifondi nel territorio ingauno ed intemelio: al riguardo mancano troppi dati. E’ più facile sostenere che dal V sec. la Chiesa (uscita con Costantino dall’illegalità), ormai sempre più collaboratrice di uno Stato sempre meno forte, abbia assimilato alcune di queste proprietà; e che ciò si sia verificato in occasione di crisi belliche o di carestie, quando molti fedeli donavano parte dei beni (spesso fondiari) alla Chiesa, ricevendone “tuitio” o patronato (cioè protezione). Nel V sec. le popolazioni della costa ligure presero poi a migrare verso l’interno, terrorizzate delle devastazioni dei Visigoti di Alarico (410) e dei Vandali di Genserico (429-435).
Nel 476 la LIGURIA MARITIMA venne incorporata nel regno di Odoacre; funzionari barbari amministravano le città, mentre gli antichi possedimenti erano depauperati di un terzo, assegnato agli “hospites” cioè a famiglie di barbari invasori.
Tutte le aree agricole tra Ventimiglia ed Albenga patirono questa sorte, in particolare quando si trattava di terre favorevoli a buoni insediamenti stabili. Non sussistono molti dati archeologici su queste trasformazioni (per quanto tracce di parecchi fondi rurali – “visitati” dalla buona età dell’Impero all’epoca medievale – siano stati rintracciati da ricerche nella valle del Nervia) comunque sia in media ed Alta Val Nervia (al pari che in quella dell’Argentina) si individuano (dai documenti più antichi reperibili sino ad oggi) cognomi provenienti dalla buona latinità o dalla grecità bizantina (come Balbo, Basso, Ceriani da una gente Coelia, Maccario/Macario, Filippi e via dicendo) posti a confronto (in un clima tuttavia ormai pienamente pacifico per quanto riportato dai più antichi atti scritti reperibili) con genti dai cognomi di derivazione germanica, che fanno riferimento a gruppi di invasori stanziatisi su territori rurali, trasformandosi spesso da guerrieri in agricoltori e pastori (si ricordino cognomi come “Arnaldi, Airaldi, Garibaldi, Lanteri, Lombardi” ecc.). Qualche considerazione si può fare per le grosse VILLE RURALI (o “pseudourbane”) della bassa valle Argentina e site tra Sanremo, Riva Ligure e Bussana (della I e della III sopravvivono tracce archeologiche, sotto forma di ruderi di complessi residenziali e rurali). Ma se abbiamo queste referenze della villa “Matuciana” (in qualche modo matrice di Sanremo) e di quella di Bussana (forse nominata da una famiglia “Vibia”), altrettanto rilevanti dovevano essere le “ville imperiali”, circondate da fertili ed ampi territori (forse frutto di donativi terrieri a legionari), denominate “POMPEIANA” (donde poi si staccò il peculiare complesso di “TERZORIO”), “Porciana” (S.Stefano al mare), “Ceriana” (poco o nulla si può dire delle ville “Periana” e “Luvisiana” su cui N. Lamboglia dette vaghe supposizioni e, verisimilmente, di altre proprietà ruotanti intorno alla strada romana, la “STAZIONE STRADALE” sulla via Giulia Augusta – oggi l’Aurelia, grossomodo – nominata nelle carte imperiali “COSTA BELENI” o “BALENA” centro ingauno ai confini dell’area intemelia, sede di un certo inurbamento e di un interessante attivismo commerciale, per la presenza di un porto e la prossimità sia alla via di costa che a quella di penetrazione, per la valle Argentina, in Padania, oppure, con una deviazione da Baiardo, nel territorio di Ventimiglia romana). I fondi rurali di val Nervia, le ville suburbane che si succedevano da questo torrente, sin al territorio di Bordighera ed Ospedaletti, e le antiche VILLE del Tabia fluvius subirono delle trasformazioni marcate , peraltro accentuate dall’ostrogoto Teodorico, che, di fede ariana, procedette ad una spoliazione dei beni della CHIESA TRINITARIA DI ROMA.
Questa finì per dover appoggiare Bisanzio (nonostante l’ambiguo comportamento di imperatori come Costanzo II e Valerio, non estranei – per contrapporre il loro clero fedele a quello “troppo” autonomo di Roma – dal far concessioni a barbari ariani nel IV sec.). L’ambizioso GIUSTINIANO, che progettava la restaurazione dell’Impero di Roma, in cui anche la Chiesa occidentale fosse dipendente dallo Stato, colse l’occasione di riprendere l’Italia e Roma, che nell’opinione mondiale pur sempre erano ancora il “centro del tutto” : così i generali greci Narsete e Belisario, nel corso della GUERRA GRECO-GOTICA (535-553), riuscirono nell’impresa. Dopo la vittoria bizantina fu emanata la Prammatica Sanzione per cui Giustiniano restituì agli antichi proprietari le terre confiscate dai Goti. Fra tali conquiste si annoverò, senza dubbio, con la LIGURIA MARITIMA ITALORUM l’ancora importante base di Ventimiglia. Pochi fra i vecchi possessores erano superstiti e spesso non si trovavano neppure loro eredi: i Bizantini donarono poi alla Chiesa, nel caso alla Diocesi di Genova, quei territori che risultavano ormai privi di legittimi padroni o pretendenti. Gli storici hanno visto in tali concessioni una contropartita per l’atteggiamento filobizantino dei Vescovi genovesi durante la GUERRA GRECO-GOTICA, nel corso della quale i re goti Totila e Teia si scontrarono contro formidabili ma feroci truppe greco-bizantine, spesso reclutate tra selvaggi popoli di frontiera, vassalli dell’Impero orientale: come un proverbio (riportato da Paolo Diacono) per decenni – viste le angherie fatte da contingenti greci alla popolazione locale, serpeggiò fra gli indigeni la frase che “era meglio esser servi dei Goti che alleati dei Greci”. Per comprendere queste REGALIE BIZANTINE alla Chiesa di Genova bisogna tenere conto delle condizioni socio-politiche e della radicale trasformazione dei contingenti greci in truppe di occupazione più che di liberazione. All’ epoca dello SCISMA TRICAPITOLINO, nel 537 Giustiniano, volendo accentuare il controllo sull’ episcopato italiano che cercava di sfuggire al controllo dei suoi ministri e governatori, costrinse Papa Vigilio a condannare i Tre Capitoli (le dottrine di Teodoreto di Ciro, Teodoreto di Mopsuestia, Iba di Edessa), le quali stavano alla base del cristianesimo trinitario occidentale e vennero sancite dal Concilio Calcedonese del 451. La Liguria costiera o Maritima Italorum aderì alla condanna dei “Tre Capitoli”, anche perchè quasi obbligata dalla dominazione bizantina (gran parte dell’Italia dal 568 passò invece sotto il controllo dei Longobardi). A Genova dal 569 risiedeva il fuggiasco arcivescovo di Milano, che, allacciati contatti con le filo-greche Roma e Ravenna, condannò quella dottrina dei Tre Capitoli, che gran parte d’Italia, Milano compresa, professava. L’atteggiamento della Diocesi genovese indusse i Bizantini, bisognosi di alleati, non solo a compensarla ma a potenziarla, in previsione di una sua contrapposizione alla Diocesi milanese. Nell’area fra “Albintimilium” ed “Albingaunum”, in particolare nei territori di “COSTA BELENI” le donazioni alla Chiesa genovese furono di rilievo.
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