Fino al periodo delle crociate il mondo cristiano poco nulla sapeva dell'Islam, che restava una realtà oscura e sconcertante. Il primo intellettuale occidentale che studiò il Corano, o meglio criticarlo e confutarlo, fu l'abate di Clun y, Pietro il Venerabile. Il religioso, dopo aver compiuto un viaggio in Andalusia, pubblicò nel 1142 una traduzione latina del Libro Sacro dei musulmani. La Spagna islamica, come diceva Levi Provençal, nella sua monumentale opera dedicata alla presenza araba nella penisola iberica, rappresenta un caso straordinario di felice commistione religiosa e culturale, unico nella storia. Di quell'esperienza conserviamo vestigia di grande prestigio che confermano il grado elevato di civiltà raggiunto. La moschea di Cordova, riaperta al culto musulmano, in occasione di un importante colloquio interreligioso, la Alhambra ed soprattutto le opere dei grandi filosofi arabi ed ebrei, quali Ibn Rushd (Averroè) e Ibn Maimun (Maimonide) (entrambi originari di Cordova), città che diede i natali a Seneca, Marziale e ad altri grandi spiriti dell'antichità classica, il mistico persiano Avicenna (Ibn Sina^), ripropose l'analisi aristotelica e neoplatonica. Secondo Averroé (Ibn Rushd) la verità si trova tutta nel Corano, anche se secondo il filosofo berbero-andaluso tale testo si rivolge a tutti, grazie al suo messaggio universale. Tutti gli uomini, nella visione averroistica, sono dotati di ragione al punto di cogliere il senso delle verità superiori. L'interpretazione del Corano che Averroè ne fece, in chiave filosofica e giuridica, era finalizzata a questo scopo. Tali considerazioni rilanciarono il criterio del metodo negli studi filosofici. L'averroismo fu insegnato alla Sorbona nel XIII secolo e lo stesso San Tommaso d'Aquino individuò nella concezione aristotelica le basi adeguate per costruire una teologia cristiana che osserva e coniuga ad un tempo le esigenze della fede e della ragione. Il precipitare degli eventi storici, dalle crociate alla Reconquista della Spagna a spese dei Mori, dopo la caduta di Granada nel 1492 e più tardi l'avanzata turca con l'assedio e la presa di Costantinopoli e quindi con l'assedio della stessa Vienna nel 1529, l'incendio da parte del Papa del Corano e la condanna del libro anche da parte di Lutero, che lo definisce maledetto e menzognero, furono tutte circostanza che allargarono i fossati. Da allora si oppone un Islam superstizioso e perverso ad un Occidente illuminato. La colonizzazione e lo jihad hanno fatto il resto dando fuoco alle polveri. Malek Chabel, studioso algerino e docente universitario in Francia, già in tempi antecedenti ai fatti parigini del 2015, ha voluto ristabilire fiducia ed equilibrio in un dialogo che ha rischiato di precipitare da una non corretta lettura di un discorso di Papa Benedetto XVI. Chebel riconosce che il processo di integrazione delle categorie della ragione nell'Islam non è stato completato dopo il lavoro di Ibn Rushd (Averroè), rimanendo confinato nell'Islam intellettuale. La lettura critica del rapporto fede-ragione non è riuscito ad affermarsi compiutamente nel tempo dei filosofi medievali, nonostante diversi tentativi promossi dalle correnti più avanzate. I liberi pensatori di scuola mutzilita e ancora gli enciclopedisti musulmani del X secolo non ebbero fortuna nel portare avanti il discorso del rinnovamento dell'Islam nella modernità, che oggi viene respinto, attraverso letture faticose e faziose, strumentali e non meditate di quel messaggio. A parere di Chebel è più facile addestrare, purtroppo, un eversivo radicale, che formare un intellettuale. A questo proposito un altro pensatore arabo dei nostri giorni, il tunisino Mohammed Talbi esprime la speranza di un confronto basato sulla ragione e sulle cose, per evitare inutili, anacronistiche e grottesche guerre di religione. Casalino Pierluigi, 2.02.2015
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