Il grande teatro dell'anima ovvero il grande teatro della vita: ecco quello che è stato, che è e che sarà. Non è solo il passato e neanche solo il presente a darci problemi nella ricostruzione e costruzione degli eventi, i nostri personali e quelli collettivi: anche il futuro ci dà dei problemi. Passato, presente e futuro, dunque, che differenza c'è? Presto che si va in scena, presto che va in scena la Storia. Che sarà il domani allora? È così antiquato questo nostro agitarci di presagi, di intuizioni, di domande, di illusioni e di delusioni? Cerchiamo di indovinare il futuro? Possiamo ancora lanciarci un sfida suscitare un brivido di inquietudine? Ci possiamo ancora affidare a indovini e veggenti, come sempre abbiamo fatto? O veramente è un compito impossibile oggi? Non si tratta di superstizione: si tratta di sapere come e perché di un qualcosa che ancora non c'è. Sappiamo certo noi quello che chi è vissuto prima di noi è stato ( lui non lo sapeva), difficile sapere quello che sarà dopo di noi e come saranno quelli dopo di noi. L'argomento è scivoloso e tortuoso. Già i testi sumerici mettevano in guardia contro i falsi presagi. Ma quella sola profezia che, per caso, si avvera può svelarci una dimensione ignota e insondata dell'animo umano. Proviamo ogni giorno a cercare una finestra aperta verso il futuro e regolarmente ci sbagliamo. Esiste una apertura certa verso il divenire? O ci imbattiamo sempre nella fredda regola che ci conferma l'imperscrutabilita' del futuro? La meta finale sono le cento e mille porte del destino che ci precede. Come trovare e varcare questi ingressi? Ci sforziamo di attraversare i labirinti dei sogni e delle anticipazioni frammentarie e scomposte di qualche nostra illazione. Talora si può presentire la nostra sorte o altrui come in una nebbia. E' lo sguardo, incerto eppure penetrante, con cui scrutiamo il tempo che ci aspetta, o scopriamo, all'improvviso, il passato ignoto che grava proprio sul nostro destini futuro. I futuro è vicino a noi, già tra un attimo è futuro. Solo riuscissimo a incontrarlo e a svelarlo, introvabile, misterioso, sfuocato e attraente. Indoviniamo il mondo, finché andiamo tempo per farlo, e parole per dirlo. Qualcuno, a dire il vero, sta ancora cercando di persuadersi che la realtà è tutta qui e che l'oltre nel tempo e nello spazio non esiste, nemmeno nelle altre dimensioni, tra queste il futuro che ci sfugge mentre cerchiamo di coglierlo eppure non lo riconosciamo anche quando lo viviamo inconsapevolmente. E' come rivivere ogni volta il mito della terra natale di Ulisse: in essa era costellata la nostalgia archetipica dell'origine, ma anche la meta cui tendere. Simbolo e dimora dell'anima fin tanto che dura il vagare di Ulisse, Itaca, il nostro futuro, è destinata ad esaurire il suo potere di attrazione non appena sia diventata stabilmente raggiunta. Per questo il vate Tiresia comanda di tornare nell'isola, ma anche di partire di nuovo verso l'avvenire che si ripropone. Infatti anche i simboli invecchiano quando si mutano nell'istituzione e si consolidano nel possesso: "perdono anima", si dice, e l'anima li precede di nuovo su altri inesplorati cammini, quell'anima che Agostino d'Ippona indica come misura del tempo. Nella spiritualità dell'allora nascente umanesimo greco, il senso ultimo e più alto del viaggio (verso il futuro) sembra qui coincidere anche con il nostro accoglimento cosciente della fine di qualcosa e del nuovo che arriva, ma non vediamo, se pur pervaso da solenni promesse. In tutto questo forse si racchiude davvero il futuro, un futuro che è ancora presente, finché noi siamo presenti.
Casalino Pierluigi
Nessun commento:
Posta un commento