Dante arriva all'idea di una monarchia universale dopo un percorso che coincide con le diverse tappe ed esperienze della sua vita, oltre che segnato dagli eventi di cui fu testimone. Questa visione politica nasce, in particolare, di fronte all'umanità smarrita e discorde del suo tempo che può trovare conforto e ordine solo con l'instaurarsi di una autorità forte e sovranazionale ( l'Impero) che regga le sorti degli avvenimenti, indirizzandoli verso mete sagge e sicure che siano a tutela della armoniosa e pacifica convivenza dei popoli. Si tratta di un sogno di straordinario livello morale e civile al tempo stesso. Non condividendo la tesi agostiniana che contrappone la Civitas terrena alla Civitas celestis, la Città di Dio e la città del diavolo (Sant'Agostino aveva severamente condannato l'Impero romano, prodotto, come tutti gli imperi, della superbia umana e della sete di dominio), Dante afferma dunque, e invece, un fine di felicità terrena dell'uomo, al limite, o oltre il limite, della stessa ortodossia. In una duplice prospettiva: da un lato perché la beatitudo huius vite appare inammissibile, secondo la lezione dei Padri della Chiesa, come fine autonomo della vita, se pur ordinata alla beatitudo vite esterne (III 15, 7, Monarchia); dall'altro perché, assegnando alla società umana il fine di realizzare collettivamente l'intelletto possibile, facilmente si può cadere nell'errore in cui cadde Averroe' (Ibn Rushd), pensatore ben più "saggio" di Dante (e comunque stimato suo Maestro), che aveva identificato quest'ultimo con l'intelligenza universale, separata dall'anima individuale, perciò privata del requisito dell'immortalità. Di qui la chiosa che Dante stesso ha sentito, forse, la necessità di portare proprio a questo punto della Monarchia, nel canto del Purgatorio in cui Stazio spiega la generazione dell'uomo e l'infusione dell'anima nel corpo (Purgatorio, XXV, 62-65). Specificazione che, se si ammette a chiarimento del possibile equivoco su questo concetto fondamentale della Monarchia, sarebbe da assumere come prova della anteriorità di questa almeno al canto XV del Purgatorio. Legata ad una problematica tipicamente medievale e da tempo ormai anacronistica, la Monarchia può sembrare a prima vista l'opera di Dante più lontana dalla nostra sensibilità moderna: se non poco attraente, soprattutto interessante come documento della riflessione del Poeta e delle ragioni profonde del suo impegno e della sua passione politica. E ciò non di meno spunti di modernità, a dire il vero, si riscontrano anche nella Monarchia: basti pensare alla soluzione data nel XIX secolo al problema dei rapporti Stato Chiesa, fondata dall'intuizione dantesca non solo circa la separazione delle due sfere di potere, ma anche, e in maggior misura, circa l'esigenza di una autorità superiore ai singoli Stati, che garantisca pace e giustizia fra i popoli. Lampi impensabili di modernità, che coinvolgono la coscienza dell'uomo di oggi. Una visione certamente ottimistica della Storia e del destino umano.
Casalino Pierluigi
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