La fine della prima guerra mondiale e l'avvio dei negoziati di pace a Parigi riproposero l'interrogativo inquietante per i bolscevichi e già sollevato da Bucharin nel corso della discussione sulla pace di Brest-Litovsk: che cioè l'ostilità ideologica del mondo capitalistico verso la Russia rivoluzionaria risultasse più forte della crepa che aveva diviso quel mondo, e che ora stava per ricucirsi. Dopo l'annullamento del trattato di Brest-Litovsk,il governo sovietico si era visto infatti escluso dal tavolo delle trattative di Versailles da parte degli Alleati che, aldilà delle divergenze di metodo, si rivelarono unanimi nel ritenere che bisognasse innanzi tutto contenere il pericolo del contagio bolscevico. Il fallimento dei tentativi dei sovietici di prendere contatti con gli Alleati alimentò a dismisura sospetto e ostilità verso l'esterno e rese impraticabile ogni iniziativa della giovane diplomazia sovietica. La propaganda rivoluzionaria non poteva che tornare alla ribalta, ma ben presto la logica della sopravvivenza e del realismo politico avrebbe riportato in auge l'arte della diplomazia classica e costretto il governo rivoluzionario a "confondersi nel labirinto delle sottigliezze diplomatiche" E' quanto parve suggerire lo stesso Cicerin in occasione di un suo celebre intervento dedicato alla Conferenza di Versailles. E certo Cicerin trasportò nel nuovo regime l'eredità della diplomazia zarista, segnando un elemento di continuità tra la Russia prerivoluzionaria e quella successiva che caratterizzerà la politica di potenza dell'Urss. Suggestione della vecchia diplomazia non potevano essere assenti in Cicerin, formato nei ranghi della diplomazia zarista, anche per tradizione famigliare ed accademica. Cicerin fu l'anticipatore di Gromyko, il grande architetto delle relazioni tra est ed ovest dopo il secondo conflitto mondiale fino quasi a ridosso del crollo dell'Urss e dell'ordine di Yalta. Una realtà che tuttora continua.
Casalino Pierluigi
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