Casalino Pierluigi
martedì 14 luglio 2020
Il Futurismo ha ancora un futuro.
Nato con un manifesto, quello di "fondazione" di F.T. Marinetti pubblicato il 20 febbraio 1909 su "Le Figaro", il Futurismo seppe generare per oltre trent'anni straordinari e dirompenti capolavori in ogni angolo della creatività, senza mai smentirsi, né perdere la rotta. Se ciò accade, fu anche grazie alla sequenza ininterrotta dei manifesti teorici stilati dai suoi artisti che, dopo la poesia (Marinetti, nel primo, parlava appunto ai poeti) investirono la pittura, la scultura, la musica, il teatro fino a puntare alla quotidianità quando, nel 1915, con "Ricostruzioni futurista dell'universo", Giacomo Balla e Firtunato Depero presero a spargerne i semi sulle arti decorative, la moda, la grafica, la pubblicità. Scritti dagli stessi futuristi, ma sempre revisionati dal demiurgo e profeta Marinetti, garante dell'ortodossia, questi teorici attraversarono come una spina dorsale l'intero movimento, dal 1910, quando cinque giovani artisti geniali e ribelli (Boccioni, Carra', Russolo, Balla, Severini, i "padri fondatori" del Futurismo in pittura) firmano il "Manifesto dei pittori futuristi" e "La pittura futurista.Manifesto tecnico", fino agli anni '40. Ed è proprio per tale ragione che si sono succedute dal 2009, anno del centenario del Manifesto di Marineti, occasioni futuriste che hanno continuato a celebrare una felice, democratica specificità dei nostri avanguardisti, in particolare dei cinque "futuri futuristi", tutti formati nella cultura pittorica del divisionismo (tanto da scrivere poi nel 1910,che non può esistere pittura senza divisionismo). Se ne allontaneranno presto però, subito dopo i viaggi a Parigi del 1911 e 1912, quando assegneranno alla loro pittura una nuova volumetria, appresa si' dai cubisti, ma da loro trasfigurata grazie ad un dinamismo e ad una intensità cromatica del tutto ignoti ai francesi. Va ricordato il confronto tra i dipinti del 1910-11 e quelli, ben più plastici, successivi al 1912, l'anno in cui Boccioni stilerà anche il già citato "Manifesto tecnico della cultura futurista". Il percorso creativo proseguirà con "L'architettura futurista" del geniale Sant'Elia, morto in guerra nel 1916, i cui lavori testimoniano una visionarietà prodigiosa che, se applicata, avrebbe risolto gran parte dei problemi di mobilità delle nostre metropoli. Già nel 1914, infatti, il giovane architetto teorizzava una città con livelli stradali diversi per pedoni, ciclisti, auto, tram, collegati tra loro da ascensori e tapis roulant. Dello stesso 1914, quando l'Europa era già in guerra, è il manifesto Sintesi fururista della guerra, scritto in carcere da Marinetti, Biccioni Carra', Russolo e Piatti, arrestati per una manifestazione contro l'Austria e la Germania. E se è vero che oggi l'interventismo appare come un aspetto poco lodevole del loro pensiero, va tenuto presente che molti di loro pagarono di persona, arruolandosi volontari in guerra (e alcuni, come Sant'Elia e Boccioni, persero la vita, mentre altri, come Balla, ma non solo lui, crearono dipinti di incredibile potenza, segnati da un patriottismo ancora post risorgimentale). Non mancarono le "Parole in libertà", teorizzare da Marinetti in alcuni manifesti usciti tra il 1911 e il 1912, e anche nel 1914. Tale forma di poesia rivoluzionaria, "prelogica", svincolata dalle leggi della sintassi, non solo rappresenta una delle novità più sconvolgenti del Futurismo, ma rinchiude in sé una evidente dimensione pittorica, che fu notata subito da Antonio Gramsci. Della volontà di questo scintillante gruppo di intellettuali a tutto campo e della loro volontà di saldare arte e vita sono testimoni le sorprendenti opere realizzate da Balla e Depero: seguendo i precetti del loro manifesto "Ricostruzione futurista dell'universo",1915, in cui i due, oltre ad "impollinare" di futurismo l'intero orizzonte quotidiano, imprimono al loro linguaggio una decisa virata verso l'astrazione geometrica, aprirono la strada alla stagione dell'Arte meccanica. Il manifesto relativo, 1922, trova voce in negli stupendi lavori degli anni '20 di Balla e Depero e in quelli dei tre firmatari del manifesto, Prampolini, Pannaggi e Paladini, tutti impegnati ad officiare alla Macchina (scritto proprio con la M maiuscola e alla velocità), ispiratrice di dipinti come ritagliati in lastre di metallo e abitati da una umanità robotizzato. E infine, negli anni '30, ecco le immagini mirabolanti dell'Aeropittura, con le quali alcuni di loro celebrano lo sguardo dall'alto regalato dalle nuove "macchine volanti", (anticipate dall'antico Luciano di Samosata e, da ultimo, anche da Jules Verne), mentre altri evocano la fascinazione esercitata sull'uomo dai mostri del cosmo: una fascinazione anticipatrice del volo umano nello spazio interplanetario e della esplorazione di quello interstellare. Circostanza verificatasi nella seconda metà del XX secolo e ancora in corso. Trent'anni di opere suggestive, quelle di questi entusiasti profeti del futuro, dunque, che potrebbero apparire solo come invenzioni brillanti e curiose, ma che sono una vera e propria trascrizione di un sistema di pensiero e soprattutto di una visione del futuro che si è affermata nei fatti sotto la spinta di un ottimismo che deve saper vincere anche le tragiche battute d'arresto di questi nostri giorni, segnati da preoccupanti black out del genio creativo dell'uomo. Per tale ragione, quindi, il Futurismo ha ancora un futuro, anzi il Futurismo è il futuro.
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