giovedì 2 gennaio 2014

DANTE E L'ISLAM. L'influenza di Averroé (Ibn Rushd).

Platone descrive nella REPUBBLICA che "uno stato nasce perché ciascuno di noi non basta a sé stesso, ma ha molti bisogni. Così per un certo bisogno ci si avvale dell'aiuto di un altro: il gran numero di questi bisogni fa riunire  in una sede molte persone che si associano per darsi aiuto, e a questa coabitazione abbiamo dato il nome di stato". Aristotele afferma poi che l'uomo è per natura "animale politico": nel RAGGIUNGIMENTO DELLA FELICITA', Al-Fa^?ra^bi^ ripete che "non è possibile (all'uomo) pervenire alla perfezione isolandosi (infi^rad) e trascurando la cooperazione (mu'a^winah) coi suoi numerosissimi simili" e aggiunge, traducendo Aristotele, che "l'animale umano si chiama anche animale sociale (yusamma^ al-hayawa^n al-insa^ni^ wa al-hayawa^n al-madani^". Come si è fatto per la questione degli intelletti, è anche qui assai stimolante considerare la posizione dantesca, concernente il rapporto società-felicità, letta in un'ottica aristotelico-araba. Dante mostra di aver molto a cuore il benessere sociale e, aristotelicamente, lo finalizza alla felicità. E' una posizione che lo avvicina agli arabi, che ne fa l'erede (leggi sul web i molti articoli di Casalino Pierluigi su Dante e l'Islam) - in particolare, è vero, attraverso Ibn Rushd (Averroè) -, di problematiche che Al-Fa^ra^bi^ per primo contribuì ad elaborare. Il fine dell'uomo, dunque, è la felòicità, filosofica e spirituale; il compimento dell'umanità consiste nel realizzare la potenzialità intellettiva, cioè la piena attuazione dell'intelletto possibile. Ciò si realizza solo in forza della partecipazione dei singoli alla società. Potremmo evocare una serie di altre citazioni in proposito, ma sono soprattutto la Monarchia e il Convivio a darci la chiave dell'interpretazione dantesca. Dante è evidentemente e chiaramente vicino all'averroismo, sostenendo che "è evidente che il termine ultimo della potenza della diversa della potenza dell'intera umanità è la potenza o virtù intellettiva. Tuttavia, sempre secondo il Sommo Poeta, il genere umano si trova in uno stato di benessere e di felicità quando, nei limiti delle sue possibilità, è assolutamente simile a Dio. Ma il genere umano è assolutamente simile a Dio, quando è assolutamente uno: e questo non può essere se non quando soggiace interamente ad un unico principe. Ciò giustifica la necessità delle vita sociale e il suo ordinamento specifico sotto la "monarchia", che è forma il più possibile simile a quella insita nelle sfere celesti, conformando in tal modo l'attività umana a quella degli angeli. Si tratta in altri termini di una visione "greco-araba", e pertanto tipicamente alafarabiana, che coglie nel rapporto tra "sopra" e "sotto" il disegno di un'unica armonia. Anche nel Convivio, Dante si mostra imbevuto di prospettive arabe, pur spesso nascondendo le sue fonti, come quando riecheggiando sia Al-Fa^ra^bi^ che Averroè (Ibn Rushd), afferma che "l'umana natura, non pur un'abitudine, abbia abbia due, ma due, sì come quella della vita civile, e quella contemplativa. Il sapere è causa di perfezione ("nati non fummo per viver come bruti, ma per seguire vita e conoscenza"...) e "l'unica perfezione nostra, sì come dice lo Filosofo nel sesto dell'Etica, quando dice che 'l vero è lo bene de lo intelletto". Argomentare su ciò ci porta lontano e ci svela quanto profondo fosse il legame tra il pesniero islamico e quello di Dante.
Casalino Pierluigi, 2.01.2013

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