Il 21 luglio del 1858, nella stazione termale di Plombières-les bains (nella regione dei Vosgi), Napoleone III e Cavour si incontrano segretamente. (Cavour viaggia in incognito e si registra in albergo sotto il nome di “signor Giuseppe Benso”….). Quattro ore di discussioni, di cui gran parte fatta en tête-à-tête durante una passeggiata in carrozza, al riparo di orecchie indiscrete. L’imperatore francese conferma l’appoggio di Parigi a Torino nella lotta contro l’Austria in vista della indipendenza italiana. Tra le “compensazioni” da negoziare, Napoleone III chiede quasi distrattamente, alla fine del lungo colloquio durante il quale si è delineata l’azione congiunta franco-piemontese, se Vittorio Emanuele II sia disposto a cedergli la regione della Savoia e la città di Nizza. Più che al nome della Savoia (che tanti legami storici aveva con la Francia e quindi la sua cessione poteva essere in qualche modo considerata in sintonia col principio delle nazionalità), è a quello di Nizza che Cavour ha un sussulto. I nizzardi appartengono alla famiglia italiana, replica il primo ministro piemontese, la sua cessione alla Francia non significherebbe andare contro il “principio delle nazionalità”, nel cui nome peraltro i due paesi si apprestano a fare guerra all’Austria? Cavour su questo punto esita parecchio. Napoleone III non replica. La questione rimane così in sospeso. Considerato un “punto secondario”, i due statisti decidono di affrontarla più tardi.Conosciamo il seguito. Le vittorie franco-piemontesi (al prezzo di gravissime perdite) di Magenta e Solferino, il “fulmine a ciel sereno” dell’Armistizio di Villafranca intervenuto tra Napoleone III e l’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe che pone improvvisamente fine alla guerra. Le dimissioni di Cavour contrarissimo all’armistizio. La Lombardia quindi passa alla Francia la quale, a sua volta, la cede al Piemonte. La dinamica risorgimentale sembra incepparsi. L’Unità d’Italia può attendere. Napoleone III voleva in effetti aiutare il Piemonte, ma non a costo di mettere in pericolo gli interessi nazionali francesi. Da un lato, infatti, la Prussia aveva cominciato, all’inizio del conflitto, ad assumere iniziative militari in funzione anti-francese, dall’altro regni, principati e ducati italiani si offrivano spontaneamente al Piemonte, desiderosi di integrare il futuro Regno d’Italia. Si andava cioè profilando un paese molto più grande e compatto di quello immaginato da Napoleone III che pensava probabilmente ad un Regno del Nord d’Italia, sotto influenza francese. Si va invece delineando uno Stato unitario che si allunga per tutta la sua grandezza nel Mediterraneo ed è suscettibile di passare sotto influenza inglese.
In queste condizioni che senso avrebbe per Parigi continuare la guerra? Intanto i nizzardi (i quali ignorano ancora quale sarà la loro sorte, ma sanno che sono in corso sotterranee trattative) si agitano. Si muovono i filo-italiani (guarda caso sostenuti dal console inglese a Nizza Percy Seymour), favorevoli al mantenimento dello status quo, mentre si attivano i filo-francesi, guidati dallo stesso sindaco della città, Malaussena, sostenitori invece del “rattachement” alla Francia. Il governo sardo è sempre titubante. C'era tra i nizzardi chi puntava sulla nuova Italia e non sul vecchio Piemonte, ma si registrava pure un sentimento filofrancese, a causa del minor carico fiscale di Parigi e delle maggiori opportunità di lavoro, di quella che era considerata la Nazione piu' ricca di Europa. Ci si rende conto anche che Vittorio Emanuele II non può semplicemente “cedere” territori del suo Regno, senza rischiare la disapprovazione generale. Voci contrarie si levano anche a Ventimiglia e nel resto del Ponente ligure. Ma se fossero invece delle petizioni popolari a chiederlo? Allora il discorso sarebbe diverso… Un referendum quindi a Nizza e in Savoia? E’ indispensabile. Diventa la condizione sine qua non per giustificare un trasferimento fatto sull’altare della ragion di Stato. A Nizza la battaglia polemica tra opposte fazioni si infiamma anche attraverso la stampa: La voce di Nizza, Il Pensiero di Nizza, Il Nizzardo, tutti ardentemente italofili e la Gazette de Nice, che predica costantemente il “ritorno” della città alla Francia.Il giorno delle elezioni infine arriva. Il 15 aprile 1860 (un anno prima della dichiarazione dell’Unità d’Italia) si vota a Nizza, il 22 dello stesso mese in Savoia. Nella Contea di Nizza tutti gli aventi diritto si recano alle urne: sindaci e, soprattutto, parroci, in testa. Si va al seggio in gruppo. Ogni gruppo inalbera la propria bandiera. Quelle francesi appaiono subito molto più numerose! Che Cavour si sia sbagliato? C’e molta eccitazione per le strade, una certa euforia tra i francofili, una marcata tensione tra gli italofili. Vengono infine comunicati i risultati. Sorprendenti, molto sorprendenti e che comunque non rispettano certo la ripartizione linguistica della città. Non mancano sospetti di brogli e di irregolarità. Ma va considerato che molti preferiscono diventare francesi, pensando forse alle prospettive di sviluppo che potrà schiudere l’integrazione nel paese più importante e ricco dell’epoca, piuttosto che rimanere in un piccolo Stato dall’incerto destino ovvero integrarsi nella nuova e sconosciuta Entità che si annuncia all’orizzonte: l’Italia Unita, dove Nizza sarebbe rimasta ancora più periferica. Gli inviati di Parigi del resto sono molto abili nell’indicare ai notabili locali prospettive di investimenti e di sviluppo economico. Un referendum inoltre fortemente appoggiato dalla clero cattolico, in una città molto praticante, ben contento di staccarsi dall’anticlericale Vittorio Emanuele II e di ricongiungersi con la cattolicissima imperatrice Eugenia che difende strenuamente il potere temporale dei papi (“Les italiens à Rome? Jamais!”).Insomma sta di fatto che su complessivi 30.712 iscritti nella “Contea”, 23.743 votano per la Francia, 160 per l’Italia mentre 4.779 si astengono. Nella città di Nizza in particolare si contano 6810 voti per il sì e solo 11 per il no! Un risultato sorprendentemente netto! Un risultato in ogni caso che fa comodo alle due capitali: a Torino per “giustificare” la cessione (i nizzardi si sono democraticamente autodeterminati), a Parigi per presentare decentemente l’acquisizione territoriale, compenso ottenuto per l’oneroso appoggio dato al Piemonte, e pur sempre “democraticamente” ricevuto… In Savoia, culla della dinastia sabauda, nonostante la sintonia culturale con la Francia, la protesta contro il passaggio sotto Parigi e' ben più forte e di fronte ai brogli molti cittadini della culla dei Savoia partono per il Piemonte. All’indomani del voto le truppe francesi prendono possesso della Savoia e della città di Nizza. Nizza non è più italiana, o meglio, non è più “sarda”. La città natale di Giuseppe Garibaldi è (ri)diventata francese. L’eroe dei due mondi mai lo perdonerà a Vittorio Emanuele II! Anche se, bisogna ricordare, Garibaldi nasce per così dire francese. Nel suo anno di nascita 1807 Nizza, travolta dal ciclone rivoluzionario di Napoleone, è sotto amministrazione francese. Tornerà al regno sardo con il Congresso di Vienna. Nel 1860 fu un patto tra dinastie, come disse Napoleone III all'ambasciatore inglese, nonostante che Cavour avesse proclamato ufficialmente in Parlamento, nel 1857, l'essere conquista di civiltà non riconoscere il diritto dei principi di alienare i popoli. Le polemiche rimasero a lungo roventi da parte dell'opinione pubblica e persino nelle sedi parlamentari si erano levate le prime voci fortemente contrarie, a dire il vero, fin da quando erano circolate le indiscrezioni di una possibile cessione di Nizza e di Savoia in occasione della stipula dell'alleanza con i francesi contro l'Austria e soprattutto immediatamente dopo la guerra del 1859. Che senso aveva, per tale moto di dissenso, cedere due antiche province italiane come Nizza e Savoia (e consegnare alla Francia le chiavi della porta occidentale d'Italia), per recuperarne altre di incerto destino? Nizza era poi una città italiana da prima del XI secolo. Ma ormai il temuto baratto era stato deciso. Il 15 aprile 1860 il tradimento era compiuto. Non solo l'Italia aveva svenduto una parte delle sue genti, ma anche e soprattutto il Ponente ligure aveva perduto metà della sua anima.
Casalino Pierluigi
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