martedì 29 dicembre 2020

La riscoperta di Dante.


Ora si ripassa Dante anche su Robinson di Repubblica. Dopo tante riserve e polemiche che lo consideravano una lettura inutile, il Poeta della Commedia viene riscoperto. E ciò ciononostante gli anatemi dei politicamente corretti che non cessano di biasimarlo secondo un non ben meditato giudizio critico e storico. Negli Anni Cinquanta del XX secolo quel vate del dopoguerra che volle essere Quasimodo scrisse che ormai Dante poteva essere messo in soffitta con pressoché tutta la tradizione letteraria italiana, perché del tutto inattuale e, per di più, portavoce di un'ideologia, come quella religiosa cristiana, da cui ogni buon spirito moderno, figlio dell'Illuminismo, deve tenersi alla larga. E Dante ancora è stato uno dei bersagli delle voci emerse negli Anni Sessanta, sempre del Novecento, contro la cultura e la tradizione, fino a ridurne quasi a nulla lo spazio nella scuola, e anzi, a condannarne la lettura come inopportuna e addirittura dannosa. Mai affermazioni, dichiarazioni e condanne sono state più cieche e contrarie alla realtà dei fatti e della Storia, quella a cui, con tanta protervia, falsamente e bassamente ideologica, si richiamano i moderni nemici di Dante, che talora fanno capolino anche nella cronaca confusa dei giorni nostri. E pensare che in un passato non troppo remoto uscirono gli atti di convegno tenutosi a Roma nei quali era testimoniata la presenza di tantissimo Dante nella letteratura italiana del Novecento. Non ultimi a rilanciare lo spessore del messaggio dantesco sono stati da noi Maria Corti e Luciano Gargan. Se poi si allarga l'orizzonte dell'indagine alle letterature straniere, allora la possibilità di documentazione diviene ancor più vasta e significativa, soprattutto in ambito anglosassone, con i supremi esempi di Pound e di Eliot. E pure ai giorni nostri, in occasione del settimo centenario della morte del Sommo Poeta, nonostante gli entusiasmi che suscitano in Italia le celebrazioni dantesche, fuori di qui studiosi anglosassoni come John Took partono dalla vita del Poeta per allargarsi ad una più vasta prospettiva storica e culturale che cancella con autorità intellettuale ogni dubbio o remora sulla attualità e grandezza di Dante. Non sorprenda, quindi, che un libro come quello che dedico' tempo fa a Dante il poeta svedese Olof Lagercrantz, dal titolo "Scrivere come Dio. Dall'Inferno al Paradiso", rappresenti tuttora una lettura complessiva e straordinariamente moderna della vitalità della Commedia e dell'opera dantesca. Un esempio questo, inesauribile, di quell'attenzione per la poesia di Dante che i poeti del XX secolo e di quello presente hanno ampiamente dimostrato nell'ambito mondiale. Non si può piu' dunque mettere Dante in soffitta. Nella premessa alla su lettura della Divina Commedia, molto efficacemente e generosamente Lagercrantz parla della propria passione di lettore del poema, che finisce per sentirsi come l'oggetto di tutta una serie di sollecitazioni sempre nuove e sempre più profonde e vere a opera della poesia dantesca, che, a ogni passo nel testo, rivela se stessa sempre meglio a chi sappia affidarsi a essa con piena disponibilità. E tutto questo accade perché Dante ha dato voce a un'esperienza fondamentale di ogni uomo, che è quella del dialogo, in vita, con le ombre  dei morti; la loro presenza, come dice il poeta svedese, "è una parte essenziale della nostra vita", l'ha fatto esistere davanti al lettore, ne ha mostrato la sorte eterna, ciò la realtà di colpa o di virtù, ha affidato loro rivelazioni decisive intorno al destino dell'uomo, alla sua storia, alle ragioni e alle modalità della sua esistenza terrena.
Lagercrantz, insomma, coglie molto bene la ragione di fondo della presenza di Dante, aldilà di tutti i frettolosi e superficiali rifiuti, nella cultura contemporanea: il suo libro risale al 1964, ma nulla è cambiato da allora, anzi le ragioni che il poeta svedese propone per il suo lungo studio dantesco hanno, forse, nel frattempo accresciuto la loro validità. In tempi di crisi, che sono anche tempi di mediocrità, dove ciò che è frivolo e transeunte o, addirittura, non esiste ottiene attenzione e provoca  discorsi e opere insulse ed inutili, la Commedia costituisce il luogo della più ampia e profonda indagine e rappresentazione della vita umana sulla terra, del suo destino, del significato di ciò che fa, pensa e crede, ben oltre le stesse idee religiose che Dante esprime nel poema, a cui soltanto gli stolti possono fermarsi per trarne motivo di grette condanne ( o anche esaltazioni ideologiche irrealistiche). L'autore scandinavo muove dall'osservazione che, nella Commedia, sono compresenti il pellegrino chebattraversa i tre regni dell'oltretomba cristiano e il poeta che scrive, sul filo della memoria, le vicende della sua visione e del suo viaggio, e la approfondisce con risultati particolarmente felici. Assai opportuno ciò che Lagercrantz dice sull'immedesimazione - sia nella pietà, sia nella durata e, persino, nella crudeltà- del pellegrino Dante con particolari situazioni e dannati dell'inferno. Lo scrittore svedese lo spiega come frutto di un'esperienza, tutta limitata al solo ambito della dannazione, e quindi sottoposta ancora a quelle stesse passioni che hanno condotto i dannati stessi alla pena. Ma dove Lagercrantz tocca con particolare efficacia i problemi di fondo del poema dantesco è là dove esamina il rapporto fra la Commedia e la Bibbia nel intenzioni di Dante, cioè quando rivede da una angolatura nuova, il poema come rivelazione dal punto di vista di Dio intorno alla vita e alla storia dell'uomo, e indica anche in questo, indipendentemente dalla fede del lettore, il fascino e l'autorità della poesia di Dante. In questa prospettiva l'analisi di Lagercrantz appare come una proposta complessiva di interpretazione o, meglio, come una guida generale e, assai originale ed attenta, della Divina Commedia.
Casalino Pierluigi 

giovedì 24 dicembre 2020

Ricordare Dante nel settimo centenario della sua morte.

L'anno di Dante, il 2021, settimo centenario della morte, inizia, celebrato con solennità ed entusiasmo prima fuori d'Italia che non dentro i confini del Bel Paese. Dante è il primo grande scrittore dell'Occidente a legare la sua poesia a ciò che ha vissuto, a fare poesia del suo intenso vissuto personale, dei suoi sogni, delle sue idee, dei suoi sentimenti, dei suoi fallimenti. La visione d'insieme che ne ricaviamo è quella di una vita onnicomprensiva, all'insegna delle tre idee fondamentali del Sommo Poeta: amore, essere e intelletto. Si tratta della declinazione di quella trasparenza finale che segna Dante, ricca di potenzialità. E la trasparenza di Dante si fonda sull'idea dominante del suo pensiero e della sua opera, cioe' la meta finale di ogni suo sforzo spirituale che è Dio. Amore e intelligenza d'amore sono le preoccupazioni principali di Dante, e tali resteranno per sempre. Se al Dante guittoniano, ne segue uno cavalcantiano, e poi guinizzelliano fino all'emergere del Dante dantesco della Vita Nova, il libro, vale a dire, nell'interpretazione del quale hanno spazio la fenomenologia e la metafisica dell'Autore.  La Vita Nova comprende, infatti, in un solo moto della mente e dell'immaginazione, le sue preoccupazioni principali, sfida le interpretazioni rapide e semplici, perché ciascuna di tali interpretazioni è insita nell'altra ed è a sua volta presa dall'altra. Da un lato abbiamo infatti l'aspetto affettivo filosofico del libro, l'amore che rappresenta per Dante la Vita Nova non meno che per quello della Divina Commedia un principio o presenza dell'essere e del divenire propriamente umano  Dall'altro lato c'è invece l'aspetto estetico letterario, dove l'amore al centro dell'essere di Dante coglie i suoi primi grandi frutti filosofici e poetici e la stessa Vita Nova finisce per essere una Divina Commedia in piccolo. Negli anni di mezzo di Dante sta poi il Convivio, trattato in cui il Poeta si presenta come esegeta e commentatore di sé stesso e che conserva l'impulso della Metafisica di Aristotele, avendo per argomento il secondo amore di Dante, la filosofia come amore della sapienza, soprattutto nella mente divina, anzi in quanto costitutiva della mente divina. Il secondo amore di Dante inteso in questo modo crea dell'amante qualcosa di simile al senso per il quale il suo essere nel mondo si trova dappertutto e in nessun luogo, e dà forma a un ordine di esistenza che onora i parametri abituali della coscienza, ma allo stesso tempo li trascende in nome e per conto di qualcosa che in toto è più sublime. 
Casalino Pierluigi 

domenica 20 dicembre 2020

La Révolution d'Octobre et Poutine.

Malgré la création, tardive, en décembre 2016, d'un comité d'organisation des commémorations de la Révolution d'Octobre, le pouvoir russe actuel n'est pas à l'aise. Ces révolutions incarnent tout ce que le régime de Poutine abhorre: une soulèvement contre le pouvoir légitime, une stabilisation et une prospérité ( c'est que l'on présente la Russie de Nicolas II) sacrifiées au nom de prétendues libertés; l'unité patriotique et l'effort militaire de toute une nation compris par l'action subversives d'une poignée d'intellectuels fanatiques (les bolcheviks); un État en faillite; un pays éclaté, divisé, déchiré par une guerre civile et des sécessions de minorités nationales. Voici ce qu'ont entrainé les révolutions de 1917. Avant Staline n'entreprenne la reconstruction du grand Etat russe. Après la catastrophe de 1917, la Russie a connu une seconde catastrophe, celle de 1991, selon Poutine.Avant que la Russie ne retrouve une nouvelle fois, sa grandeur, grâce à la nouvelle union entre le régime actuel et son peuple, fondée sur les valeurs de la Russie éternelle, au nombre desquelles l'orthodoxie n'est pas la moins importante.
Casalino Pierluigi 

martedì 8 dicembre 2020

La cultura dantesca.



Dante non era solo un poeta e scrittore, non possedeva cioè soltanto una cultura di tipo umanistico, ma anche scientifico e filosofico. Il rapporto tra la numerologia, tra la scelta non casuale del ricorrere di alcuni numeri, e la Divina Commedia è evidente in tutta l’opera, sia a livello strutturale che narrativo. L’attenzione di Dante per le corrispondenze numeriche mostra la sua conoscenza della filosofia antica (soprattutto di Plotino e Pitagora), ma anche della religione, della Bibbia, dei filosofi arabi ed ebraici del Medioevo e, probabilmente, anche della Cabala. Ogni numero ha infatti un significato e quelli che ricorrono più spesso nell’opera dantesca sono questi:
1 è l’origine di tutte le cose; rappresenta la perfezione e l’assoluto, la divinità. Simbolo del monoteismo è espressione della completezza, del Dio Creatore.
3 rimanda alla Trinità Cristiana, alla perfezione e alla conoscenza.
7 è il numero della perfezione umana. Ha molti significati legati alla sfera religiosa: 7 giorni della settimana, che sono i 7 giorni della creazione raccontati nella Genesi; 7 è però anche il numero dei peccati capitali. Infine l’antico sistema solare era composto da 7 pianeti.
9 è il quadrato di 3, rappresenta il cambiamento e l’invenzione.
10 simbolo della totalità della realtà rappresentata; da un punto di vista religioso richiama il numero dei comandamenti che Dio affida a Mosè sul monte Sinai. Dante sceglie in numero 3 per costruire la sua opera; esso ritorna infatti in molti aspetti. A livello strutturale l’opera è formata da 100 canti, suddivisi in 3 cantiche secondo uno schema: 1+33+33+33, dove il primo canto svolge il ruolo di introduzione. Per quanto riguarda la forma metrica il poeta sceglie la terzina di endecasillabi a rima incatenata. A livello della storia invece, Dante attraversa 3 differenti regni: Inferno, Purgatorio e Paradiso; nel suo viaggio è accompagnato da 3 diverse guide: Virgilio, che rappresenta la ragione, Beatrice, simbolo della grazia e infine San Bernardo, emblema dell’ardore mistico. L’Inferno è diviso in 9 cerchi; qui Dante incontra 3 fiere e attraversa 3 fiumi (Acheronte, Stige, Flegetonte). Anche Lucifero non ha una sola faccia, ma ben 3. Si arriva al Purgatorio, alla cui porta sia accede dopo 3 scalini di diverso colore. Questo regno è formato da 7 cornici, che rappresentano proprio i 7 peccati capitali, ma aggiungendo l’Antipurgatorio e il Paradiso Terrestre si arriva a 9 zone. Infine il Paradiso è composto da 9 cieli mobili, a cui se ne aggiunge un decimo immateriale e immobile. Le anime sono divise in tutti i regni in 3 gruppi. Nell’Inferno si trovano gli incontinenti, i violenti e i fraudolenti; nel Purgatorio le anime sono divise fra coloro che indirizzarono il loro amore su un oggetto sbagliato, quelli che furono poco solleciti al bene e quelli che amarono troppo i beni mondani; nel Paradiso i beati sono divisi fra gli spiriti che furono dediti alla ricerca della gloria terrena, gli spiriti attivi e gli spiriti contemplativi.
Anche nella figura divina non può non ricorrere il numero 3. Quando Dante, al termine di una preghiera, riesce a vedere Dio, lo descrive come una grande luce di 3 cerchi concentrici aventi 3 colori diversi (bianco, rosso e verde).
Casalino Pierluigi 


 




Il fascino ed enigma di Dante.


 

Dopo più di 700 anni il fascino della Divina Commedia e di Dante è ancora intatto. Il monumentale e incantevole divin poema non smette mai di stupire per la sua attualità e per i suoi aspetti enigmatici. Uno di questi è sicuramente la numerologia, cara a Dante, che nella Commedia vede il suo tripudio − sembra il caso di dirlo − di perfezione. D’altronde il Divin Poeta il suo amore per i misteri non lo ha mai nascosto. Basti ricordare la famosissima terzina del IX canto dell’Inferno: O voi ch’avete li ’ntelletti sani,/ mirate la dottrina che s’asconde/ sotto ’l velame de li versi strani. Le 3 cantiche della Divina Commedia sono formate da 33 canti (l’Inferno ne ha 34, ma il primo è visto dagli studiosi come introduttivo, quindi 33+1) la somma dei quali dà 99, multiplo di 3, il più noto dei numeri sacri. E sommando il primo canto si arriva a 100, numero considerato “perfetto”. 
Ogni canto a sua volta è diviso in terzine in uno schema metrico innovato proprio di Dante, in cui le rima ABA BCB CDC DED E, a parte le prime e le ultime, contengono 3 rime. Per capire quanto sia monumentale l’opera basti pensare che in totale è formata da 14.233 versi (Inferno: 4720; Purgatorio: 4755; Paradiso: 4758). Il canto più corto è formato da 115 endecasillabi, il più lungo di 160 versi. Inoltre, il 3 non è l’unico numero presente per il suo simbolismo, ma fanno capolino il 10, e anche il 7, altro numero che ha affinità sacre (i 7 giorni della creazione ecc). Nella Commedia, per esempio, le cantiche tra loro sono connesse numericamente e si trovano alcuni parallelismi. Tra i più noti i canti VI sono quelli a tema politico: nell’Inferno riferimenti a Firenze, nel Purgatorio all’Italia e nel Paradiso il riferimento più universale all’Impero. A conferma della connessione delle cantiche tra loro è ben noto che tutte si chiudono con la parola “stelle”. Perché questi giochi numerici? Probabilmente per una questione di “ordine”. Dal momento che il poema ha una struttura “architettonica” ben precisa, la presenza numerica doveva far parte di un corpo di costruzione altrettanto preciso. Anzi, era proprio questo che la rendeva precisa nella sua simmetria e nell’equilibrio sia numerico che delle forme per armonizzarsi al tutto.  In estrema sintesi − mi si lasci passare la volgarizzazione − non è altro che un valzer di numeri. Questi giochi numerici non sono solo presente nella Divina Commedia, ma sono presente un po’ in tutte le opere di Dante. Il caso forse più evidente è Vita Nova, che già dal titolo ci indica a quale numero pensare, numero “amico” di Beatrice: il nove. In questo libello poetico Dante ci racconta il primo incontro con Beatrice avvenuto all’età di nove anni, è diviso in sezioni novenarie (il prima e il dopo la morte di Beatrice composte ciclicamente da canzoni, sonetti e ymaginatione), la parola nove si ripeterà nove volte. Il secondo incontro con Beatrice ricorrerà ben nove anni dopo il primo, e allo scritto 19 quello che in cui si capisce che Beatrice non è più, Dante ci narra del legame tra il numero e la donna amata e ora compianta. “E secondo l’usanza nostra, ella si partio in quello anno della nostra inditione, cioè degli anni Domini, in cui lo perfecto numero nove volte era compito in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue delli cristiani del terzodecimo centinaio”. Il Sommo Poeta − come abbiamo già visto − era ben conscio dell’attrattiva di tali intrighi e delle difficoltà di comprensione, tant’è che nelle Rime (LXXIX, Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete) ci canta: Canzone, io credo che saranno radi/ color che tua ragione intendan bene,/ tanto la parli faticosa e forte.  Saran pure radi quelli che comprendono, ma sono in tanti che ne subiscono ancora.
Casalino Pierluigi 




domenica 6 dicembre 2020

Numero e parola nel poema dantesco. La poesia matematica nella Divina Commedia.




Al “poema sacro – al quale ha posto mano e cielo e terra” ha collaborato la matematica. Nel lessico lirico di Dante i numeri compenetrano il  dettato poetico. A partire da Beatrice e dal numero nove.
La scelta del nove per Beatrice riveste un significato teologico. Nove è il quadrato di tre che è simbolo della Trinità. Grazie al nove il legame fra Beatrice e Cristo, figlio di Dio, a lui unito con lo Spirito Santo, è verificato da Dante nella propria esistenza. Dante dice il numero nove “amico” di Beatrice. Il primo incontro con lei avviene a nove anni. Il secondo nove anni dopo. Il nove coincide col giorno della  morte di lei secondo i calendari occidentale e arabo. Una possibile  ragione di tali coincidenze è che “questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s’aveano insieme.” Ma – Dante prosegue  –  “più sottilmente pensando [..] questo numero fue ella medesima; per similitudine dico, e ciò intendo così”: “Lo numero del tre è la radice del nove, però che sanza numero altro alcuno, per se medesimo fa nove, sì come vedemo manifestamente che tre via tre fa nove. Dunque se lo tre è fattore per sè medesimo del nove, e lo fattore per sè medesimo de li miracoli è tre, cioè Padre e Figlio e Spirito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch’ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè del miracolo, è solamente la mirabile Trinitade.”
Vita nova, XXIX, 3. L’amore per Beatrice è amore vissuto grazie alla creazione divina del numero. Creazione che mediante la matematica suggerisce all’essere umano di sublimare l’amore terreno nell’indiarsi. Tramite Beatrice fra matematica e poesia c’è un continuo innamoramento. Entrambe sono in simbiosi con l’assoluto. Esiste un rapporto di identità fra Dio e il numero. Dio è il numero. L’Uno, che crea con la parola: “In principio Dio creò il cielo e la terra.  La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu.”(Genesi, 1-3).
Dio, l’Uno,  è anche il Verbo:
“Verbum caro factum est” (Giovanni, I, 14). Fra lettere alfabetiche e numeri c’è un’arcana corrispondenza. Nella tradizione numerologica di ascendenza biblica dalla gematria (alfabeto ebraico) e dalla isopsefia (alfabeto greco) si passa all’aritmomanzia (alfabeto latino).
Un noto esempio di aritmomanzia in Dante: verrà un tempo “nel quale un cinquecento diece e cinque, –   messo di Dio, anciderà la fuia – con  quel gigante che con lei delinque” (Purgatorio, XXXIII, 42-45). L’aquila, simbolo del potere imperiale,  ha lasciato le penne sul carro della Chiesa. Questa è divenuta un mostro. Vicino è il tempo in cui un 515, alla latina un DXV, traslitterato in DVX, ucciderà la meretrice e il gigante suo complice nel delitto.La meretrice è la Chiesa corrotta. Il gigante suo complice può essere il re di Francia. Il dux sarebbe l’imperatore Arrigo VII. Con l’identità del gigante e del dux si sono cimentate generazioni di dantisti. Ma l’enigmatica profezia è restata finora indecifrata.Dante avrà tenuto presente l’Apocalisse (XIII, 18), “dove col numero 666 è designato Nerone, per la ragione che si ha 666, se si scrive in lettere ebraiche Neron Cesar e si sommano i numeri rappresentati da queste lettere”.Con ciò siamo ancora nel campo della numerologia. C’è chi esaspera la numerologia in crittografia.La crittografia di  Thomas E. Hart parte dalla numerologia. Numerologicamente la Commedia è meditazione trinitaria. Il Tre riconduce all’Uno. I canti sono in terzine. La terzina finale di ciascun canto è seguita da un ultimo verso. Il numero di canti di ciascuna cantica è trentatré più uno per l’Inferno, trentatré per il Purgatorio, trentatré per il Paradiso. Novantanove più uno. Dante preventivò matematicamente l’estensione del poema. Lo ribadisce con una delle sue apostrofi al lettore:
“S’io avessi, lettor, più lungo spazio
da scrivere i’ pur cantere’ in parte
lo dolce ber che mai non m’avria sazio,
ma perché piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
non mi lascia più ir lo fren dell’arte”
Purgatorio, XXXIII, 136-141
Fin qui la strutturazione matematica nei suoi elementi numerologici è di comune dominio. Hart comincia col riconoscere che Dante nel comporre si atteneva a ben definiti principii. Omologia, proporzionalità, funzionamento di omologia e proporzionalità in diversi contesti, precisione, consistenza. Su questo siamo d’accordo. In  questa ricerca però Hart eccede. Ipotizza un imperativo estetico per noi aleatorio. Ritiene che Dante con l’intera struttura del poema intendesse approssimarsi al valore di π. Per dimostrare la sua tesi, Hart prende in  esame un’unità tematica. Gli ultimi ventidue versi del Paradiso.
Sette terzine per tre più uno (verso finale al culmine dell’intera opera). A suo parere, quest’unità tematica sarebbe stata composta ancor prima del primo verso dell’Inferno. Successivamente Dante l’avrebbe replicata nell’opera intera. Strutturata crittograficamente. Struttura quantitativa definita da Hart “sintassi disposizionale dell’architettura del poema”. Struttura a mosaico che sarebbe stata suggerita al sommo poeta dai mosaici di Ravenna. Tuttavia la suggestione dei mosaici ravennati resta una mera congettura. Hart sa bene che la sua ipotesi, benché esposta insieme con una serie di tavole numeriche elaborate nell’arco di diversi anni, lascia perplessi molti dantisti:“Many Dantisti, accustomed to a more ‘trivial’, less ‘quadrivial’ post-Romantic aestetichs, will probably not find them immediately congenial, and may therefore have difficulty understanding why Dante would believe they contribute essentially to the beauty of his poem?”
Dopo di che Hart sfida a dimostrare il contrario.Sennonché non può sfuggirci l’arbitrarietà del principio. Tuttavia bisogna guardarsi dal “rischio, proprio della logica separata di ogni ricerca strutturalmente formalistica, di trovare nel suo stesso espletarsi la ragion d’essere e di privilegiare la superfetazione dei dati”.
Non v’è dubbio che Dante nel comporre il poema ricorse al quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia) oltre che al trivio (grammatica, dialettica, retorica). Però il dinamismo compositivo non si concilia con  uno schema geometrico predefinito fino all’esasperazione. Si segnala che il dibattito su Hart dopo diversi decenni è ancora in corso. Si sono interessati della questione matematici come Franco Conti (1943-2003) e Edoardo Vesentini (1928-2020), già Presidente dell’Accademia dei Lincei. Vesentini ritiene plausibile che Dante conoscesse la Costante di Archimede.  Per Conti l’ipotesi di Hart “è tutta da dimostrare, ma non è così campata in aria”.Il dantista Ignazio Baldelli, professore all’Università “La Sapienza” di Roma, non esclude, ma nemmeno avalla,  che Dante abbia tenuto presente Archimede. Non  si comprende allora perché Archimede non sia citato nella Commedia. Avrebbe potuto esserlo fra tanti altri dotti  del Limbo: "Euclide geomètra e Tolomeo,Ipocràte, Avicenna e Galieno, Averoìs, che il gran comento feo".  (Inferno, IV, 142-144). Le ricerche crittografiche di Manfred Hardt sottolineano il valore del numero nel Medioevo. Valore simbolico, ontologico, estetico, anagogico. Il numero è verità incorruttibile.  Il numero è sacro. Mediante i numeri, segni di Dio nel creato,  si stabilisce la relazione di Dio con l’artista, che quei segni riconosce ed interpreta. Anche secondo Hardt Dante elaborò in anticipo  la struttura della Commedia come un’architettura di corrispondenze numeriche. Potremmo definirla una cattedrale matematica. Vi sarebbe un “secondo sistema segnico” criptato. Un sistema numerico. Il calcolo avrebbe preceduto la scrittura. Hardt, al pari di Hart,  a supporto della sua tesi fornisce una serie di tavole numeriche elaborate nel corso di lunghi  anni. Hardt, al pari di Hart, persuade solo fino a un certo punto. Ipotizza che Dante abbia proiettato talune corrispondenze numeriche oltre la fine dell’opera. Ciò dimostra che vuol costringere a forza il testo entro il suo schema pregiudiziale.
L’assurdità dell’ipotesi è dimostrata da una incredibile forzatura.
Dante indica per tre volte un futuro liberatore con diversi appellativi:  il Veltro (Inferno, I, 101), un DVX = 515  (Purgatorio, XXXIII,  43), un novenne  (Paradiso, XVII, 80). Dante, secondo Hardt, nel Veltro, nel DVX, nel novenne identificherebbe se stesso. Inoltre Cacciaguida col 515 si riferisce a una personalità che quell’anno compie nove anni. Dante colloca la sua avventura nell’aldilà “nel mezzo del cammin di nostra vita”. A   trentacinque anni. Il matematico Giuseppe Palamà cita in proposito una terzina:
Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta,
mille dugento con sessanta sei
anni compié che qui la via fu rotta.
Inferno, XXI, 112-114
“ove alla base vi è […] il seguente calcoletto: 33  anni e 3 mesi + 9  mesi + 1266 anni = 1300 anni,
in cui 33 anni e 3 mesi è l’età che, come si credette nel Medio Evo, Gesù ebbe nel momento della sua morte, 9 sono i mesi intercorsi fra la sua concezione e la nascita ed il risultato 1300 è l’anno nel quale […] Dante iniziò il suo viaggio […]”
Sul segreto nascosto
Nel poema è presente la numerologia. Ma immaginare un segreto crittografico nascosto nella Commedia contrasta con lo scopo che Dante si era proposto:
“removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis” 
(Epistola a Cangrande della Scala)
Scopo che un significato destinato a restare recondito avrebbe reso vano. Tant’è vero che in alcune apostrofi del poema, Dante incita i  suoi lettori provvisti di adatta dottrina ad uno sforzo di comprensione:
"O voi ch’avete li ‘ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto ‘l velame de li versi strani". (Inferno, IX,  61-63)

"Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero,
che ‘l velo ora è ben tanto sottile,
certo che ‘l trapassar dentro è leggero. (Purgatorio, VIII, 19-21)"

Che un autore esorti i lettori a non continuare la lettura della sua opera è fatto singolare.
Ma è proprio quello che a un certo punto Dante fa.  I lettori più sprovveduti dovranno restare alle soglie del Paradiso.  Solo i pochi nutriti di adeguato sapere  potranno addentrarvisi col poeta:
"Voialtri pochi che drizzaste il collo
per tempo al pan de li angeli, del quale
vivesi qui ma non sen vien satollo,
metter potete ben per l’alto sale
vostro navigio, servando mio solco
dinanzi a l’acqua che ritorna equale. (Paradiso, II, 10-15)". Ciò sembra contraddire il proposito di condurre tutti i viventi dalla “miseria” alla “felicità”.
Ma contraddizione non v’è. Chi non ha un sapere adeguato ha comunque  percorso col poeta nella seconda cantica il regno della purificazione. Per questo diverrà più desideroso di accedere dal Purgatorio al Paradiso. La necessaria lezione etico-religiosa per meritare la grazia divina gli è stata impartita. In più gli è stato fornito uno stimolo ad accrescere il suo sapere. Accresciutolo, potrà addentrarsi nell’ultima cantica.Volendo ammettere per assurdo che un segreto crittografico si celi nel poema, esso resterebbe ininfluente. Né a Dante poteva sfuggire la superfluità di un segreto del genere. La presenza della matematica nella Commedia è una presenza trasparente. L’Uno (Dio), il Tre (Trinità) e il Tre (virtù teologali), il Quattro (virtù cardinali), il Sette (peccati capitali), il Nove (quadrato del Tre), il Dodici  (apostoli), il Ventiquattro (spiriti sapienti) sono per i lettori l’aritmetica spirituale che li orienta esaustivamente  verso la salvezza. Tecnica compositiva di Dante
Alla luce del rapporto fra matematica e poesia, numero e parola, una lettura del poema quale fu quella di Benedetto Croce si rivela aberrante.   Il filosofo scindeva arbitrariamente struttura e poesia. Riduceva la tecnica poetica di Dante a un’intermittente intuizione-espressione. Il dinamismo dell’intera opera nel suo farsi  veniva ignorato. Così l’ininterrotta tensione che  tiene avvinto il lettore, quella che Mario Luzi definisce energia incoativa, restava inavvertita. Non solo. Nella riduttiva visione crociana Dante veniva sradicato di fatto dal suo Medioevo.
Il sociologo Lucien Goldmann col suo strutturalismo genetico contribuisce a suggerire una corretta lettura. Dobbiamo accostarci a Dante uomo del suo tempo, esponente della civiltà medioevale, di quel dato tipo di società. In questa prospettiva l’apporto dei matematici alla critica letteraria è fondamentale. L’andamento compositivo di Dante si basa sul calcolo matematico. Senza illuminare questo calcolo, non si può comprendere nemmeno la musicalità della Commedia:
“Per che sapere si conviene che ‘rima’ si può doppiamente considerare, cioè largamente e strettamente: stretta[mente], s’intende pur per quella concordanza che ne l’ultima e penultima sillaba far si suole; quando largamente, s’intende per tutto quel parlare che ‘n numeri e tempo regolato in rimate consonanze cade…” (Convivio, IV, II, 12). L’ascesa alla trascendenza è un’ascesa numerologica.
Alla fine l’itinerarium mentis in Deum, concepito da  Bonaventura di Bagnoregio sulla scorta di Agostino di Ippona,  si risolve per Dante nell’Uno, principio primo, generatore della scienza dei numeri.
È indubbio che nella composizione del poema il ricorso alle arti del quadrivio sia stato fondamentale. Tuttavia la qualità semantica dei versi non è compatibile con una loro collocazione forzata all’interno di una struttura elaborata del tutto a priori. Bisogna immaginare che la struttura sia stata elaborata in parte a priori  e in parte in itinere. E che i calcoli siano stati effettuati nella maniera più semplice possibile. Addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione per l’aritmetica.  Linee retta e curva, triangolo, quadrato, rettangolo, cerchio per la geometria.  Questi in ipotesi gli  strumenti adoperati.  Con i numeri di base della tradizione numerologica Dante poteva procedere nel comporre calcolando liberamente di volta in volta. Così nel suo imperativo estetico potevano conciliarsi dinamicamente quantità (struttura) e qualità (poesia). Non separate e scisse, ma sinergicamente operanti. Dante definisce la poesia “fictio rethorica musicaque poita” (De vulgari eloquentia, II IV 3).
Matematicamente si supera la confusione babelica: la  lingua volgare “più stabilitade non potrebbe avere che in legar sé con numero e con rime” (Convivio, I XIII 6). Alla  bellezza poetica concorre “lo numero de le sue parti, che si pertiene a li musici” (Convivio, II XI 9). Sintassi verbale e sintassi matematica si compenetrano.
Non è  male riconoscere “la complessa struttura razionale e matematica dell’Arte della fuga di Bach nel poema”. Horia-Roman Patapievici è perentorio nell’affermare che “la lettura del poema dantesco” va effettuata “attraverso il preciso sguardo e la specifica valutazione quantitativa dei matematici e mediante gli strumenti di analisi spaziale dello studioso di geometria”.  Non a caso sono dei matematici come Mark Peterson e Robert Osserman a sostenere che l’universo di Dante “non è euclideo”, ma “è precisamente un’ipersfera”. Circa la matematica in poesia
 In diversi passi del poema Dante ricorre a similitudini tratte dalle discipline del quadrivio. Tradizionalmente i dantisti di area umanistica hanno rivolto l’attenzione alle sole discipline del trivio. Ma la genesi della Commedia non può essere compresa se non si tiene conto del quadrivio.
Uno dei passi da considerare è il seguente:
“Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara” (Purgatorio, VI, 1-3). “Zara” deriva forse dall’arabo zahr, “dado”. I due termini risuonano in “azzardo”.  Nel Medioevo questo gioco  era molto popolare. Si gettavano a turno tre dadi. Restando celati i numeri sottostanti, bisognava indovinare e dire la loro somma. Questa era nell’intervallo fra 3 e 18. Dante ne  trae spunto per una movimentata scena. Gli spiriti negligenti gli si affollano intorno. A lui, che ritornerà sulla Terra, chiedono preghiere di suffragio dei vivi, per ridurre il tempo della loro permanenza nell’Antipurgatorio. Il tumultuoso affollarsi, simile a quello che incalzava il vincitore nel suo allontanarsi,  risalta nel contrasto con la figura isolata di “colui che perde” della terzina iniziale.Lo sconfitto si trova alle prese col calcolo delle probabilità.
L’intesa è sempre più intensa fra matematica e poesia
È nel Paradiso che l’intesa fra matematica e poesia diventa sempre più intensa. Non c’è da stupirsene. Ci si va avvicinando all’Uno.L’ascesa di Beatrice e Dante al cielo avviene nella stagione primaverile, la più propizia, quando il sole sorge da quel punto “che quattro cerchi giugne con tre croci”. Zodiaco, equatore, coluro equinoziale, orizzonte sono i quattro cerchi (virtù cardinali); i primi tre, intersecandosi con l’orizzonte, formano le tre croci (virtù teologali)  (Paradiso, 37-42). Il Paradiso è il regno del cerchio, perché “lo cerchio è perfettissima figura” (Convivio, II, XIII, 26-27).Nel Cielo del Sole Dante con Beatrice vede più splendori “far di noi centro e di sé far corona”, ove corona equivale a circonferenza  (Paradiso, X, 64-66). Sono dodici spiriti sapienti in forma di “ardenti soli” (verso 76), che girano per tre volte intorno a Dante e Beatrice (verso 77). Poi San Tommaso d’Aquino presenta se stesso e gli altri spiriti. Fra questi l’ottavo è Boezio, autore, oltre che del De consolatione philosophiae, anche del De institutione aritmetica, “anima santa” che rende manifesto il “mondo fallace” (versi 121-129). Come un orologio dal tintinnio così dolce che innamora, la corona di spiriti sapienti, detta ora “gloriosa rota”, si muove circolarmente, cantando in coro con una dolcezza che dà eterna gioia  (Paradiso, X, 139-148). Gli spiriti sapienti riprendono a girare, fermandosi quando ciascuno è tornato nel “punto del cerchio in che avanti s’era”  (Paradiso, XI, 13-15).
San Tommaso ha concluso il suo discorso. Il moto circolare riprende. Prima ancora che sia concluso, la circonferenza viene racchiusa in un’altra che si accorda al suo movimento e al suo canto celestiale. Canto che supera tanto in armonia la musica terrena quanto il raggio incidente è più   splendente del raggio riflesso. Le due circonferenze di spiriti sapienti sono simili a “due archi paralleli e concolori” dell’arcobaleno, che fa presagire il mai più ripetersi del diluvio universale  (Paradiso, XII, 1-21).
Una delle “luci nove” della nuova circonferenza di altri dodici spiriti sapienti, San Bonaventura da Bagnoregio, parla a Dante, che a quelle parole  si volge così repentinamente come l’ago calamitato della bussola verso il nord magnetico (Paradiso, XII, 28-30).
Dopo che San Bonaventura ha concluso il suo discorso, le due circonferenze si volgono in giro l’una in senso opposto all’altra. Dante esorta il lettore a immaginare  che così girino ventiquattro stelle, sette dell’Orsa maggiore,  due dell’Orsa minore e altre quindici, disposte in modo da formare due costellazioni concentriche di dodici e dodici ciascuna.  Il canto degli spiriti sapienti è un inno alla Trinità (Paradiso,  XIII, 1-27).
San Tommaso risolve il secondo di due dubbi di Dante.
Gli spiega che Salomone fu il più sapiente fra gli uomini, ma rispetto al sapere di Adamo e di Cristo non fu il più sapiente. Non chiese di sapere di teologia, di dialettica, di filosofia naturale, di geometria. Chiese soltanto quel sapere necessario ai re per ben governare.
Nel passo seguente notiamo in particolare i versi 101-102, dove si  dice della sapienza del geometra, capace di “chiarire, se in un semicerchio, preso il diametro come lato, si possa iscrivere un triangolo che non abbia un angolo retto” (Scartazzini-Vandelli):
"Non ho parlato sì, che tu non posse
ben veder ch’el fu re, che chiese senno
acciò che re sufficïente fosse;
non per sapere il numero in che enno
li motor di qua sù, o se necesse
con contingente mai necesse fenno;
non si est dare primum motum esse,
o se del mezzo cerchio far si puote
trïangol sì ch’un retto non avesse". (Paradiso, XIII, 94-102). Gli spiriti delle due corone cantano per tre volte la Trinità con una melodia che ricompenserebbe giustamente ogni merito:
Quell’ uno e due e tre che sempre vive
e regna sempre in tre e ‘n due e ‘n uno,
non circunscritto, e tutto circunscrive,
tre volte era cantato da ciascuno
di quelli spirti con tal melodia,
ch’ad ogne merto saria giusto muno.  (Paradiso, XIV, 28-33). Simile a stelle apparse di prima sera, non chiaramente distinte, sopraggiunge una terza corona di spiriti che circoscrive le altre due (Paradiso, XIV, 70-75). Siamo ora nel Cielo di Marte. Simile alla Via Lattea, sulla cui natura sono incerti i più dotti, appare a Dante una croce greca (nella quale lampeggia Cristo), formata dalle linee lungo le quali si congiungono i quadranti (quattro quarti), cioè due diametri che si intersecano nel centro ad angolo retto, sicché i quattro bracci della croce sono i raggi del cerchio: "come distinta da minori e maggi lumi biancheggia tra ‘ poli del mondo Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; sì costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo". (Paradiso, XIV, 97-102). Il trisavolo Cacciaguida legge nel pensiero di Dante: questi crede che il suo pensiero sia letto dall’antenato in Dio,  “quel ch’è primo”, così come “dall’un” derivano “il cinque e ‘l sei” (Paradiso, XV, 55-57).
Desideroso di conoscere la sua futura sorte, Dante chiede di svelargliela a Cacciaguida, che la vede in Dio con evidenza assoluta,  “come veggion le terren menti – non  capere in trïangol due ottusi” (Paradiso, XVII, 13-27). Nel Cielo di Giove
Siamo nel Cielo di Giove. Le anime beate formano delle lettere  cantando e poi si fermano, affinché Dante se le imprima nella mente: Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai
le parti sì, come mi parver dette.
‘DILIGITE IUSTITIAM‘, primai
fur verbo e nome di tutto ‘l dipinto;
‘QUI IUDICATIS TERRAM‘, fur sezzai.
Poscia ne l’emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; sì che Giove
pareva argento lì d’oro distinto.
(Paradiso, XVIII, 88-96). Nel Cielo Nono o Primo Mobile
Siamo nel Cielo Nono o Primo Mobile. Beatrice spiega a Dante che il Primo Mobile cinge tutti gli altri ed è cinto a sua volta dall’Empireo, ove è Dio che è il solo a comprenderlo. Il Primo Mobile imprime il suo moto a tutti gli altri cieli con misura così precisa come quella del prodotto 2 x 5 = 10: Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
sì come questo li altri; e quel precinto
colui che ‘l cinge  solamente intende.
Non è suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da questo,
sì come diece da mezzo e da quinto; (Paradiso, XXVII).Dante riesce a far avventurare il lettore verso l’infinito. Vede rispecchiarsi nei “belli occhi” di Beatrice, definita “quella che ‘mparadisa la mia mente”, l’immagine di un punto, e si volge per sincerarsi della realtà dell’immagine riflessa  nel cielo che continua il suo giro. Il punto “per sua indivisibilitate è immensurabile” (Convivio, II, XIII, 27). Quel punto, luminoso al punto di abbagliare lo sguardo, costringendo a chiudere gli occhi, è Dio. La stella che sulla terra appare più piccola apparirebbe grande come la luna, se posta accanto a quel punto:

E com’ io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da ciò che pare in quel volume,
quandunque nel suo giro ben s’adocchi,
un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca. (Paradiso, XVIII, 13-21)

I cerchi di fuoco delle nove gerarchie angeliche (Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini, Serafini) girano intorno a quel punto tanto più velocemente e tanto più splendenti quanto più sono ad esso vicini.
"Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che ‘l dipigne
quando ‘l vapor che ‘l porta più è spesso,
distante intorno al punto un cerchio d’igne
si girava sì ratto, ch’avria vinto
quel moto che più tosto il mondo cigne;
e questo era d’un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e ‘l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. Sopra seguiva il settimo sì sparto
già di larghezza, che ‘l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto.
Così l’ottavo e ‘l nono; e chiascheduno
più tardo si movea, secondo ch’era
in numero distante  più da l’uno;
e quello avea la fiamma più sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei s’invera. (Paradiso, XXVIII, 22-39)
Beatrice spiega a Dante che il moto dei cieli angelici  è più o meno veloce in ragione della virtù e non della materiale estensione di ciascuno. Dopo di che i cerchi sfavillano come ferro arroventato e incandescente. Le scintille sono intelligenze angeliche che continuano a ruotare nei rispettivi  cerchi ardenti. Il loro numero è impossibile da calcolare. Si allontana  all’infinito. Il neologismo dantesco “inmillarsi”
 Dante si richiama a una tradizione religiosa dall’Apocalisse a Tommaso d’Aquino, che diceva innumerevoli gli angeli. Sollecita perciò il lettore a concentrarsi in un calcolo mentale. Pensare al “doppiar de li scacchi”. Avvertire l’enormità di quel numero. Inoltrarsi e smarrirsi nello sterminato territorio metafisico della progressione geometrica: "E poi che le parole sue restaro, non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
L’incendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che ‘l numero loro
più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla. (Paradiso, XXVIII, 88-93)
Dante ha coniato il verbo “s’inmilla” nel senso di “si inoltra nelle mani.

Il “doppiar de li scacchi” vuol significare “la somma dei primi 64 termini della progressione geometrica dei doppi a cominciare dall’unità”.

Nei commenti è ricordata la leggenda di Sissa Nassir, inventore del gioco degli scacchi.
Per la sua invenzione si attendeva dal re di Persia  una ricompensa pari appunto al “doppiar de li scacchi”.

Impossibilitato a soddisfare l’esorbitante richiesta, il re tagliò corto. Lo fece decapitare.

Beatrice illustra a Dante la creazione degli angeli e la sedizione degli angeli ribelli, che avvenne in meno tempo di quel che si impieghi per numerare dall’uno al venti:

Né giugneriesi, numerando, al venti
sì tosto, come de li angeli parte
turbò il suggetto d’i vostri alimenti.(Paradiso, XXIX, 49-51)

Il numero degli angeli è così grande che l’essere umano non sa concepirlo.
Nel numerarli, il loro numero continua a restare incalcolabile, come rivela il profeta Daniele:

Questa natura sì oltre s’ingrada
in numero, che mai non fu loquela
né concetto mortal che tanto vada;
e se tu guardi quel che si revela
per Danïel, vedrai che ‘n sue migliaia
determinato numero si cela. (Paradiso, XXIX, 130-135)

Il verso “determinato numero si cela” va inteso nel senso che un numero determinato è destinato a restare per sempre nascosto.

Il mistero della Trinità nell’Empireo
Nell’Empireo la luce divina forma un cerchio la cui circonferenza è infinitamente maggiore di quella del sole:

E’ si distende in circular figura,
in tanto che la sua circunferenza
sarebbe al sol troppo larga cintura.(Paradiso, XXX, 103-105)

Dante giunge a contemplare il mistero della Trinità:

“Nella profonda e chiara sussistenza
dell’alto lume parvemi tre giri
di tre colori e d’una contenenza;
e l’un dall’altro  come iri da iri
parea reflesso, e ‘l terzo parea foco
che quindi e quindi igualmente si spiri”.  (Paradiso, XXXIII, 115-120)

La similitudine del geometra
È la similitudine più citata. Dante volge lo sguardo alla “luce eterna”:

“Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
dagli occhi miei alquanto circumspetta,
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta della nostra effige;
per che ‘l mio viso in lei tutto era messo.
Qual è ‘l geometra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder volea come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
Ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne”. (Paradiso, XXXIII, 127-141). Il verbo  “misurar” (verso 134) ci fa venire in mente il De mensura circuli di Archimede. Dante,  benché non vi sia prova che conoscesse proprio quell’opera. argomenta che il cerchio è impossibile a “misurare” perché impossibile a “quadrare”: “La Geometria si muove intra due repugnanti a essa, sì come ‘l punto e lo cerchio – e dico ‘cerchio’ largamente ogni ritondo, o corpo o superficie -; chè, sì come dice Euclide, lo punto è principio di quella, e, secondo che dice, lo cerchio è perfettissima figura in quella, che conviene però avere ragione di fine. Sì che tra ‘l punto e lo cerchio sì come tra principio e fine si muove la Geometria, e questi due a la sua certezza repugnano; che lo punto per la sua indivisibilità è immensurabile, e lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente, e però è impossibile a misurare a punto.” (Convivio, II, XIII, 26-27). E altrove Dante usa il solo termine “quadratura”: “Geometria circuli quadraturam ignorat: non tamen de ipsa litigat” (Monarchia, III, III, 2). Bruno D’Amore osserva in proposito:
 “La cosa curiosa è che a nessun docente di Lettere della scuola superiore, e a nessuno studente in prossimità di maturità, venga in mente che, mentre nelle ore di Lettere si commentano questi versi in tal modo, nelle ore di Matematica il cerchio, dalla quinta elementare in  poi, si sa quadrare, e come!”La cosa curiosa è che Bruno D’Amore dà per risolto con ogni precisione il problema.
Torniamo al geometra dantesco, che non ritrova il principio della misura del cerchio. Trovarlo con riga e compasso è impossibile.  Il prefisso ri- di “ritrova” indica il ritornare più e più volte alla ricerca di quel principio. Il verbo “indige” suggerisce lo scoramento per esserne privo. Raffigura la frustrazione per tale mancanza. Sentiamo che nessun poeta avrebbe potuto creare un’immagine più appropriata. Vi si nota una straordinaria capacità di immedesimarsi nell’estrema tensione intellettiva del geometra. E di suscitare nel lettore il senso di quel supremo sforzo razionale. Con “tal era io” Dante si dice simile al geometra per una analoga impossibilità.  È di fronte al mistero trinitario. Non riesce a vedere in qual modo l’immagine di Cristo si unisca col cerchio e vi trovi il suo luogo, cioè “come possono formare un tutto l’umana natura, finita, e la divina, infinita, in Cristo” (Scartazzini-Vandelli). Viene in mente l’uomo vitruviano.
In genere si trascura il nesso “Qual è ‘l geometra… –  tal era io  … ”. Ci si sofferma più sulla difficoltà del geometra che su quella di Dante.  A ben riflettere, può venire in mente la seguente interpretazione. Dante non riesce a capire come la figura umana di Cristo si adatti alla circonferenza. Analogamente il geometra si chiede come i lati di un quadrato inscritto nel cerchio possano espandersi fino a coincidere con la curvatura della circonferenza. Il geometra non riuscirà nel suo intento. Dante ci riesce grazie all’illuminazione divina. Quindi Dante ha voluto contrapporre il “pensando” alla “mente … percossa da un fulgore”. È l’intuizione che gli consente ciò che il ragionamento non può.  Differenza ben nota ai matematici, perché da loro vissuta. Dante, oltre che poeta teologo, è poeta della scienza. Vittorio Russo pone una domanda: “Perché la modernità non è stata in grado di esprimere un poeta della scienza come Dante?” Piero Boitani risponde che la modernità non ha elaborato le categorie mentali adatte. Categorie che nel Medioevo erano disponibili. Ereditate dal patrimonio scientifico dell’antichità classica. Patrimonio ripensato alla luce della teologia. Successivamente il rapporto fra teologia e scienza è andato divaricandosi. Tant’è vero che oggi c’è chi cerca di ricomporlo. Un percorso linguistico numerologico potrebbe essere ripreso grazie alla matematica. Scienza dei numeri, scienza regina. Scienza che regge il cosmo. Forse un nuovo poeta della scienza lo sarà un matematico. Senza la matematica, dunque, Dante non avrebbe potuto scrivere la Commedia.
Casalino Pierluigi