"UN BATTITO DI CIGLIA", della scrittrice imperiese Laura Marabello, è il diario dolce e straziante della cronaca del dolore materno di fronte allo spegnersi della vita di un figlio giovanissimo, raccogliendone ogni giorno il coraggio straordinario nell'affrontare progressivamente la prova estrema. Mi sono spesso chiesto, in proposito, se sia possibile conservare il senso della vita, mentre ci sin trova in presenza della certezza della morte. Che significa per noi che colui /colei che amiamo muoia? Domande che si aprono a due possibilità di riconoscere un senso alla vita proprio a partire dalla sua finitudine, o, per muoverci, come dice qualcuno, da ciò che ci attende dopo la morte. L'esperienza-limite della fine è tra i principali motivi che rischiano di annullare la gioia di vivere e di spendersi in maniera consapevole. Ma la morte, o meglio la vita segnata irrimediabilmente dalla morte, non possiede soltanto la forza brutale della lacerazione affettiva o quella del venir meno e dell'interrompersi delle possibilità umane. Con la morte i credenti ritengono che l'esistenza "mutatur non tollitur". Non so se Laura Marabello, coprotagonista ed interprete ammirevole di questa esperienza, abbia fatto queste considerazioni, vivendo fino all'epilogo il dramma di un figlio giovanissimo e ricco di energie e di virtù. Difficile giudicare la sofferenza di una madre, bisogna solo comprenderla, perché solo una madre è capace di un amore così grande e in grado persino di descriverlo in un libro pervaso da tanta sensibilità. La lezione di "UN BATTITO DI CIGLIA" è però un'altra e forse più importante, e qui sta tutto il merito dell'autrice: la vita è l'arte di vivere che si misura ogni giorno, attraverso un numero sterminato di giorni tutti uguali, attraversati da ansie e da speranze. E l'esperienza effimera di Federico (questo il nome del figlio di Laura) ci ha insegnato, tramite le pagine della sua memoria, che al mattino, quando non si ha voglia di alzarci, ci deve essere sempre presente il pensiero che fu dell'antico imperatore-filosofo Marco Aurelio:"mi sveglio per compiere il mio mestiere di uomo", un mestiere che il giovane Federico ha esercitato fino in fondo con encomiabile dignità. Una dignità che lo rende vivo nel ricordo di tutti noi.
Casalino Pierluigi, 14.12.2016
Casalino Pierluigi, 14.12.2016
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