L'unico trattato compiuto di Dante è la Monarchia, opera che resta la più discussa tra quelle del Sommo Poeta, sia dal punto di vista cronologico, che da quello ideologico. Dante non ha certo inteso contrapporre, ma solo distinguere, senza estremizzare le posizioni e i ruoli, le due massime autorità spirituale spirituale e temporale, che si stavano allora collegando. La tesi dantesca si pone tra la teoria ghibellina e regalista, fatta propria da Filippo il Bello, della dipendenza del Papato all'autorità politica o imperiale e la dottrina curialista e teocratica promossa ed esaltata da Bonifacio VIII, della subordinazione gerarchica dell'Impero alla Chiesa. Dante, in realtà, respinge queste due tesi. E lo fa con decisione: propugna la divisione dei due poteri come la garanzia in indipendenza e sovranità delle due supreme istituzioni nelle singole pertinenze. Tuttavia Dante cerca di conciliare i due poteri in questione. Dante indaga, infatti, sul cammino della sapienza, significando che la società umana necessita di concordia e di tranquillità per convertire in atto le risorse e dell'intelletto possibile, in forza della prospettiva aristotelico-averroistica (già accolta nel Convivio) e chiaramente legata, tramite il collegamento al De Anima di Aristotele. Una tale pace, totale e globale, i rifà a quella di Augusto. Con l'imperatore romano si affermò la "pax universalis". Di tali considerazioni emerge un Dante laico e cosmico, moderno e profeta al tempo stesso, con aspetti ancora da scoprire del suo genio politico.
Casalino Pierluigi, 22, 12.2015
Casalino Pierluigi, 22, 12.2015
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