sabato 11 settembre 2021

La Russia sovietica e la SdN.


Sin dalla sua fondazione, la Società delle Nazioni era stata giudicata dai bolscevichi come l'organismo che incarnava il disegno delle potenze vincitrici della prima guerra mondiale di pacificare l'Europa sulla base degli esistenti rapporti di dominio. Anche se nel corso del 1923 l'atteggiamento sovietico verso quella organizzazione aveva subito delle modifiche non secondarie, fu la prospettiva che la Germania entrasse a farne parte ad imporre una riconsiderazione sia del ruolo della SdN, sia dei presupposti che avevano reso possibile a Rapallo un'alleanza fondata sul senso di un comune destino degli Stati proscritti  del sistema di Versailles. Le prime mosse diplomatiche del governo di Mosca, in seguito al cambiamento impresso da Streseman alla politica estera tedesca, furono ispirate dall'intento di ostacolare l'adesione della Germania alla SdN, appellandosi al risentimento tedesco contro l'articolo 10 del Covenant, che prevedeva l'obbligo per tutti gli Stati di difendere i confini stabiliti dal trattato di Versailles. Secondo i sovietici, l'eventuale ingresso tedesco nella SdN avrebbe consentito ai vincitori  di consolidare le conquiste ottenute con primo conflitto, con la perdita da parte di Berlino della possibilità di veder risolta la questione nazionale e di veder compromessi gli interessi del popolo tedesco, oltre a cadere nella trappola dell'Intesa. Mosca cercò di prolungare il ponte di Rapallo. I sovietici, in altri termini, puntavano ad impedire che si creasse un blocco degli Stati capitalistici sulla questione della sistemazione della Germania, coinvolgendo quest'ultima in una combinazione ostile all'Urss ad un prezzo assai gravoso. La Germania, secondo i bolscevichi, avrebbe avuto bisogno di riscoprire il suo ruolo di grande potenza solo con l'alleanza con i russi, rafforzando lo spirito di Rapallo. Alla Germania sarebbe servito il contrappeso della Russia nei confronti delle potenze occidentali. L'entrare in  istituzioni internazionali dunque non sarebbe convenuto alla Germania e del resto ciò corrispondeva ai principi della politica estera sovietica da sempre  contraria a coalizioni di potenze. Tuttavia il riavvicinamento franco russo, attraverso un patto di alleanza, sembrò raffreddare i rapporti tra Urss e Germania, ma si espresse anche nel tentativo della Russia di riaprire le prospettive di un impegno di quest'ultima a creare una politica paneuropea in senso anti inglese. Per evitare, peraltro, i rischi di uno sviluppo contraddittorio, la stessa Russia sovietica iniziò a lavorare per una alleanza tra Mosca, Berlino e Parigi che prevedesse pure un miglior rapporto tra la Russia e la Polonia. Betlino a sua volta, nel 1926, fece ingresso nella SdN.(ne uscì nel 1933). Dopo le riserve espresse sull'ingresso tedesco nella SdN, anche Mosca fini' per entrare nell'organismo, per esservi espulsa dopo l'invasione della Finlandia nel 1939.
Casalino Pierluigi 

sabato 4 settembre 2021

Confederati e stato pontificio


Durante il corso della Guerra di Secessione americana (1861-1865), i C.S.A (Confederate States of America) cercarono costantemente di guadagnarsi alleanze e sostegno dalle nazioni europee. La questione stessa del riconoscimento dello status di Nazione indipendente si delineò fin da subito come uno dei più importanti terreni di scontro delle diplomazie nordiste e sudiste (Jones 2010, 1). Quando scoppiò la guerra, nell’aprile 1861, il Governo sudista era molto ottimista riguardo la possibilità che Francia e Gran Bretagna scegliessero di sostenere la loro causai (Blumenthal 1966, 152). In realtà, tutti gli appelli dei confederati restarono senza risposta, tanto che gli unici alleati ufficiali dei C.S.A nel corso del conflitto furono i nativi indiani delle cosiddette Cinque Tribù⁵5 Civilizzate, ovvero Cherokee, Chickasaw, Choctaw, Creek, e Seminole (Franks 1972, 458-73). Come spiega Howard Jones, i C.S.A non avevano in realtà niente di concreto da offrire in cambio di un aiuto nella guerra, o comunque niente per cui valesse il rischio di inimicarsi il Governo di Washington (Jones 2010, 12). Anche se nel 1862 e poi nel 1863 la Gran Bretagna e la Francia sembrarono essere vicine a compiere il grande passo e riconoscere il Governo sudista, un complesso gioco di fattori politici ed economici fece sì che tutto si risolvesse in un nulla di fatto. Comunque, se non scelsero di appoggiare la Confederazione, le potenze europee non presero neanche una chiara e netta posizione a favore dell’Unione di Lincoln. In una lettera all’ambasciatore americano in Francia del 1863, il Segretario di Stato (nordista) Seward lamentava proprio l’atteggiamento poco amichevole ed ambiguo di Gran Bretagna, Francia e Spagna nei confronti del Governo federale. Dopo le fasi iniziali della Guerra, in cui il Sud si era dimostrato capace di reggere il confronto e perfino di prendere aggressivamente l’iniziativa, ben presto le differenze sul piano economico-industriale avevano fatto pendere l’ago della bilancia sempre più a favore dell’Unione, che disponeva di maggiori risorse di uomini e mezzi. Con la sconfitta subita nella battaglia di Antietam (Maryland, 17 settembre 1862) si può identificare il punto di svolta del conflitto, con l’arresto dell’offensiva confederata ed il ripiegamento del Sud in un atteggiamento sempre più passivo e difensivo (Testi 2003, 194). Sicuramente l’imbarazzo di intrattenere rapporti di amicizia con uno Stato fondato sullo sfruttamento della schiavitù giocò un suo peso nell’impedire un facile e veloce riconoscimento internazionale, ma come fa giustamente notare Henry Blumenthal, non bisogna esagerare l’importanza di questo aspetto. In effetti, Napoleone III ritenne sempre che la questione degli schiavi fosse solo un pretesto, e che le cause della Guerra Civile andassero ricercate in ben altre questioni politiche ed economiche (Blumenthal 1970, 96). Lo stesso Pio IX, oltre ad alcune caute raccomandazioni per una apertura graduale verso l’affrancamento, era contrario ad una emancipazione immediata e totale degli schiavi (Martina 1986, 488). Sicuramente, da questo punto di vista, gli intellettuali liberali di Francia e Gran Bretagna furono molto più interessati dei loro rispettivi Governi riguardo alla questione della schiavitù. La stampa cattolica, dal canto suo, non aveva simpatia per Lincoln, e vedeva anzi nel Proclama di emancipazione (22 settembre 1962) un illecito incostituzionale (Martina 1986, 487). In realtà, le questioni dietro alla neutralità anglo-francese erano più realiste che ideologiche (Jones 2010; 1). Londra temeva, senza dubbio, di inimicarsi degli USA forti ed espansionisti, che avrebbero potuto minacciare i loro territori in Canada o le loro mire in America Latina. Dal canto suo, Parigi seguiva i propri disegni per riportarsi sullo scacchiere americano, usando il Messico come stato fantoccio per ripristinare la propria presenza nel continente (Jones, 2010; 2). Come suggerisce Jones, bisogna tenere conto anche dell’andamento della Guerra. Se la Confederazione si fosse trovata in netta posizione predominante, allora molto probabilmente avrebbe ricevuto risposte positive dall’Europa (2005, 206). William H. Seward, segretario di Stato di Lincoln, era stato molto chiaro sull’argomento: qualsiasi riconoscimento agli Stati Confederati da parte di Francia o Gran Bretagna sarebbe stata interpretata come una dichiarazione di guerra verso gli Stati Uniti (McMahon, Zeiler 2012, 37). Non a caso, una popolare canzone nordista intitolata “We’ll fight for uncle Abe” recitava nell’ultimo verso:

“They say that recognition

Will the rebel country save,

But Johnny Bull [la Gran Bretagna] and Mister France [la Francia]

Are afraid of Uncle Abe [Abraham Lincoln].”

[Immagine n.1, Jefferson Davis and his cabinet, 1861. In: Harper’s weekly, v. 5, no. 231 (1861 June 1), p. 340. Library of Congress Prints and Photographs Division Washington, D.C. 20540 USA, http://hdl.loc.gov/loc.pnp/cph.3c32563]

In questo contesto di difficoltà diplomatiche, nel 1863 avvenne quasi casualmente che il Governo dei C.S.A si illudesse brevemente di aver ottenuto un riconoscimento ufficiale da parte di Papa Pio IX, in seguito ad un breve scambio epistolare tra quest’ultimo ed il Presidente confederato Jefferson Davis. Tutto aveva avuto inizio nell’Ottobre 1862, quando il Pontefice romano aveva inviato una missiva agli Arcivescovi di New York e di New Orelans, John Hughes e Jean Marie Odin, rispettivamente rappresentati del mondo cattolico nel Nord e nel Sud, chiedendo fermamente che si impegnassero con tutte le loro forze e con tutti i mezzi possibili a garantire e promuovere la pace per mettere fine alla devastazione della guerra (Allen 1999, 441). La divisione interna causata dalla secessione del Sud si rifletteva infatti anche all’interno del mondo religioso, che si ritrovò diviso tra le due parti in lotta. I cattolici statunitensi, infatti, attraverso le proprie autorità vescovili, abbracciarono solitamente la causa dello Stato in cui vivevano. Con l’Unione se nel Nord, con la Confederazione se nel Sudiii, anche se ovviamente non sempre senza riserve (non ultima quella riguardante la schiavitù, che rappresentava per diversi fedeli un problema morale non indifferente). Bisogna anche ricordare che i cattolici erano una minoranza negli Stati Uniti, e che le élite erano quasi sempre di credo protestante, cosa che creava un’ulteriore frattura. Il Papa temeva infatti che la guerra si trasformasse anche in una ferita intestina al mondo cattolico. Era del resto un pericolo non solo paventato, ma già concreto. Ad esempio, sembra che fossero comuni, negli Stati di confine tra Nord e Sud, i casi di cattolici favorevoli alla secessione che durante la messa della Domenica si alzavano ed uscivano nel momento in cui l’officiante recitava la preghiera per il Presidente (che era ufficialmente Abraham Lincoln)iv.
Nonostante ben poco potessero fare i due Arcivescovi, l’anno seguente, nel 1863, il Presidente dei C.S.A in persona Jefferson Davis inviò una lettera al Papa, ringraziandolo per il suo messaggio di pace dell’anno precedente. La missiva fu affidata ad Ambrose Dudley Mann, un diplomatico confederato che aveva precedentemente prestato servizio in Belgio. Le motivazioni che spinsero Davis a tentare di intraprendere un dialogo con il Pontefice romano erano da ricercarsi, secondo il politico unionista John Bigelow (1817- 1911) proprio in un preciso disegno strategico. Innanzitutto, scoraggiare i cattolici del Nord a continuare la guerra, o quanto meno raffreddarne di molto lo zelo combattivo. In secondo luogo, accattivarsi le simpatie dei Paesi cattolici europei, che, come abbiamo visto, erano rimasti fino a quel momento sostanzialmente sordi agli appelli confederati. Terzo, il Sud sperava evidentemente che il Missouri ed il Maryland, ancora indecisi su che posizione prendere nella guerra, si lasciassero condizionare dell’apertura papale verso la Confederazione, alla luce della relativa influenza che la comunità cattolica possedeva in quei due Stati (Bigelow 1893). Tuttavia, bisogna anche ammettere che Jefferson Davis fu un personaggio animato da un sincero e forte senso religioso. Lui, come gli altri leader sudisti, vedeva nell’apparente prosperità del Sud schiavista un inequivocabile segno della benevolenza e del favore di Dio, ritenendo anzi la Confederazione la regione della terra più sinceramente cristiana di tutte (Nichols-Belt 2011, 20). Questo tipo di pensiero non era estraneo neanche ai famosi eroi militari del Sud, Robert E. Lee e Thomas ‘Stonewall’ Jackson per primi. Come giustamente fa notare Nichols-Belt, per le alte sfere confederate la secessione era anche un atto religioso, oltre che politico (2011, 20). Del resto, la stessa schiavitù veniva presentata da molti predicatori religiosi come una benedizione data da Dio all’umanità, oltre che l’unica forma di civilizzazione possibile per gli afroamericani (Fritz 1999, 80). Non si deve insomma negare o sottovalutare l’importanza dello spirito religioso degli Stati del Sud. Arrivato a Roma nel Novembre del 1863, Mann fu ricevuto prima dal Cardinal Antonelli, Segretario di Stato pontificio, e poi da Pio IX in persona. Durante il suo incontro con Antonelliv, che ovviamente riprese ed espresse nuovamente le speranze per una sicura e veloce fine delle ostilità, Mann trovò il modo di protestare velatamente per il fenomeno dei massicci arruolamenti irregolari che il Nord conduceva in territorio europeo. Come lui, molti politici confederati ritenevano che se non fosse stato per quel continuo afflusso di uomini, il Sud avrebbe già da tempo vinto e concluso la guerravi. Poiché la grande maggioranza di queste reclute erano irlandesi, quindi cattoliche, i C.S.A si aspettavano l’impegno pontificio a porre fine a questo fenomeno (Martinkuns 1956 , Cap.2, 18). In effetti, come abbiamo prima accennato, la situazione per il Sud stava già velocemente volgendo al peggio. Uno dei motivi era proprio che il Nord poteva schierare sul campo un gran numero di uomini in più. La Gran Bretagna, che nelle idee dei confederati avrebbe dovuto rivelarsi un prezioso alleato, stava invece lasciando impunemente che il Nord di Lincoln reclutasse nel suo territorio soldati per la guerra. Si arrivò ad un punto di rottura già nell’Agosto 1863, quando Davis protestò apertamente contro l’atteggiamento inglese (Herring 2008, 249), un mese prima di inviare Mann a Roma.Nella sua lettera al Papa, Davis, che non era di confessione cattolica ma episcopale, si diceva estremamente sensibile alla Carità cristiana e rassicurava il Pontefice che il suo popolo era desideroso quanto lui di porre fine alla Guerra. C’era anche qualche accenno auto apologetico, almeno per quanto riguarda le cause e i fini del conflitto. Davis sosteneva infatti che:“we desire no evil to our enemies, nor do we covet any of their possessions, but we are only struggling to the end that they shall cease to devastate our land and inflict useless and cruel slaughter upon our people, and that we be permitted to live at peace with all mankind, under our own laws and institutions, which protect every man in the enjoyment not only of his temporal rights, but of the freedom of worshipping God according to his own faith.”In una lettera scritta subito dopo l’incontro con il Papa, Mann raccontò con una certa commozione al Segretario di Stato confederato Judah P. Benjamin che durante la solenne lettura e traduzione della missiva (Il Papa non poteva leggerla direttamente, in quanto non conosceva l’inglese) “every sentence of the letter appeared to sensibly affect him [Pio IX]”viii. Il Papa consigliò al diplomatico sudista di impegnarsi affinché il suo Governo si aprisse gradualmente all’emancipazione degli schiavi, ritenendo che su questa questione la Confederazione si alienasse molte simpatie all’estero. Tuttavia egli non prese mai una posizione netta sulla schiavitù americana, criticando anzi quei vescovi che parteggiavano per l’una o l’altra parte, ribadendo come ciò avesse a che fare solo con la politica e non con la morale (Martina 1986, 492). Pio IX in realtà non si sbilanciò mai a favore di nessuna delle due parti in lotta, ma si limitò a dirsi disposto a fare qualsiasi cosa in suo potere per aiutare a porre fine alla Guerra. L’incontro con Mann, in sostanza, fu molto formale e di pura rappresentanza. Mann, tuttavia, male interpretò la cortesia dei suoi interlocutori romani. Nella lettera a Benjamin si sbilanciò fino a dire che “we have been virtually if not practically recognized here”ix.L’incomprensione vera e propria nacque a causa di una lettera di risposta, indirizzata dal Papa a Jefferson Davis ed affidata allo stesso Mann. Nell’intestazione infatti vi si leggeva “To the Illustrious and Honorable Sir, Jefferson Davis, President of the Confederate States of America”x. Il fatto che il Papa usasse questo titolo presidenziale ufficiale creò in Mann la convinzione che si stesse implicitamente riconoscendo la Confederazione come Stato indipendente. Nella lettera a Benjamin del 9 Dicembre 1863, Mann si lasciò trasportare dall’entusiasmo e annunciò trionfante che:“There is a positive recognition of our Government. It is addressed to the “illustrious and Honorable Jefferson Davis, President of the Confederate States of America”. Thus we are acknowledged by as high an authority as this world contains to be an independent power of the earth. I congratulate you, I congratulate the President, I congratulate his Cabinet -in short, I congratulate all my true-hearted countrymen and countrywomen- upon this benign event. The hand of the Lord has been in it, and eternal glory and praise be to his holy and righteous name.”
Che la notizia avesse suscitato un certo interesse, anche a livello popolare, lo testimoniano i quotidiani stampati sul territorio confederato in quel periodo, che pubblicarono lo scambio di lettere tra Davis ed il Papaxii. L’equivoco dovette diffondersi anche in territorio nordista, se un giornale dell’Ohio intitolò addirittura “Recognition of the Confederate Government by the Pope of Rome. L’ottimismo di Mann era tuttavia mal fondato. Leggendo la lettera in questione, il Gabinetto confederato si accorse facilmente che il tono restava in realtà sempre il medesimo, neutro e conciliante, e che non si andava oltre i soliti inviti alla pace. Nonostante Mann si fosse lasciato trascinare dall’entusiasmo, Benjamin e Davis seppero rendersi conto della differenza tra quella che non era altro che una normale formula di cortesia ed un ufficiale riconoscimento della loro Confederazione. In una lettera di Benjamin allo stesso Mann, il Segretario di Stato confederato fece notare al diplomatico come quell’intestazione non fosse altro che “a formula of politeness to his correspondent, not a political recognition of a fact”. Ben presto l’entusiasmo sollevato dalle notizie di Mann sfumò. L’unico successo, seppur minimo, della missione fu rappresentato dall’apertura del Papa verso il reclutamento dei cattolici in Europa (Eaton 1965, 84) , una mossa con cui il Gabinetto Davis voleva colpire il forte flusso di irlandesi iscritti nelle liste di arruolamento nordista, di cui si è già accennato. Lo stesso Benjamin lo considerò l’unico parziale successo della missione romanaxv. Tra l’altro, sembra che Mann non fosse nuovo a questo tipo di equivoci o, per meglio dire, a questi eccessi di fiducia. Già nel 1862, durante il periodo in cui si trovava in Belgio, si era sbilanciato ad annunciare che la Confederazione era sul punto di concludere con Re Leopoldo il suo primo vero trattato. Ciò nonostante , Davis ed il Governo confederato vollero provare a battere ancora su quella strada, ritenendo evidentemente la Santa Sede un interlocutore più malleabile rispetto alle grandi potenze europee, o semplicemente quello meglio disposto nei loro confronti. Nel 1864 fu inviato un altro rappresentante alla Curia pontificia, nella persona dell’Arcivescovo di Charleston, Patrick Neeson Lynch. Lynch, nato in Irlanda ma cresciuto in South Carolina, supportava la causa confederata fin dall’inizio della guerra, ed aveva difeso pubblicamente lo sforzo secessionista in aperto contrasto con John Huges, il già citato Arcivescovo di New York (Pierpaoli, 2013; 1172). Nelle istruzioni riguardo la sua ambasciata, il Segretario di Stato Benjamin aveva esorato Lynch a mantenersi attentamente in equilibrio, senza insistere troppo nel chiedere il riconoscimento diplomatico, per non rischiare di indisporre il Papa o, peggio, costringerlo a rivedere la sua posizione di presunta simpatia verso la Confederazione. Piuttosto, il diplomatico-arcivescovo avrebbe dovuto aspettare un eventuale momento propizio di apertura del Papa per provare a perpetuare la sua richiestaxvii. Benjamin sapeva che molto difficilmente Pio IX si sarebbe sbilanciato a compiere un gesto politico così importante, tuttavia era pressato da un lato dalla necessità che quel gesto si compisse, dall’altro dalla volontà di mantenere quel poco di rapporto amichevole che si era instaurato tra i due Stati.Nonostante a partire dal Giugno 1864 Lynch si incontrasse più volte con il Cardinal Antonelli e con lo stesso Pio IX, nessuna reale attenzione fu data alle sue richieste (Martinkus 1956, Cap.2, 24]. Lynch fu sempre ricevuto in Vaticano esclusivamente per la sua posizione episcopale, mai come rappresentante politico della Confederazione, stroncando così di fatto ogni speranza di reale dialogo politico tra le due parti. Lo stesso fallimentare risultato l’arcivescovo lo aveva ottenuto in Francia, alla corte di Napoleone III, la cui sincera religiosità egli aveva tentato di smuovere in aiuto alla sua causa. Avendo inoltre capito che la questione della schiavitù rendeva la Confederazione odiosa agli occhi di buona parte dell’opinione pubblica, Lynch pubblicò anche un pamphlet in cui paradossalmente denunciava la tratta internazionale degli schiavi, ma difendeva come legale ed utile quella perpetuata dagli Stati confederati (Pierpaoli 2013, 1172).Fallito anche questo tentativo, alla fine del 1864 toccò al diplomatico confederato della Virginia James T. Soutter incontrare il Papa. La necessità del riconoscimento ufficiale per i C.S.A era più pressante che mai, e Soutter si trovò nella delicata situazione di dover essere più insistente di Lynch sull’argomento. Pio IX ribadì tuttavia che non intendeva immischiarsi negli affari esteri di un altro paese con una azione diretta. A Soutter non rimase che ammettere, ormai apertamente, che al suo Governo sarebbe bastato solo ottenere il riconoscimento di Stato indipendente, e non un intervento fisico o una azione politicaxviii. Nonostante l’ennesimo insuccesso, il diplomatico sudista uscì dall’incontro sostenendo che “the Pope was our earnest friend, not only in the interest of humanity, but because he thought we had justice and right on our side”. Ma era ormai troppo tardi. Quando nel 1xx865 un disperato Jefferson Davis inviò segretamente Duncan Kenner in Europa, con l’incarico di promettere l’emancipazione degli schiavi del Sud in cambio del riconoscimento dei C.S.A (Herring 2008, 249), la Gran Bretagna rifiutò di concedere quanto le si chiedeva, seguita subito dopo da Napoleone III, desideroso di tenere la Francia in linea con le decisioni dei potenti vicini d’oltre manica (Jones 2010; 3). Altrettanto fece la Spagna, che si muoveva in politica estera tenendo gli occhi fissi alle decisioni inglesi e francesi, e che non volle mai sbilanciarsi nonostante parecchi membri dell’aristocrazia e degli schiavisti creoli nelle colonie parteggiassero per la Confederazione (Bowen 2011, 81). Chiaramente, la freddezza e la neutralità delle grandi potenze scoraggiò gli altri Paesi a prendere posizioni diverse.
Le missioni diplomatiche dei C.S.A presso la Santa Sede si risolsero quindi in un fallimento, negando agli Stati secessionisti quel riconoscimento internazionale che avrebbe, nei loro piani, potuto aiutarli nella lotta contro il Nord. Il Papato non riconobbe la Confederazione, che del resto si trovava a quel punto ormai alle battute finali della sua esistenza. Nonostante i tentativi si fossero susseguiti fino all’ultimo, già alla fine del 1863 il Sud aveva perso ogni realistica speranza in un riconoscimento dall’estero, per non parlare della possibilità di un aiuto militare (Bowen 2011, 137). Il 9 Aprile 1865, infine, nella località della Virginia nota come Appomattox, il Generale confederato Robert E. Lee si arrese a Ulysses S. Grant. Nei giorni successivi anche gli altri comandanti dei C.S.A deposero le armi. La guerra era finita.

Tuttavia il rapporto tra Davis e Pio IX non si concluse con la fine della guerra. Nel 1865, dopo la resa del Sud, l’ex Presidente dei C.S.A venne imprigionato per due anni, nonostante il Nord avesse tenuto un atteggiamento tutto sommato conciliante verso i ribelli sconfitti, e fu rilasciato solo dietro pagamento di una cauzione. Durante questa prigionia, nel Dicembre 1866, Pio IX inviò a Davis una propria fotografia, che recava sul retro una sua scritta autografa in latino “Venite ad me omnes qui laboratis, et ego reficiam vos, dicit Dominus” (Venite a me, voi tutti che siete oppressi, e io vi darò ristoro, disse il Signore). Era una citazione dal Vangelo di Matteo, 11:28. Secondo alcuni, il Papa aveva inviato insieme alla foto anche una corona di spine, ma si è recentemente appurato come questa provenisse invece da Varina Davis, moglie dell’ex Presidente sudista (Allen 2014). Pio IX dimostrava dunque una certa empatia con la sfortunata sorte di Davis, nonostante ciò non implicasse alcuna reale adesione o rimpianto per la causa confederata. Quando Pio IX morì, nel 1878, Davis scrisse una lettera al “Catholic Universe” dove lo rimpiangeva come uomo straordinario e pio, ricordando come gli fossero stati di conforto, durante i duri anni di prigionia, quel suo regalo e quelle sue parole.Nonostante non ci siano notizie e fonti chiare sull’argomento, sembra comunque che nel periodo che seguì la Guerra Civile, tra molti simpatizzanti ed ex-confederati si diffuse il mito che Pio IX fosse stato favorevole agli sforzi sudisti. Almeno, è quanto si evince da un articolo dell’11 Novembre 1893 sul “The Sacred Heart Review”, giornale cattolico e nordista edito a Boston, che si scagliava contro non meglio precisati “bigotti” che negli anni precedenti avevano tentato di rendere popolare questa visione filo-sudista del Papa. Lo stesso generale Lee, finita la guerra, avrebbe detto ad un suo ospite, indicando un ritratto del Papa: “the only sovereign […] in Europe who recognized our poor Confederacy ” (Allen 1999, 441). Non deve stupire in fondo che i cattolici, ma non solo, appartenenti all’ex Confederazione cercassero in qualche modo di costruire sopra quello scarno e fallimentare scambio di lettere del 1863 un motivo di orgoglio per dare un senso a quanto avevano patito. Abbiamo già accennato, infatti, al profondo sentimento religioso e mistico che permeava gli Stati del Sud. Così come, dal canto loro, i cattolici del Nord (come il “Sacred Heart Review”, appunto) cercarono probabilmente di minimizzare i contatti amichevoli dei C.S.A con la Santa Sede. Anche Bigelow, fiero unionista, tace sul gentile e amichevole dono che Pio IX volle tributare a Davis durante la sua prigionia, concludendo il suo breve resoconto con una pungente riflessione sull’incapacità della diplomazia confederata e sulla poca lungimiranza dei suoi leaders. (Bigelow 1893, 473).

Sulla reale posizione tenuta da Pio IX sulla questione della Guerra Civile, ci sono opinioni contrastanti. Se è vero che il pontefice ammise esplicitamente una certa simpatia per il Sud al rappresentate britannico Odo Russell nel Luglio del 1864 (Martina 1986, 488) è anche un dato di fatto che egli non venne mai meno alla sua neutralità. Il Cardinal Antonelli, dal canto suo, nell’ incontro con il diplomatico nordista Blatchford, espresse esplicitamente convinzioni unioniste e sottolineò addirittura l’incostituzionalità del comportamento degli Stati sudisti (Stock 1923, 117); e ciò apparentemente in aperta contraddizione con il ritratto più prettamente filo-confederato dell’Antonelli che si evince dalle lettere di Mann. Il Segretario di Stato nordista Seward, del resto, aveva raccomandato ed ottenuto dai suoi emissari a Roma di giungere ad una reciproca promessa di amicizia con lo Stato Pontificio, evitando qualsiasi ingerenza negli rispettivi affari. L’Antonelli aveva prontamente rassicurato che i cattolici statunitensi non avrebbero preso parte alla guerra in quanto cattolici (Stock 1923, 114). Piuttosto, si può ritenere, come Martina, che Pio IX ritenesse la Confederazione più aperta e possibilista riguardo un accordo di pace, considerando invece il Governo federale più restio in tal senso (1986, 492). Cosa del resto ovvia, dal momento che per il Sud una pace concordata da un posizione di parità avrebbe costituto l’ufficiale riconoscimento delle proprie rivendicazioni e, di fatto, la sua secessione dall’Unione.La stampa cattolica invece, soprattutto giornali come “L’osservatore Romano” e “La civiltà cattolica” manifestarono più di una volta un aperto appoggio alla causa confederata (Martina 1986, 486). Del resto, la stessa opinione pubblica sudista sembrò illudersi dell’idea che tra il loro Governo ed il Papa scorresse buon sangue.
Nel Luglio 1864, il “Semi-Weekly Standard” di Raleigh, North Carolina, scriveva a proposito del contrasto tra Pio IX e Governo federale sulla nomina degli Arcivescovi di New York e Baltimore.xx:
“His Holiness, having a supreme contempt for the recommendations of Seward, and no sympathy for a government that desecrates the churches of both Catholic and Protestant, gave no consideration to the recommendation of Seward but appointed the gentlemen named above [cioè i due nuovi Arcivescovi, rispettivamente McClusekey per New York e Spaulding per Baltimora]
In conclusione, i tentativi diplomatici dei C.S.A in Vaticano furono, nel migliore dei casi, una perdita di tempo. Agli impedimenti oggettivi per il successo della loro politica estera, si aggiunse anche l’impreparazione della diplomazia confederata, che gli storici sono concordi nel ritenere non all’altezza del difficile compito (Herring 2008, 226). Questi fattori fecero si che il Sud si ritrovasse solo. La Francia decideva infatti in base alla posizione inglese, cioè un paese non cattolico, su cui poco o niente pesava l’autorità di Roma. Entrambi poi condizionavano le altre nazioni. Al di la delle varie speculazioni sulla più o meno reale simpatia personale di Pio IX per la causa confederata, la sua posizione ecumenica gli impedì senz’altro qualsiasi reale azione in favore di una o dell’altra parte in lotta. D’altra parte, si può ritenere anche che seppure il Papa avesse riconosciuto i C.S.A, ben poco sarebbe cambiato dal punto di vista delle alleanze europee e sull’andamento del conflitto.

Biography
i Henry Bluementhal riconduce questa eccessiva sicurezza a due ragioni principali. Innanzitutto, il Sud riteneva di avere con l’Europa un maggiore legame culturale rispetto al Nord. Inoltre, credeva che la cosiddetta “King Cotton Diplomacy”, ovvero la minaccia di istituire un embargo del cotone verso Gran Bretagna e Francia, avrebbe permesso di porsi in una posizione di forza nelle contrattazioni diplomatiche. Cfr: Bluementhal 1966, 156.

ii William H. Seward, Secretary of State, Letter to William L. Dayton, Ambassador to France, n.406, Washington, September 26, 1863, Department of State, Washington. Online all’indirizzo: http://teachingamericanhistory.org/library/document/letter-to-william-l-dayton-ambassador-to-france-2/

iii Ad esempio, quando nel 1863 Pio IX raccomandò venti giorni di devozione per la pace in America, il Vescovo sudista di Richimond John McGill esortò i suoi fedeli a pregare, ricordando però che ciò non implicava una rinuncia ai loro diritti e alla loro libertà. Il ché sostanzialmente si traduceva in un invito a continuare a combattere per la secessione. Cfr: The Wilmington Journal, December 03, 1863, p.4, Chronicling America. Historic American Newspapers, Lib. of Congress.

iv “Rebel refinement”, The Nashville Daily Union, Nashville, Tennessee, July 03, 1ķi863, p.2. Historic American Newspapers, Lib. of Congress.

The Daily Intelligencer, Wheeling, Va.[W.Va.], June 26, 1863, p.2. Historic American Newspapers, Lib. of Congress.

v Nel suo resoconto a J.P. Benjamin, Mann sottolineava non senza una certa soddisfazione di essere stato ricevuto dall’Antonelli nello stesso ufficio dove il Cardinale riceveva tutti i rappresentanti diplomatici delle potenze estere, quasi a voler sottintendere di essere già vicino al compimento della sua missione. Cfr: Letter from A. Dudley Mann to Hon. J.P. Benjamin, Secretary of State, No.66, Rome, November 11, 1863, in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, including diplomatic correspondence, 1861-1865, Edited and compiled by James D. Richardson, Chelsea House-R. Hector, 1966, New York, p.589

vi

 ibidem.

vii Letter from Jefferson Davis, President of the Confederate States of America to Pius IX, Most Venerable Chief of the Holy See and Sovereign Pontiff of the Roman Catholic Church, September 23, 1863, in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, cit., p. 571

viii Letter from A.Dudley Mann to Hon. J.P. Benjamin, Secretary of State, N.68, Rome, November 21, 1863, in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, cit., p.592

ix Letter from Ambrose Dudley Mann to the Hon. J.P.Benjamin, Secretary of State of the Confederate States of America, Richmond, Va, N.68, Rome, November 21, 1863, in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, cit., p. 600

x Letter from the Pope to the Illustrious and Honorable Sir, Jefferson Davis, President of the Confederate States of America, in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, cit., p. 603

xi Letter from A. Dudley Mann to Hon. J.P. Benjamin, Secretary of State, n. 69, Rome, December 9, 1863, in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, cit., p.602

xii Alcuni esempi sono: The Western Democrat, Charlotte, N.C, January 26, 1864, p.3. Historic American Newspapers, Lib. of Congress.

The Wilmington Journal, Wilmington, N.C, January 28, 1864, p.2. Historic American Newspapers, Lib. of Congress.

xiii M’arthur Democrat, McArthur, Vinton County, Ohio,February 18, 1864, p.2. Historic American Newspapers, Lib. of Congress. L’autore dell’articolo spiega di aver appreso la notizia dal giornale parigino La France.

xiv Letter from Mr. Benjamin Secretary of State, Department of State, Richmond, February 1, 1864, to the Hon. A. Dudley Mann, Brusselles, in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, cit., p.622

xv

 ibidem.

xvi

 Letter from A. Dudley Mann, London, February 1, 1862, to the Hon. Jefferson Davis, Richmond, in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, cit., p.160

xvii

 Letter from J.P. Benjamin, Secretary of State, Department of State, Richmond, to the Right Reverend P.N. Lynch, Commissioner of the Confederate State, April 4, 1864 in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, cit., p.470

xviii

 Letter from J.T. Soutter to the Hon. Mr. Slidell, December 5, 1864. Inclosure n.3 of the Letter from Mr. Slidell to the Hon. J.P. Benjamin, December 13, 1864, in The messages and papers of Jefferson Davis and the Confederacy, cit., p.691

xix

 ibidem.

xx

 The Semi-Weekly Standard, Raleigh, N.C, July 15, 1864, p.2. Historic American Newspapers, Lib. of Congress, corsivo dell’autore.

 

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