giovedì 16 gennaio 2025

Casalino Pierluigi

 



Academia.edu


Dear Pierluigi,



The name “Pierluigi Casalino” was mentioned in a 20th Century Italian Literature paper uploaded to Academia.



View your Mention ▸


 

580 California St., Suite 400, San Francisco, CA, 94104


Unsubscribe   Privacy Policy   Terms of Service  


© 2025 Academia


lunedì 6 gennaio 2025

Le spie naziste negli USA

 




---------- Forwarded message ---------

Da: Roby Guerra <guerra.roby@gmail.com>

Date: dom 5 gen 2025 alle ore 12:59

Subject: P.Casalino.Le spie naziste degli Stati Uniti.

To: <guerra.roby.asino@blogger.com>



Pierluigi Casalino,


 

È in libreria il saggio «Le spie naziste degli Stati Uniti» (Edizioni Idrovolante, pp. 238, € 17,00) scritto da Simone Barcelli, collaboratore di «Storia In Rete». Si tratta di una attenta inchiesta su come Washington già nell’immediato dopoguerra arruolò agenti segreti nazisti (inclusi alcuni criminali di guerra) nell’ambito della nuova guerra in atto: la “Guerra fredda” dell’Occidente contro il blocco comunista-sovietico. Tra i tanti temi possibili, Barcelli affronta qui un aspetto curioso della vicenda da lui ricostruita e cioè come “l’organizzazione Gehlen” (dal generale tedesco a capo dello spionaggio di Hitler e passato agli Usa) si dedicò alla caccia di una inesistente rete di spionaggio comunista. Reinhard Gehlen, il generale della Wehrmacht responsabile durante la Seconda Guerra Mondiale del Fremde Heere Ost (FHO), una branca specializzata di intelligence dello Stato Maggiore dell’esercito tedesco operante sul fronte orientale, nel dopoguerra fu scelto e finanziato dagli Stati Uniti, che ne fecero un baluardo per contenere e contrastare la minaccia comunista proveniente dall’Unione Sovietica e dai suoi stati satellite.

La rete spionistica clandestina dell’Organizzazione Gehlen, che agiva in nome e per conto del Counter Intelligence Corps (CIC) e poi della Central Intelligence Agency (CIA), divenne nel 1956 il Bundesnachrichtendienst (BND), il servizio informazioni della Repubblica Federale Tedesca. L’organizzazione Gehlen, insieme al personale della Gestapo e di altre autorità naziste, come sostiene lo storico Gerhard Sälter dell’Università Philipps di Marburg, ebbe un ruolo fondamentale nel far rinascere l’immagine nemica riconducibile in qualche modo a una nuova Rote Kapelle (Orchestra Rossa), una rete di spionaggio comunista all’epoca inesistente, tenendola in vita fino agli anni Sessanta del secolo scorso. La caccia ai vecchi avversari ancora in vita, i membri e simpatizzanti sopravvissuti dell’Orchestra Rossa, usciti dalle prigioni o tornati dai campi di concentramento se non dall’esilio, servì insomma per legittimare ancora una volta il ruolo dei gerarchi nazisti, garantendo la loro sopravvivenza istituzionale, e nello stesso tempo escludere dalla vita pubblica tedesca gli oppositori, alimentando la paura di possibili infiltrazioni comuniste nell’apparato democratico. Gehlen assunse allo scopo l’ufficiale delle SS Heinrich Josef Reiser, proprio colui che tra il 1942 e il 1943 aveva diretto le indagini sull’Orchestra Rossa a Parigi. A sua volta, Reiser, considerato un esperto in materia, dopo aver ristabilito i tanti contatti che aveva con i membri della Gestapo, dell’SD e della Polizia segreta da campo, ne fece assumere molti elementi nell’organizzazione: tra questi l’ex capitano del controspionaggio Harry Piepe, l’impiegato della Gestapo Rolf Richter e l’informatore della Gestapo Walter Klein. Ma evidentemente Gehlen non era ancora soddisfatto, e nell’autunno del 1951 accolse nel suo gruppo di lavoro anche Manfred Roeder, già consigliere della Corte suprema marziale del Reich, che da pubblico ministero aveva sostenuto le accuse nel processo contro il gruppo di resistenza berlinese del tenente colonnello della Luftwaffe Heinz Harro Schulze-Boysen, anche se questo non c’entrava nulla con l’Orchestra Rossa. I gruppi arbitrariamente inseriti dai tedeschi nella cosiddetta Rote Kapelle (Orchestra Rossa), pur essendo tutti al servizio dei sovietici del GRU e dell’NKVD, erano ben distinti tra loro e solo la negligenza nei metodi spionistici ed emergenze operative fecero sì che si intrecciassero. Nonostante la loro progressiva disarticolazione, gli informatori rimasero per lo più sconosciuti. La rete spionistica del giornalista Leopold Trepper, un’agente dell’intelligence militare sovietica (GRU) che reclutava agenti e realizzava cellule clandestine di spionaggio in Europa, trasmetteva informazioni ai sovietici mediante operatori dislocati in Belgio e in Francia.

Il gruppo svizzero del cartografo Sándor Radó (nome in codice “Dora”, l’anagramma del suo cognome), neutralizzato nell’autunno del 1943 dalla Polizia Federale svizzera, trasmetteva a Mosca informazioni militari dettagliate delle operazioni pianificate sul fronte orientale, tramite l’anello di congiunzione berlinese denominato “Lucy”, gestito dall’editore Rudolf Roessler, una spia che da Lucerna operava in questa specifica rete. Nonostante le tante supposizioni avanzate, non si è mai saputo per certo da dove provenissero queste informazioni.

Rudolf Roeder, una spia che da Lucerna operava nella rete capitanata da Radó, alla fine della guerra aveva già collaborato anche con il Counter Intelligence Corps, e per questo il procedimento per crimini contro l’umanità nei suoi confronti, fu infine archiviato nel novembre 1951. L’operazione Crosshairs, il nome in codice scelto dell’Organizzazione Gehlen per la ricerca di migliaia di comunisti che all’epoca avrebbero continuato a cospirare nell’ombra in Germania Ovest (come sosteneva anche Roeder), assunse caratteristiche grottesche, come risulta dai dettagli spesso del tutto superficiali annotati nei dossier dei sospettati, tra cui comparvero anche nomi illustri: il membro della CSU Josef Müller, il segretario di Stato presso la Cancelleria federale Otto Lenz e il ministro federale Jakob Kaiser.9

In fondo, tutta questa montatura orchestrata da Gehlen, era proprio ciò di cui necessitavano e volevano credere le agenzie di intelligence (americana, britannica e francese), cioè una rete di spionaggio sovietica nascosta che continuava a lavorare contro di loro, capace di infiltrarsi nelle istituzioni come quinta colonna, allo scopo di preparare imminenti rovesciamenti antidemocratici anche nella Repubblica Federale Tedesca.

Casalino Pierluigi 



-

 


domenica 5 gennaio 2025

Casalino Pierluigi

 



Academia.edu


Dear Pierluigi,



The name “Pierluigi Casalino” was cited in an Arabic Literature paper uploaded to Academia.




 

580 California St., Suite 400, San Francisco, CA, 94104


Unsubscribe   Privacy Policy   Terms of Service  


© 2025 Academia


giovedì 2 gennaio 2025

Il grande gioco dell' Orchestra Rossa

 



Leopold Trepper

Il grande gioco dell’orchestra rossa

Le memorie del capo dei servizi segreti sovietici

Leopold Trepper, ebreo di umili origini, è passato alla storia per essere stato il capo dell’Orchestra Rossa, una delle più importanti reti di spionaggio sovietico della Seconda guerra mondiale. Militante dei movimenti operai, Trepper fu arrestato dai nazisti a Parigi, dove rimase in carcere per un anno, periodo durante il quale finse di collaborare con i tedeschi per trasmettere importanti informazioni a Mosca. Dopo una rocambolesca fuga dalla Francia si nascose fino al termine del conflitto per poi far rientro in Unione Sovietica, dove conobbe nuovamente l’esperienza del carcere per oltre dieci anni. Il grande gioco dell’Orchestra Rossa ripercorre uno dei più incredibili intrecci di spionaggio della Seconda guerra mondiale dalla prospettiva del suo principale artefice. Leopold Trepper (Nowy Targ 1904 - Gerusalemme 1982), giornalista e militante comunista polacco. Divenuto responsabile del reclutamento degli agenti e della creazione di una fitta rete di spionaggio sovietico in Europa, già all’inizio del secondo conflitto mondiale aveva dato vita a un’organizzazione diffusa capillarmente, nota alla Gestapo come Orchestra Rossa.

Casalino Pierluigi 


Le spie naziste degli USA

 




È in libreria il saggio «Le spie naziste degli Stati Uniti» (Edizioni Idrovolante, pp. 238, € 17,00) scritto da Simone Barcelli, collaboratore di «Storia In Rete». Si tratta di una attenta inchiesta su come Washington già nell’immediato dopoguerra arruolò agenti segreti nazisti (inclusi alcuni criminali di guerra) nell’ambito della nuova guerra in atto: la “Guerra fredda” dell’Occidente contro il blocco comunista-sovietico. Tra i tanti temi possibili, Barcelli affronta qui un aspetto curioso della vicenda da lui ricostruita e cioè come “l’organizzazione Gehlen” (dal generale tedesco a capo dello spionaggio di Hitler e passato agli Usa) si dedicò alla caccia di una inesistente rete di spionaggio comunista. Reinhard Gehlen, il generale della Wehrmacht responsabile durante la Seconda Guerra Mondiale del Fremde Heere Ost (FHO), una branca specializzata di intelligence dello Stato Maggiore dell’esercito tedesco operante sul fronte orientale, nel dopoguerra fu scelto e finanziato dagli Stati Uniti, che ne fecero un baluardo per contenere e contrastare la minaccia comunista proveniente dall’Unione Sovietica e dai suoi stati satellite.

La rete spionistica clandestina dell’Organizzazione Gehlen, che agiva in nome e per conto del Counter Intelligence Corps (CIC) e poi della Central Intelligence Agency (CIA), divenne nel 1956 il Bundesnachrichtendienst (BND), il servizio informazioni della Repubblica Federale Tedesca. L’organizzazione Gehlen, insieme al personale della Gestapo e di altre autorità naziste, come sostiene lo storico Gerhard Sälter dell’Università Philipps di Marburg, ebbe un ruolo fondamentale nel far rinascere l’immagine nemica riconducibile in qualche modo a una nuova Rote Kapelle (Orchestra Rossa), una rete di spionaggio comunista all’epoca inesistente, tenendola in vita fino agli anni Sessanta del secolo scorso. La caccia ai vecchi avversari ancora in vita, i membri e simpatizzanti sopravvissuti dell’Orchestra Rossa, usciti dalle prigioni o tornati dai campi di concentramento se non dall’esilio, servì insomma per legittimare ancora una volta il ruolo dei gerarchi nazisti, garantendo la loro sopravvivenza istituzionale, e nello stesso tempo escludere dalla vita pubblica tedesca gli oppositori, alimentando la paura di possibili infiltrazioni comuniste nell’apparato democratico. Gehlen assunse allo scopo l’ufficiale delle SS Heinrich Josef Reiser, proprio colui che tra il 1942 e il 1943 aveva diretto le indagini sull’Orchestra Rossa a Parigi. A sua volta, Reiser, considerato un esperto in materia, dopo aver ristabilito i tanti contatti che aveva con i membri della Gestapo, dell’SD e della Polizia segreta da campo, ne fece assumere molti elementi nell’organizzazione: tra questi l’ex capitano del controspionaggio Harry Piepe, l’impiegato della Gestapo Rolf Richter e l’informatore della Gestapo Walter Klein. Ma evidentemente Gehlen non era ancora soddisfatto, e nell’autunno del 1951 accolse nel suo gruppo di lavoro anche Manfred Roeder, già consigliere della Corte suprema marziale del Reich, che da pubblico ministero aveva sostenuto le accuse nel processo contro il gruppo di resistenza berlinese del tenente colonnello della Luftwaffe Heinz Harro Schulze-Boysen, anche se questo non c’entrava nulla con l’Orchestra Rossa. I gruppi arbitrariamente inseriti dai tedeschi nella cosiddetta Rote Kapelle (Orchestra Rossa), pur essendo tutti al servizio dei sovietici del GRU e dell’NKVD, erano ben distinti tra loro e solo la negligenza nei metodi spionistici ed emergenze operative fecero sì che si intrecciassero. Nonostante la loro progressiva disarticolazione, gli informatori rimasero per lo più sconosciuti. La rete spionistica del giornalista Leopold Trepper, un’agente dell’intelligence militare sovietica (GRU) che reclutava agenti e realizzava cellule clandestine di spionaggio in Europa, trasmetteva informazioni ai sovietici mediante operatori dislocati in Belgio e in Francia.

Il gruppo svizzero del cartografo Sándor Radó (nome in codice “Dora”, l’anagramma del suo cognome), neutralizzato nell’autunno del 1943 dalla Polizia Federale svizzera, trasmetteva a Mosca informazioni militari dettagliate delle operazioni pianificate sul fronte orientale, tramite l’anello di congiunzione berlinese denominato “Lucy”, gestito dall’editore Rudolf Roessler, una spia che da Lucerna operava in questa specifica rete. Nonostante le tante supposizioni avanzate, non si è mai saputo per certo da dove provenissero queste informazioni.

Rudolf Roeder, una spia che da Lucerna operava nella rete capitanata da Radó, alla fine della guerra aveva già collaborato anche con il Counter Intelligence Corps, e per questo il procedimento per crimini contro l’umanità nei suoi confronti, fu infine archiviato nel novembre 1951. L’operazione Crosshairs, il nome in codice scelto dell’Organizzazione Gehlen per la ricerca di migliaia di comunisti che all’epoca avrebbero continuato a cospirare nell’ombra in Germania Ovest (come sosteneva anche Roeder), assunse caratteristiche grottesche, come risulta dai dettagli spesso del tutto superficiali annotati nei dossier dei sospettati, tra cui comparvero anche nomi illustri: il membro della CSU Josef Müller, il segretario di Stato presso la Cancelleria federale Otto Lenz e il ministro federale Jakob Kaiser.9

In fondo, tutta questa montatura orchestrata da Gehlen, era proprio ciò di cui necessitavano e volevano credere le agenzie di intelligence (americana, britannica e francese), cioè una rete di spionaggio sovietica nascosta che continuava a lavorare contro di loro, capace di infiltrarsi nelle istituzioni come quinta colonna, allo scopo di preparare imminenti rovesciamenti antidemocratici anche nella Repubblica Federale Tedesca.

Casalino Pierluigi 


mercoledì 1 gennaio 2025

Guerre ibride russe nel Ponente ligure

 


La scoperta delle spie del KGB che lavoravano nel cuore del  controspionaggio dei Paesi occidentali, il nostro compreso, conferma comunque quanto già era emerso negli anni precedenti la venuta a galla  del caso Mitrokhine. Un successivo e più approfondito esame dei documenti raccolti al momento della scoperta delle attività spionistiche russe rilancia ancora in ogni caso il pericolo più che attuale che comportano le guerre ibride e di disinformazione del Cremlino in Occidente, complici gli altri Stati totalitari e quei movimenti che in qualche modo fanno da cassa di risonanza presso una certa opinione pubblica superficiale, sprovveduta e incline a scelte anti occidentale non meditate. Il quotidiano francese Le Monde ha ripreso di recente l' argomento per ricordare i tentativi del KGB di infiltrarsi nell'intelligence transalpina e nei suoi segmenti attivi all'estero, oltre che in settori nevralgici delle istituzioni e della sicurezza di Parigi. Non ultime le operazioni dei servizi sovietici in Liguria dove il controspionaggio francese seguiva insieme al nostro le manovre del KGB tra La Spezia e Ventimiglia, con particolare riferimento ad Andora, Alassio, Imperia e Sanremo. Circostanza questa che rinvia alle presenti e mal celate iniziative russe rese più incisive durante il conflitto ucraino; iniziative che si sviluppano con diverse strategie di contrasto e di sabotaggio, in vista di non improbabili attacchi o invasioni militari o di eliminazione fisica di soggetti apertamente critici del Cremlino. Alla caduta dell'Urss anche qui da noi nel Ponente ligure furono svelate reti spionistiche russe ben organizzate grazie al supporto dei documenti Mitrokhine. Tuttavia non risulto' nulla di più di quanto già non fosse nel mirino dei nostri servizi e di quelli alleati. Ciò nondimeno l'invadenza russa di oggi, che muove dal piano Sputnik, avviato agli inizi degli anni 2000 nelle stanze del Cremlino, pone l'accento sulla sofisticata organizzazione dello spionaggio russo che il professore Varese, in un suo fortunato libro del 2022, pubblicato ad Oxford e anche da noi per i tipi di Einaudi, ha definito frutto di un sistema criminale. La nostra provincia, che è sempre stata l'epicentro, con la Costa Azzurra, dello spionaggio mondiale, non è certo immune quindi da propagande e da altre attività che puntano a disorientare e a ribaltare quel senso di difesa delle nostre libertà a favore di idee che ben si sposano con il sistema dispotico russo. Qualche anno fa i servizi segreti svizzeri, del resto, hanno pubblicato in proposito atti che rendevano note le trame prima sovietiche e poi russe dalle nostre parti pure in tempi non sospetti. Trame ben radicate in zona fin dall'epoca zarista e consolidate dopo il 1917 fino ad espandersi dopo il 1945 e rafforzate negli ultimi decenni sotto il nuovo corso russo.

Casalino Pierluigi 


lunedì 30 dicembre 2024

Mussolini riconosce i Soviet

 


Il 26 dicembre 1921, l’Italia e la Repubblica Federativa Socialista Sovietica di Russia concludevano a Roma l’Accordo preliminare [1] . Nel preambolo, le Parti dichiaravano il carattere provvisorio dell’Accordo, stipulato per riprendere il commercio fra i due Paesi, in attesa della conclusione di una convenzione commerciale e di un trattato generale che regolasse il complesso delle loro relazioni economiche e politiche. L’art. 13 dell’Accordo fissava al 26 giugno 1922 il termine per la conclusione degli accordi economici definitivi. Il 2 aprile 1922, in un promemoria predisposto in vista della Conferenza internazionale economica sugli aiuti alla Russia e la ricostruzione dell’Europa centro-orientale, che si sarebbe riunita a Genova il 10 aprile, il Governo italiano svolgeva le seguenti considerazioni circa la ripresa dei rapporti con la Russia sovietica e l’eventuale riconoscimento del Governo di Mosca:

«Riguardo al problema russo l’atteggiamento dell’Italia è determinato da considerazioni di ordine economico e di ordine politico. Rispetto al problema economico l’Italia ritiene che è essenziale di fare rientrare al più presto e nel modo più completo possibile nel sistema economico europeo un paese di così grande popolazione e di così vaste risorse come la Russia. Il perdurare della situazione attuale sarebbe fatale per la Russia stessa e renderebbe più lento e difficile il riassetto economico europeo. È bene rilevare a questo riguardo che se è vero che le Nazioni occidentali hanno interesse vivissimo alla ricostruzione russa, d’altra parte la Russia va certamente incontro ad estrema rovina se a questa ricostruzione essa non procede quanto più sollecitamente è possibile chiamando a collaborarvi tutte le forze vive di capitale e di capacità organizzatrice dell’Europa occidentale. Ciò è importante di fronte ad alcuni atteggiamenti che tenderebbero a far ritenere che le Potenze occidentali hanno più interesse della Russia stessa alla ricostruzione di essa. Riguardo al problema politico l’Italia considera che la terribile crisi attraversata dalla Russia ha portato a due constatazioni: 1° – Che il regime bolscevico nell’attuale stadio della nostra evoluzione economica è causa di estrema rovina. 2° – Che non si può contestare al Governo russo di rappresentare effettivamente la Russia semplicemente per il fatto che esso non rappresenta che le opinioni di una piccola minoranza in quanto che la Russia si lascia dominare completamente da una minoranza. Riguardo agli aspetti internazionali del problema politico è interesse dell’Italia che la Russia ritorni a esercitare una influenza nel gioco della politica europea per ristabilire un equilibrio nel sistema europeo e far sì che l’Italia vi abbia più convenientemente il suo posto. E’ inoltre interesse precipuo dell’Italia che la Russia si ricostituisca per virtù propria e non sotto l’egida o per azione diretta di un’altra nazione europea. La posizione che l’Italia ha preso e che l’Italia intende mantenere rispetto al problema russo è determinata dalle considerazioni di carattere politico ed economico suesposte. L’Italia ritiene cioè che si debba ispirarsi pienamente ai principi delle deliberazioni di Cannes, e non pretendere di intervenire direttamente nelle questioni di ordine interno, sia che esse si riferiscano all’ordinamento politico ovvero a criteri economici di Governo. L’Italia ritiene che convenga considerare il problema della ricostruzione russa in modo obiettivo ed esporre ai rappresentanti del Governo russo quali si considerano le condizioni essenziali perché dei nuovi capitali possano venire investiti in Russia e perché il personale tecnico delle nazioni occidentali, indispensabile altrettanto del capitale alla ricostruzione russa, possa trovare sufficiente incoraggiamento a stabilirsi in Russia per l’esercizione di industrie e commerci. Riguardo alla liquidazione del passato il Governo italiano ritiene che in base alle deliberazioni di Cannes sia opportuno il riconoscimento da parte del Governo russo delle obbligazioni assunte da esso e dai suoi predecessori ed al riconoscimento del suo obbligo di indennizzare gli stranieri per danni da essi subiti. Per quella parte di tali obblighi che non riguarda la restituzione di beni ma che dovrà prender forma di obbligazioni finanziarie ed indennità pecuniarie, il Governo italiano non si fa illusioni che le risorse dello stato russo per parecchi anni potranno permettere al Governo russo di far fronte agli impegni finanziari da esso così assunti. Il Governo italiano è quindi in favore della moratoria che, d’accordo con gli altri Governi alleati è stato proposto di accordare al Governo russo per le obbligazioni finanziarie vecchie e nuove che gli incombono. Grave questione, riguardo la liquidazione del passato, e anche quella relativa al diritto del Governo russo di richiedere indennità per danni subiti dai cittadini russi per azione di guerra di eserciti delle Nazioni occidentali o sorretti e aiutati dalle Nazioni occidentali stesse. Al riguardo l’opinione italiana è che questo diritto non possa venire contestato alla Russia. In questa opinione concorrono pienamente gli inglesi e ad essa si associano, per quanto a malincuore e con riserve esplicite o mentali i francesi. E’ opinione d’altra parte del Governo italiano che sia opportuno che la questione sia liquidata nel modo il più rapido e completo possibile e che quindi occorre stabilire al riguardo coi Russi un forfait compensando i danni che i Russi possono pretendere con i crediti di Governo che le Nazioni occidentali hanno verso la Russia. L’Italia ritiene che è inutile partire da preconcetti: la natura e la portata degli accordi che si potranno fare coi Russi dipenderà dall’atteggiamento che avranno e dalle intenzioni che dimostreranno i Russi a Genova. Se i Russi dimostreranno di voler seriamente dar mano alla ricostruzione del loro paese, di ritenere, come sembra, indispensabile la collaborazione delle altre nazioni, e sono disposti ad accettare le condizioni essenziali per assicurarsi tale collaborazione sarà più conveniente ed opportuno per le altre Nazioni di fare un trattato colla Russia ed in tal caso il riconoscimento de jure del Governo dei Soviet è implicito. D’altra parte l’Italia non ritiene che si possa ragionevolmente domandare al Governo dei Soviety di riconoscere come propri gli impegni finanziari dei governi russi precedenti e rifiutargli contemporaneamente il riconoscimento de jure. La tesi francese che le obbligazioni finanziarie sono inerenti al territorio non porta secondo l’opinione italiana come conseguenza che le responsabilità specifiche derivanti da tali obbligazioni possano venire assunte da altri che da un governo il quale viene quindi ad avere diritto al riconoscimento de jure. Il Governo italiano ritiene quindi che il riconoscimento de jure del Governo dei Soviet non debba escludersi a priori e che anzi l’azione dell’Italia a Genova debba tendere ad ottenere dai Russi le condizioni che si ritengono essenziali perché si giunga a tale riconoscimento. Ciò corrisponde del resto allo spirito e alla lettera delle deliberazioni di Cannes».

Durante la Conferenza, peraltro, il problema della ripresa delle relazioni economiche e politiche tra la Russia sovietica e gli Stati occidentali non trovava soluzione. La Delegazione italiana avviava quindi trattative bilaterali con la Delegazione sovietica al fine di concludere una convenzione commerciale entro il 26 giugno dello stesso anno. Il negoziato presentava tuttavia varie difficoltà. Infatti, mentre la Delegazione italiana, guidata dal Senatore Conti, concentrava le trattative sugli aspetti economici, i Delegati russi, Krassin e Worowski, sollevavano invece questioni di natura politica, nei termini così riportati dal verbale della riunione del 22 maggio 1922:

«Krassin dichiara che il Governo russo non intende sollevare qui la questione del riconoscimento giuridico. Ma per poter concludere anche una convenzione puramente commerciale è necessario definire qualche punto che non è stato sufficientemente definito nell’accordo di Roma. Aggiunge che quando parlò per la prima volta col Sen. Conti ebbe l’impressione che il Governo italiano pur senza affrontare la questione del riconoscimento giuridico del Governo russo, fosse disposto ad eliminare qualcuna delle difficoltà che si oppongono ad una più efficace ripresa dei rapporti economici con la Russia. Vorowski chiarisce la portata della questione sollevata da Krassin. E’ assolutamente necessario per una effettiva ripresa di rapporti economici e commerciali fra l’Italia e la Russia, che non ci siano in Italia altri rappresentanti della Russia che quelli riconosciuti nell’accordo di Roma, cioè a dire la Delegazione Commerciale della Repubblica dei Soviet [4] . Viceversa ci sono ancora in Italia i vecchi rappresentanti del Governo Zarista. Ci sono anche rappresentanti di Stati inesistenti. E’ necessario che questi rappresentanti non siano più riconosciuti dalle autorità italiane. Di ciò abbiamo parlato, anche prima della conclusione dell’accordo di Roma, con l’allora Ministro degli Esteri della Torretta, ed abbiamo anche ottenuto degli affidamenti che non sono stati mantenuti. Bisogna che sia risoluto questo punto assolutamente vitale per noi, prima di poter riprendere ed intensificare in maniera effettiva i rapporti economici con l’Italia. Ci occorre l’assicurazione precisa che le vecchie rappresentanze ufficiali non sono più riconosciute e che unici rappresentanti della Russia in Italia sono i Delegati Commerciali del Governo dei Soviet».Due giorni dopo, i Delegati russi accettavano peraltro di firmare il progetto di convenzione commerciale, il cui testo non faceva alcun riferimento alle questioni di ordine politico sollevate da Krassin e Worowski . Il 30 dicembre 1922, in seguito al Congresso speciale dei Soviet della Russia, dell’Ucraina, della Bielorussia e della Transcaucasia, veniva proclamata l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Secondo la costituzione del nuovo Stato federale, le singole Repubbliche assumevano la qualità di Stati federati, e la competenza relativa alle relazioni internazionali veniva attribuita all’Unione. Dopo la ripresa delle trattative italo-sovietiche per la stipulazione di un trattato generale di commercio e navigazione, la conversione in legge del D.L. 31 gennaio 1922 n. 157, con il quale era stata data esecuzione all’Accordo preliminare del 1921 [6] , offriva l’occasione di un dibattito in Parlamento sulle relazioni fra i due Paesi.

Nella seduta del 30 novembre 1923, il Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri ad interim, Mussolini, si dichiarava favorevole al riconoscimento de jure del Governo sovietico, nei seguenti termini: "In fondo questa faccenda del riconoscimento dei Soviet è una famosa foglia di fico, con la quale si vuol nascondere la realtà concreta dei fatti. Dal mio punto di vista e nazionale e politico è più conveniente che io abbia a Roma un ambasciatore in perfetta regola, con tutti gli usi, i costumi e le leggi che regolano questa materia nei rapporti internazionali, piuttosto che un rappresentante che non si sa se sia commerciale, se sia diplomatico, se sia politico e che però viene a Palazzo Chigi a trattare gli affari concreti con me, e che quindi è nel fatto e nella pratica quotidiana pienamente riconosciuto». Il7 febbraio 1924, veniva firmato a Roma il Trattato di commercio e navigazione fra l’Italia e l’U.R.S.S., il cui art. 1 così disponeva:

«Les rapports diplomatiques et consulaires normaux sont établis entre le Royaume d’Italie et l’Union des Républiques Sovietistes Socialistes. Le pouvoir de chacun des Etats contractants est mutuellement reconnu comme le seul légal et souverain du Pays respectif, avec toutes les conséquences, qui s’en suivent pour l’autre Partie, selon les droits des gens et les coutumes internationales».“Tra il Regno d’Italia e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si instaurano normali rapporti diplomatici e consolari. Il potere di ciascuno degli Stati contraenti è mutuamente riconosciuto come l’unico legale e sovrano del rispettivo Paese, con tutte le conseguenze che ne derivano per l’altra Parte, secondo i diritti delle persone e le consuetudini internazionali”. Il giorno successivo, l’Ambasciatore italiano a Mosca, Manzoni, inoltrava al Commissario del Popolo per gli Affari Esteri, Cicerin, la seguente nota di Mussolini:

«Ella sa che fin dal giorno in cui assunsi il Governo è stato mio proposito di effettuare la ripresa dei rapporti politici fra i due Paesi, ritenendola utile ai loro particolari interessi ed a quelli generali dell’Europa. Sono perciò soddisfatto che oggi si sia firmato il trattato di commercio italo-russo. Mi è grato parteciparLe in tale occasione, che in armonia con le affermazioni contenute nel discorso da me fatto alla Camera dei Deputati il 30 Novembre 1923, avevo dichiarato nella seduta di chiusura della conferenza per il trattato predetto, tenutasi il 31 Gennaio ultimo scorso, che, essendo ormai raggiunto l’accordo, consideravo come risolta la questione del riconoscimento “de jure” del Governo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche da parte dell’Italia. Il Governo Italiano provvede pertanto senza altro alla nomina del Regio Ambasciatore presso il Governo dell’Unione, ed intende in conseguenza, che a partire da oggi, 7 febbraio 1924, i rapporti politici fra i due Paesi siano così definitivamente stabiliti e determinati» .La relazione sul disegno di legge presentato da Mussolini alla Camera dei Deputati per la conversione del D.L. 14 marzo 1924 n. 342, che dava esecuzione al Trattato di commercio e navigazione del 7 febbraio 1924 , affermava, fra l’altro:«La formula solenne con cui i poteri degli Stati contraenti si riconoscono come gli unici legali e sovrani dei rispettivi paesi, e dichiarano di ristabilire fra di loro i normali rapporti diplomatici e consolari, è venuta a costituire l’articolo 1 del Trattato di commercio e di navigazione, che si sottopone ora, insieme alla Convenzione doganale, alla vostra approvazione».

Durante la discussione sul disegno di legge, Mussolini interveniva poi nei seguenti termini:

«Perché quindici mesi fa il Governo fascista riconobbe de jure la Repubblica dei Soviet? Per molte ragioni. Voi le conoscete. Basterà ricordarne una […]. In fondo c’era un riconoscimento, che non arrivava all’estreme conseguenze a cui la logica dei riconoscimenti doveva condurre. C’era un rappresentante della Russia, che non era un ambasciatore politico nel senso tradizionale della parola, né un ambasciatore commerciale ed economico. Era una situazione che non poteva durare. Certi rapporti si chiariscono: o si rompe o si riconosce appieno. Il partito, il Parlamento, la Nazione, approvarono. Approvarono tacitamente per il fatto che allora l’opinione pubblica fu unanime nel riconoscere che era opportuno uscire da un periodo di incertezza durato fin troppo tempo nei rapporti fra l’Italia e la Russia, e di definirlo schiettamente secondo le norme tradizionali dei rapporti fra gli Stati. Il riconoscimento de jure portò un trattato di commercio.Il Trattato di commercio e navigazione entrava in vigore il 23 marzo 1924; tuttavia, le normali relazioni diplomatiche fra i due Governi si consideravano stabilite a partire dal 7 febbraio precedente, data della nota di Mussolini a Cicerin. Questa mia nota un mio precendente articolo pubblicato da Asino Rosso sull'argomento e al quale rinvio per le considerazioni di maggior spunto politico ed economico.

Casalino Pierluigi